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Archivi d’artista non più intoccabili

Study for Homage to the square
Study for Homage to the square

La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 7148 del 3 novembre 2021, ad integrale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Milano, n. 6004 del 28 ottobre 2020, ha stabilito che nei processi per contraffazione di un’opera d’arte, nel caso in cui l’Archivio a memoria d’artista sia anche parte civile, non basta la sola sua testimonianza per giustificare una sentenza di condanna e la confisca dell’opera.

Secondo il Collegio che ha integralmente riformato la sentenza emessa dal GOT in primo grado “il vaglio di attendibilità [sulle dichiarazioni rese]1 doveva essere ancora più penetrante, in considerazione del fatto che l’Archivio, possiede il monopolio sul rilascio dei certificati di autenticità” e quando risulta “proprietario di opere e, quindi, inevitabilmente portatore di interessi economici sul mercato, dovendosi ipotizzare anche un potenziale conflitto d’interesse”.

Il Tribunale di Milano, aveva, infatti, condannato per contraffazione dell’opera «Study for Homage to the square» (40x40 cm) a firma di Joseph Albers (Bottrop, 19 marzo 1888 – New Haven, 26 marzo 1976), un gallerista milanese, a seguito di una denuncia sporta dalla della Josef e Annie Albers Foundation, soltanto sula base della testimonianza resa da Jeannette Redensek, membro dell’archivio a memoria d’artista e benché il dipinto fosse pubblicato sulla monografia del 1988 Josef Albers, curata da Getulio Alviani ed edita da L'arca edizioni nel 1988, di cui Nicholas Fox Weber aveva scritto la prefazione2.

La Josef e Annie Albers Foundation è stata fondata nel 1971 da Josef Albers, pochi anni prima della sua morte, per conservare e promuovere la sua opera, ma dal maggio del 2016 risulta che essa si avvalga di David Zwirner come galleria commerciale esclusiva3. “In questo ruolo, David Zwirner promuoverà l'eredità di Josef e Anni Albers attraverso mostre curate nei suoi spazi di New York e Londra; lo sviluppo di nuovi studi sul lavoro degli artisti attraverso pubblicazioni e mostre internazionali; e attraverso la vendita di opere d'arte consegnate alla galleria dalla Fondazione”, si legge sul sito web della galleria americana4.

Quella della fondazione Albers non è una condotta isolata. Ad esempio, si segnala, che è la galleria Houser & Wirth a rappresentare alcuni archivi d’artista italiani (Piero Manzoni, Fausto Melotti, e Fabio Mauri)5.

Gli archivi d’artista, siano essi fondazioni o associazioni senza scopo di lucro sarebbero, secondo la definizione elaborata dall’ Associazione Italiana Archivi d’Artista entiche hanno come scopo: incentivare gli studi e favorire la conoscenza della figura e dell’opera di un Artista, promuovendo ricerche e iniziative direttamente o in collaborazione con altri organismi pubblici e privati; catalogarne la produzione autentica nella massima trasparenza di metodo e rapporti” e “strumento di identificazione e certificazione dell’autenticità della sua produzione”6, cui il mercato ha conferito il monopolio in merito al rilascio dei certificati di autenticità per poter vendere come vere e autentiche le opere di un autore defunto, anche se gli stessi non possono, nella stragrande maggioranza dei casi, essere considerati un “archivio” di persona ossia il complesso dei documenti prodotti o acquisiti da un certo soggetto (ente o persona fisica) e da quest’ultimo ritenuti meritevoli di conservazione7.

E soprattutto, nessuno, a quanto ci è noto, consente la pubblica fruizione, “missione” primaria dell’archivio nella sua accezione tradizionale8 e, anzi, proprio al contrario le informazioni vengono custodite gelosamente e quasi, mai rese pubbliche, se non attraverso l’edizione di cataloghi generali o ragionati, costosissimi e mai in pubblica consultazione.

Laddove il focus, per gli archivi tout court, è su un determinato e almeno in larga parte precostituito complesso documentale, da conservare e mantenere integro perché possa essere pubblicamente fruibile, qui invece si sposta “sulla figura e sull’opera” di un certo artista, e la raccolta (sovente postuma) di documentazione è puramente strumentale alla promozione della conoscenza appunto della figura e dell’opera dell’artista stesso e all’individuazione e catalogazione della sua produzione autentica; la pubblica fruizione dei documenti non è quindi la “missione” primaria dell’archivio d’artista.”9

A ciò si deve aggiungere che l’attività di certificazione che svolgono gli archivi d’artista è, nella stragrande maggioranza dei casi, a titolo oneroso.

Per la Josef e Annie Albers Foundation, ad esempio, “il servizio avviene dietro il pagamento di una tassa10 di 2000 USD necessaria per esaminare un dipinto presso la sede della Fondazione a Bethany in Connetticut. Viene richiesto un compenso di 3000 USD per esaminare un dipinto fuori sede, che sia in una casa d’aste o in una Galleria in Europa”11.

Si deve, tuttavia, evidenziare che la tesi rivoluzionaria della Corte d’Appello di Milano, non è nuova, ma mutuata da un articolo apparso sulla stampa specializzata a commento della sentenza di primo grado12, ove a proposito del vulnus del conflitto d’interesse, si evidenziava che: “la credibilità e attendibilità delle dichiarazioni rese della parte civile nel processo penale, quand’anche autorevole, è in genere circondata da molte cautele e, quanto meno dalle aule di giustizia, sarebbe auspicabile una definitiva emancipazione dai metodi estetici, dall’acume visivo o dalla “particolare aura” che emana un dipinto autentico per stabilirne la contraffazione. Pur nel rispetto del loro custodi della memoria dell’artista, ancora più rigore dovrebbe essere richiesto quando l’archivio che ha anche “il monopolio” sul rilascio dei certificati di autenticità è proprietario di opere e, quindi, inevitabilmente portatore di interessi economici sul mercato ed esposto al rischio di versare in situazioni di potenziale conflitto d’interesse. Per quanto la rarità non sia che uno dei fattori di accrescimento del valore, in astratto, infatti, il “potere” di ridurre il numero delle opere di un artista disponibili per vendita, negandone l’archiviazione potrebbe produrre come effetto l’incremento di valore delle opere di proprietà che l’archivio immette sul mercato. Nel caso di specie sul sito web della Josef e Annie Albers Foundation è espressamente dichiarato che “la Fondazione vende un piccolo e selezionato gruppo di dipinti e stampe attraverso i suoi rappresentanti autorizzati” e che “La Fondazione ha nominato la David Zwirner Gallery di New York e Londra come suo rappresentante esclusivo in tutto il mondo”.

Quella degli Archivi d’artista, infatti, al pari di qualunque altro soggetto che ritenga di averne le competenze, è ritenuta dalla giurisprudenza maggioritaria, un’expertise13 su una determinata opera, che nulla vale più di un’opinione, quale estrinsecazione della libertà di pensiero e non ha, né può avere alcuna fede privilegiata né nel processo civile, né tanto meno in quello penale, vieppiù quando l’archivio è portatore di un interesse economico proprio nel mercato e quando detiene una quota rilevante di opere, il cui valore può potenzialmente accrescere attraverso piani strategici di valorizzazione che potrebbero essere addirittura anticoncorrenziali.

Negli Stati Uniti, infatti, molti estates o comitati per l’autenticazione (Fondazione Pollock-Krasner, Andy Warhal Foundation for the Visual Arts, Roy Lichtenstein Foundation) non potendo beneficiare dell’ombrello concesso agli eredi dal diritto morale d’autore, sono stati sciolti o hanno smesso di rilasciare autentiche, per preservare il loro patrimonio, che rischiava di essere eroso dalle richieste di risarcimento danni per conflitto di interesse, da parte dei collezionisti che si erano visti dannare le loro opere da archivi proprietari di opere.

Per la giurisprudenza italiana, tuttavia, il principio è rivoluzionario e rischia di incrinare per sempre il ruolo di intoccabili gatekeepers che gli archivi d’artista a partire dagli anni ’70 ad oggi hanno assunto nel mercato o quanto meno di privarli di un diritto di veto sul vero e sul falso quando le loro “opinioni” non sono confortate da altri elementi fattuali, regola che “vale” per qualunque dichiarazione resa nel processo penale dalla parte civile14.

Va aggiunto inoltre che il caso dello «Study for Homage to the square» del gallerista milanese, non è purtroppo isolato.

Nicholas Fox Weber, ha, infatti, dichiarato di aver “cassato” opere sottopostegli addirittura dalla Christie’s e Fondazione Maeght15, i cui esperti, di arte moderna certamente non possono essere ritenuti degli incompetenti o sprovveduti, e questo grazie al suo “sharp eye16, che gli aveva permesso di riconoscere la falsità “ictu oculi17 anche del dipinto su masonite oggetto della sentenza che qui si commenta.

Indagine, quella dell’“occhio” che, se ai tempi di Berenson e Longhi era l’unica via e possedeva addirittura un certo fascino, oggi non pare più compatibile con i progressi tecnologici delle metodologie invasive e non, in merito all’accertamento della paternità delle opere e soprattutto quando l’esperto non ha mai lavorato al fianco dell’artista.

 

1 Le parole tra parentesi sono nostre.

2 http://www.nicholasfoxweber.com/redesign/curriculum-vitae/ ,consultato il 24/01/2022

3 https://albersfoundation.org/resources/collect/, consultato il 24/01/2022

4 https://www.davidzwirner.com/artists/josef-albers, consultato il 24/01/2022

5 https://www.hauserwirth.com/artists/2862-piero-manzoni/; https://www.hauserwirth.com/artists/2848-fausto-melotti/

https://www.hauserwirth.com/artists/2845-fabio-mauri/, consultato il 24/01/2022

6 A. Donati, Rilevanza giuridica dell'archivio d'artista, in AA.VV, Impresa cultura. Creatività, partecipazione, competitività. XII rapporto annuale Federculture, Roma, 2016, pag. 196.

7 Cfr. il Glossario messo a disposizione dalla Direzione Generale per gli Archivi del Ministero per i beni e le attività culturali sul sito istituzionale www.archivi.beniculturali.it.

8 Cfr. in particolare gli artt. 3, 20 e 127 del Codice dei Beni culturali (D.lgs. 22 gennaio 2004, n.42).

9 C.E. Mezzetti, Da Fontana a Banksy a Haring: archivi d’artista in Tribunale, in Giurisprudenza italiana, 2020 8-9, 1941

10 “Tassa” è il termine usato dall’autore, più corretto invece “compenso”;

11 A.Zorloni, L'economia dell'arte contemporanea. Mercati strategie e star system, Franco Angeli 2014 in https://www.google.it/books/edition/L_economia_dell_arte_contemporanea_Merca/h3Y4DwAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&dq=albers+costo+archiviazione&pg=PT68&printsec=frontcover, consultato il 24/01/2022

12 G. Gatti Non sempre l’archivio è super partes, in Il Giornale dell’arte, 13 marzo 2021, in https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/non-sempre-l-archivio-super-partes/135441.html, consultato il 24/01/2022

13 Contra. G. Gatti, C.E. Mezzetti, Lucio Fontana la firma come strumento di paternità, in questa rubrica

14 Cass. Pen, Sez. U, n. 41461 del 19/7/2012, Bell’Arte, Rv. 253214 e Cass. Pen., III, n. 2911 del 23/11/2020-25/01/2021

15 D.Jucker, Le buone pratiche del collezionismo, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, pag. 367

16 Op. cit nota 11, pag.367

17 Tribunale di Milano, sez I, 29 ottobre 2020, n. 6004