Anche l’arte è in guerra
Anche l’arte è in guerra
Nel IV pacchetto di sanzioni introdotte contro la Russia a seguito del conflitto ucraino, il Regolamento (UE) 2022/428 del Consiglio del 15 marzo 2022 è intervenuto in modifica del Regolamento (UE) n. 833/2014, introducendo l’articolo 3-nonies che vieta di “vendere, fornire, trasferire o esportare, direttamente o indirettamente, i beni di lusso elencati nell’allegato XVIII a qualsiasi persona fisica o giuridica, entità od organismo in Russia, o per un uso in Russia” il cui valore sia superiore a 300 euro per articolo.
Qualsiasi violazione del regolamento è punita in base all’art. 20 del D.lgs. n. 221 del 2017 (“Sanzioni relative ai prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali”) che punisce:
- Qualsiasi operazione di esportazione di prodotti listati a seguito di misure restrittive dell’UE, o prestazione di servizi di intermediazione o assistenza tecnica riguardanti gli stessi concernenti i prodotti medesimi, in violazione dei divieti contenuti nei regolamenti (UE) relativi alle misure restrittive con la reclusione da 2 a 6 anni;
- qualsiasi condotta di cui al precedente paragrafo 1 realizzata senza la prescritta autorizzazione, o con un’autorizzazione basata su false dichiarazioni, con la reclusione da 2 a 6 anni o con una multa da 25.000 a 250.000 euro;
- l’inosservanza degli obblighi prescritti dalla relativa autorizzazione, con la reclusione da 1 a 4 anni o con la multa da 15.000 a 150.000 euro;
- tutte le condotte sopra elencate, con la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere i reati, o con la confisca di beni per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato.
Nell’allegato XVIII, denominato “elenco dei beni di lusso”, oltre allo champagne, ai tartufi, ai vini, ai cavalli purosangue da riproduzione, ai sigari e alle pietre preziose, al n. 20) sono indicati espressamente gli “oggetti d’arte, da collezione o di antichità” come individuati dalla “nomenclatura combinata” Intrastat dell’Unione Europea [1], la cui definizione è contenuta nella Tariffa doganale, sezione XXI, al capitolo 97 ed è, di fatto, identica alla Tabella allegata al DL 41/95 che elenca i beni a cui si applica l’aliquota IVA agevolata, a seguito dell’entrata in vigore (1° gennaio 1995) della sesta direttiva IVA [2] e contiene una definizione europea armonizzata dell’“opere d’arte” nell’allegato I.
Benché i nuovi russi, siano stati descritti da taluni come ossessionati dal concetto di status, “fermamente attaccati agli stili occidentali e all’accumulo di beni d’élite e di lusso” [3] la qualificazione dell’opera d’arte come bene di lusso, a discapito del suo valore storico, culturale, educativo e spirituale, pare decisamente riduttiva e opinabile.
E non possono essere dimenticati i grandi collezionisti e mecenati russi come Pavel Tret’jakov, Sergej Ščukin e i fratelli Mikhaïl e Ivan Morozov, la cui collezione è ora in prestito per la mostra a Parigi alla Fondation Luis Vuitton fino al 3 aprile, grazie ai prestiti concessi dal Museo di Stato dell’Ermitage di San Pietroburgo, il Museo di Stato della Belle Arti Pouchkine e la Galleria nazionale Trétiakov di Mosca.
E questa sanzione unita agli ulteriori ostracismi verso la cultura russa ci sembra denotare una visione miope del valore etico e sociale dell’arte e della cultura, e una finalità finanche censoria incompatibile con i principi di uno stato liberale.
Il richiamo al codice della “nomenclatura combinata” della tariffa doganale, tuttavia, vuole che il divieto e la sanzione si interpretino secondo la definizione ivi contenuta e permette di dedurre che oggi sia inibita solo la vendita di quanto indicato nel capitolo 97 e che deve essere individuabile in base a criteri oggettivi[4].
Il capitolo 97 definisce “oggetti d’arte”: quadri “collages” e quadretti simili (“tableautins”), pitture e disegni, eseguiti interamente a mano dall’artista, ad eccezione dei piani di architetti, di ingegneri e degli altri progetti e disegni industriali, commerciali, topografici e simili, degli oggetti manifatturati decorati a mano, delle tele dipinte per scenari di teatro, sfondi di studi d’arte o per usi simili; incisioni, stampe e litografie originali, precisamente gli esemplari ottenuti in numero limitato direttamente in nero o a colori da una o più matrici interamente lavorate a mano dall’artista, qualunque sia la tecnica o la materia usata, escluso qualsiasi procedimento meccanico e fotomeccanico; opere originali dell’arte statuaria o dell'arte scultoria, di qualsiasi materia, purché siano eseguite interamente dall’artista; fusioni di sculture a tiratura limitata ad otto esemplari, controllata dall’artista o dagli aventi diritto; a titolo eccezionale in casi determinati dagli Stati membri, per fusioni di sculture antecedenti il 1° gennaio 1989, è possibile superare il limite degli otto esemplari; arazzi e tappeti murali eseguiti a mano da disegni originali forniti da artisti, a condizione che non ne esistano più di otto esemplari; esemplari unici di ceramica, interamente eseguiti dall’artista e firmati dal medesimo; smalti su rame, interamente eseguiti a mano, nei limiti di otto esemplari numerati e recanti la firma dell’artista o del suo studio, ad esclusione delle minuterie e degli oggetti di oreficeria e di gioielleria; fotografie eseguite dell’artista, tirate da lui stesso o sotto il suo controllo, firmate e numerate nei limiti di trenta esemplari, di qualsiasi formato e supporto”.
Sono invece “oggetti da collezione”: “francobolli, marche da bollo, marche postali, buste primo giorno di emissione, interi postali e simili, obliterati o non obliterati ma non aventi corso né destinati ad aver corso; collezioni ed esemplari per collezioni di zoologia, di botanica, di mineralogia, di anatomia, o aventi interesse storico, archeologico, paleontologico, etnografico o numismatico.”
Sono definiti “oggetti di antiquariato”, invece, i “beni diversi dagli oggetti d’arte e da collezione, aventi più di cento anni di età”.
Inoltre, le note introduttive specificano che il capitolo non include le scenografie teatrali o le tele nere da studio dipinte, a meno che non abbiano un’età superiore ai cento anni e quindi possano essere considerate antichità.
Quindi, insieme al prosecco, sarebbero esclusi dall’embargo, i video, i neon, le sculture realizzate con stampanti 3D [5], le fotografie e potremmo azzardare pure l’NFT di Beeple [6] venduto da Christie’s per 69,3 milioni di dollari.
Rientrerebbero, invece, tra i beni sanzionati, ma nella categoria dei collectibles i vituperati piccioni impagliati di Cattelan, gli squali in formalina di Hirst e i maiali tatuati di Wim Delvoye.
La gravità delle conseguenze per gli operatori professionali che potrebbero derivare dalla vendita di prodotti listati, tuttavia, impone un’analisi dei precedenti giurisprudenziali sull’interpretazione della definizione di “arte di frontiera” che si è formata in ambito comunitario.
La prima pronuncia risale al 1985, quando la Corte di Giustizia Europea [7] venne interpellata a pronunciarsi sul significato dell’espressione «opere originali dell'arte statuaria e dell’arte scultorea, di qualsiasi materia», secondo la vecchio voce 99.03 della tariffa doganale comune, dal gallerista Reinhard Onnasch che aveva importato la scultura Giant Soft Fan, di cui una versione è esposta al MoMA [8], dell’esponente della Pop Art, Claes Oldenburg, e chiarì che la norma “dev’essere interpretata come comprensiva di qualsiasi opera d’arte tridimensionale, quali che siano le tecniche ed i materiali usati. Di conseguenza, la creazione artistica consistente in un rilievo murale di cartapesta e polistirolo espanso, cosparso di vernice nera ed olio e fissato con fil di ferro e resina sintetica ad un pannello di legno, dev’essere considerata un’opera dell'arta statuaria e dell’arte scultorea ai sensi della voce sopra menzionata.”
Lo stesso anno, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul fatto che “nove pistole da segnalazione, quattro pistole di calibro 9 mm, una pistola di calibro 8 mm, quattro pistole di calibro 7,65 mm e quattro fondine in cuoio”, importate dagli Stati Uniti potessero considerarsi “oggetti da collezione” e ha precisato che “gli oggetti da collezione ai sensi della voce 99.05 della TDC sono quelli che possiedono le qualità richieste per far parte di una collezione, cioè gli oggetti relativamente rari, che non sono normalmente usati secondo la loro destinazione originaria, che formano oggetto di transazioni speciali al di fuori del mercato abituale degli analoghi oggetti di uso comune ed hanno un valore elevato e vanno considerati di interesse storico gli oggetti da collezione che, ai sensi della voce 99.05 della TDC, segnino un passo significativo nell’evoluzione delle realizzazioni dell’uomo, o illustrino un periodo di tale evoluzione [9].
Alcuni anni dopo, sorse una nuova controversia [10], avente ad oggetto l’importazione di 10.000 litografie, alcune delle quali realizzate con una pressa meccanica da due tavole realizzate a mano dall’artista italiano Bruno Bruni, Orchidea I e Orchidea II, tirate rispettivamente in 8400 e 4500 esemplari, non firmate, né numerate. Secondo l’importatore si trattava di “litografie originali” da classificarsi sotto la voce 99.02 e quindi esenti da dazi doganali. L’ufficio doganale di Francoforte, però, le classificò sotto il codice n. 4911.93.09 (“stampe”) e riscosse il relativo dazio doganale del 3,1%, motivando che le litografie non erano firmate né apparentemente legate a nessuna collezione specifica e che erano prodotte in un numero molto ampio di copie. Il Tribunale sottopose alla CGCE una questione sull’interpretazione della nozione di litografia. Prima di tutto, la Corte ha sottolineato quanta differenza ci fosse tra le tecniche in uso al momento e quelle utilizzate all’epoca in cui fu elaborata la nomenclatura e ha riconosciuto che “escludere i processi meccanici non è realistico alla luce delle tecniche di riproduzione litografica”. Era tuttavia necessario definire il significato esatto della nota 2 del capitolo 99 al fine di applicare correttamente i divieti ivi enunciati: in accordo con la Commissione, la CGCE ha affermato che essa doveva essere interpretata nel senso che proibiva non ogni tipo di stampa meccanica, ma solo quelle che sono prodotte in serie. Inoltre, in coerenza con la ratio legis alla base dell’esenzione dai dazi doganali per le opere d’arte, la Corte ha osservato che una litografia è sempre una riproduzione di un disegno fatto a mano da un artista, quindi la sua qualità artistica può essere valutata solo in relazione all’originale: “Una volta che il disegno è stato fatto dall’artista sulla pietra o sulla lastra senza l’assistenza di un processo meccanico o fotomeccanico è irrilevante se la tecnica utilizzata per trasferire il disegno sulla superficie da stampare sia manuale o meccanica, poiché non ha alcuna influenza sulla natura artistica dell’opera”. Di conseguenza, l’esclusione di qualsiasi processo meccanico può riguardare solo alla creazione della lastra originale da parte dell’artista. L’unica condizione, quindi, per avere una litografia originale è che il disegno originale sia stato fatto dall’artista, ma dopo quel momento, non è rilevante il modo in cui vengono fatte ulteriori copie.
Per quanto concerne la tiratura i giudici hanno fatto riferimento agli strumenti interpretativi della TDC e, in particolare, alle note esplicative della nomenclatura e non avendo rilevato nessun riferimento ad un numero massimo di tiratura, come è previsto, ad esempio, per le sculture, conclusero che l’applicabilità della voce 99.02 non poteva essere negata a causa del gran numero di litografie provenienti dallo stesso disegno originale.
Un caso molto interessante ha riguardato la classificazione delle fotografie d’arte [11]. Secondo l’importatore, le 36 fotografie dell’artista Robert Mapplethorpe dovevano essere classificate nella voce 99.02 “Incisioni, stampe e litografie originali”, mentre l’ufficio doganale le aveva semplicemente dichiarate “Fotografie” con il codice 4911.40.09. La richiesta sottoposta alla CGCE era di stabilire se le fotografie fatte da un artista dovessero essere classificate nella stessa voce delle fotografie generiche, o potessero essere classificate nella categoria delle opere d’arte o nel codice delle “serigrafie d’artista”. La CGCE facendo riferimento alla sua precedente pronuncia Volker Huber v. Hauptzollamt Frankfurt am Main-Flughafen, ha ribadito che un bene può essere classificato alla voce “incisioni, stampe e litografie originali” esclusivamente quando, durante il processo di produzione, c’è stato un intervento personale dell’artista che ha eseguito l’originale a mano. Solo l’ulteriore riproduzione di questo primo originale può essere eseguita meccanicamente. Di conseguenza, bisogna riconoscere che non tutti gli oggetti con un valore artistico e fatti da un artista sono inclusi nel capitolo 99 e, in particolare nel caso in questione, le fotografie non potrebbero essere classificate in questo capitolo. Per stabilire se potevano essere considerate “serigrafie D’artista”, i giudici europei hanno riportato la definizione data dalla Corte in un caso precedente dove è stato considerato necessario che l’originale utilizzato per stampare sul tessuto sia stato creato personalmente dalla mano dell'artista. Pertanto, anche questa classificazione doveva essere ignorata quando si trattava di fotografie. Il risultato della CGCE, quindi, fu che le fotografie, indipendentemente dalle loro qualità artistiche, dovevano essere classificate nella sottovoce generale n. 4911 della TDC.
Nel 1990 la Corte di giustizia europea ha dovuto di nuovo interpretare che cosa s’intendesse per “opere d’arte” [12] e in particolare se dei fermacarte prodotti interamente a mano, in edizioni limitate, firmati da noti artisti del vetro, collezionati da collezionisti ed esposti nei musei senza mai essere utilizzati come fermacarte, dovevano essere considerati come articoli di carattere commerciale e di conseguenza essere classificati con riferimento alla loro materia costitutiva o se dovevano essere classificati come opere d’arte. Nel dettaglio il giudice nazionale voleva anche sapere se i fermacarte dovevano essere classificati come quadri et cetera (voce 99.01) o come sculture originali e statuaria, in qualsiasi materiale (voce 99.03). In primo luogo la CGCE ha ribadito che “il criterio decisivo per la classificazione doganale delle merci deve infatti venire reperito in linea generale nelle loro caratteristiche e proprietà obiettive” e che i fermacarte hanno, ai fini della classificazione doganale, un’indole commerciale, in quanto possono trovarsi in concorrenza con prodotti che hanno aspetto analogo e che sono fabbricati industrialmente da celebri cristallerie e ciò non viene inficiato dal fatto che i fermacarte siano fabbricati a mano da noti artisti e in serie limitata.
Nel novembre 1990, la Corte di Giustizia dovette dare un’altra interpretazione del capitolo 99 [13] a seguito dell’importazione di un’opera d’arte dell’artista Laszlo Moholy-Nagy intitolata “Konstruktion in Emaille I (Telefonbild)” consistente in una piastra d’acciaio ricoperta di vernice cotta smaltata e per cui era stata richiesta l’applicazione di un’aliquota ridotta. La CGCE ha innanzitutto osservato che era chiaro che il giudice nazionale non aveva dubbi che di trattasse di un’opera d’arte originale. La Corte ha affermato che un oggetto del genere non può essere considerato come destinato alla decorazione, che costituisce la caratteristica essenziale degli articoli classificati alla voce “altri ornamenti, di metalli comuni” della voce 83.06. Al contrario, secondo la CGCE doveva essere classificato nel capitolo 97. Per quanto riguarda la questione se quest’opera d’arte dovesse essere classificata come un dipinto (97.01) o come una scultura (97.03), la Corte ha osservato che sebbene entrambe le voci coprano creazioni interamente personali in cui un artista esprime un ideale estetico (si noti che la CGCE non ripete il criterio di non concorrenza), ciascuna si riferisce a una specifica categoria di opere d’arte. La voce 97.01 comprende tutte le opere pittoriche eseguite interamente a mano su un supporto di qualsiasi tipo di materiale, mentre la voce 9703 comprende tutte le rappresentazioni tridimensionali in un materiale a cui l’artista ha dato una forma specifica, indipendentemente dalla tecnica e dai materiali utilizzati. Di conseguenza, il criterio che la CGCE ha dato per distinguere tra le due voci, sta nel fatto che per quanto riguarda le produzioni di arte statuaria e scultorea, il carattere artistico essenziale consiste nel modellare una forma tridimensionale dell’opera, mentre per i dipinti, collage e simili placche decorative consiste nel modellare la superficie dell’opera. Secondo la CGCE, la natura artistica del Moholy-Nagy non risiedeva nella sua forma tridimensionale, ma nel fatto che la pittura era stata applicata a mano dall’artista su un supporto d’acciaio che di per sé non aveva valore artistico.
Il caso più recente sulla nozione di arte è nato da un contenzioso tra la galleria d’arte londinese Haunch of Venison Partners Limited HMCR) e il dipartimento delle entrate e delle dogane del Regno Unito. Nel 2006 la Haunch of Venison aveva importato a Londra dagli Stati Uniti dei video di Bill Viola e dei neon di Dan Flavin. Per esigenze logistiche, le opere d’arte erano state smontate e quando sono arrivate alla frontiera, i doganieri hanno aperto le casse e hanno trovato solo quelli che, secondo loro, erano semplici proiettori video e oggetti di illuminazione ordinaria. Di conseguenza, li hanno classificati come “proiettori di immagini, diversi da quelli cinematografici; ingranditori e riduttori fotografici (diversi da quelli cinematografici) – diversi da quelli cinematografici” (voce 9008.30.00) e “lampadari ed altri apparecchi elettrici per l’illuminazione di soffitti o pareti, esclusi quelli dei tipi utilizzati per l’illuminazione di aree o vie pubbliche – altri” (voce 9405.10.28). La Haunch of Venison ha immediatamente presentato una petizione al VAT and Duties Tribunal di Londra, sostenendo che le merci erano ovviamente opere d’arte e avrebbero dovuto essere classificate come sculture, alla voce 97.03, o “pezzi da collezione di interesse storico”, alla voce 97.05. Tra le parti, non c’era contestazione sul fatto che si trattasse di opere d’arte di artisti riconosciuti a livello internazionale. Per risolvere la controversia, la Corte inglese ha fatto riferimento ai precedenti della CGCE e ha riconosciuto che nella giurisprudenza europea la nozione di scultura della voce 97.03 deve essere interpretata in modo flessibile, in modo da dare piena applicazione alla regola già espressa nel caso Onnasch v. Hauptzollamt Berlin Packhof. Inoltre, come in Brancusi v. US, i giudici inglesi hanno ritenuto opportuno ascoltare le opinioni degli esperti d’arte, in modo da lasciare la parola a “coloro che sono più competenti”. Alla fine, il Tribunale di Londra ha deciso per la classificazione di tutte le opere come sculture.
Lo stesso anno però la Commissione Europea ha emanato un regolamento specificamente dedicato alle opere in questione, imponendo la loro classificazione al capitolo 85 (“macchine ed apparecchi elettrici e loro parti; apparecchi per la registrazione e la riproduzione del suono, apparecchi per la registrazione e la riproduzione delle immagini e del suono per la televisione, e parti ed accessori di questi articoli”) per le opere di Viola e alla voce 9405.10 (“lampadari ed altri apparecchi elettrici per l’illuminazione di soffitti o pareti, esclusi quelli dei tipi utilizzati per l’illuminazione di aree o vie pubbliche”) per la creazione di Flavin. Infatti, secondo questo regolamento, le installazioni video come quelle contestate in Haunch of Venison v. HMCR non possono essere considerate sculture perché “I componenti sono stati leggermente modificati dall’artista, ma queste modifiche non alterano la loro funzione preliminare di beni della sezione XVI. È il contenuto registrato sul DVD che, insieme ai componenti dell'installazione, fornisce l’‘arte moderna’”. Inoltre, la Commissione ha dichiarato che non sono merci composte e quindi ogni componente deve essere classificato separatamente. Per quanto riguarda la creazione di Flavin, secondo il regolamento l’opera d’arte moderna non è l’installazione, ma l’effetto di luce realizzato da essa.
Sembrerebbe potersi concludere, quindi, che non tutta l’arte sia all’embargo.
Intanto, però, tutte le principali case d’asta hanno annunciato la cancellazione delle aste di arte russa.
[1] Istituita dal regolamento (CEE) n. 2658/87.
[2] Direttiva 1994/5/CE del 14 febbraio 1994.
[3] C. Humphrey, The Unmaking of Soviet Life: Everyday Economies after Socialism, Ithaca, New York, 2002.
[4] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 5 settembre 2019, causa C-145/18 Regards Photographiques SARL Ministre de l’Action et des Comptes publics.
[5] Interpello Ag. Entrate 2 settembre 2020, n. 303.
[6] Beeple, EVERYDAYS: THE FIRST 5000 DAYS, 2021.
[7] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 15 maggio 1985, causa C-155/84, Reinhard Onnasch contro Hauptzollamt Berlin-Packhof.
[8] Si veda quello nelle collezioni del MoMA al link https://www.moma.org/collection/works/82053 (consultato il 19 marzo 2022).
[9] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 10 ottobre 1985, causa C-252/84, Collector Guns GmbH & Co. KG contro Hauptzollamt Koblenz.
[10] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 14 dicembre 1988, causa C-291/87 Volker Huber contro Hauptzollamt Frankfurt am Main-Flughafen.
[11] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 13 dicembre 1989, causa C-1/89 Raab contro Hauptzollamt Berlin-Packhof
[12] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 18 settembre 1990, causa C-228/89, Farfalla Flemming und Partner contro Hauptzollamt München-West.
[13] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 8 novembre 1990, causa C-231/89, Krystyna Gmurzynska-Bscher, Galerie Gmurzynska contro Oberfinanzdirektion Köln