I Partiti Politici
La definizione costituzionale dei partiti politici ha, fin dalle origini, rappresentato un dilemma dottrinale per gli inevitabili riflessi istituzionali e politici e continua tutt’ora a rappresentare un punto dolente dell’impianto legislativo nazionale.
Nel nostro Ordinamento giuridico i partiti politici, da un lato, si configurano come associazioni private non riconosciute, e come tali soggette alla disciplina degli artt. 36 ss. del cc., dall’altro, essi svolgono funzioni aventi rilevanza pubblicistica poiché si occupano dell’organizzazione del corpo elettorale e della selezione dei candidati.
La qualificazione in senso privatistico dei partiti è stata confermata indirettamente sia da alcune leggi, che hanno escluso l’applicazione ai partiti della disciplina prevista per particolari forme di associazione, sia dalla giurisprudenza, che è ferma su questa posizione da quando in Italia esiste l’ordinamento democratico-repubblicano. Tale regime giuridico, il più garantista per l’autonomia dei partiti, rende gli stessi liberi dal controllo esterno, specie della magistratura. Accogliendo questa posizione, che impone l’applicazione della normativa codicistica rispetto alla disciplina del partito, alla sua organizzazione interna, ai rapporti con l’iscritto, allo svolgimento di talune rilevanti attività come la selezione delle candidature, è pacifica l’applicazione della disciplina dettata per le associazioni non riconosciute ai sensi degli artt. 36-38 c.c.
In particolare, l’art. 36 c.c. dispone che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati mediante accordi tra associati che stabiliscono a chi sia conferita la presidenza o la direzione. L’art. 37 c.c. stabilisce che il fondo comune dell’associazione sia costituito dai contributi degli associati e dai beni acquistati con gli stessi. La divisione del fondo può essere chiesta solo con la fine dell’associazione. Infine, l’art. 38 c.c. dispone che “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”.
Alla luce di quanto sopra, l’ordinamento interno è regolato dagli accordi tra gli associati: i partiti devono avere un atto costitutivo e uno Statuto, in cui sono previste le modalità di adesione e di espulsione dal partito, i diritti e i doveri dei soci, l’organizzazione e la vita del partito.
Le regole statutarie assolvono una duplice funzione: da un lato, esse si ricollegano al momento genetico del partito; dall’altro, costituiscono uno strumento interpretativo rispetto alle eventuali controversie che possono sorgere tra associati.
Lo statuto rappresenta, quindi, la regola di vita associata degli iscritti, che ne disciplina l’azione per il conseguimento degli obiettivi prefissati. Rispetto alla sua sindacabilità da parte del giudice ordinario, si segnala la possibilità di eseguire un mero controllo di legalità e conformità statutaria delle delibere, specialmente quelle espulsive (ai sensi degli artt. 23, 24 e 36 c.c.). Pertanto, l’intervento dell’autorità giudiziaria civile è limitato al ripristino della legalità interna: risulta perciò arduo controllare la democraticità interna del partito.
Sulla base di queste premesse si può concludere che il partito politico, pur vivendo in un rapporto osmotico con il diritto pubblico, dal punto di vista giuridico appartiene al mondo del diritto privato e, perciò, deve sottostare alle sue regole.
Chiarita la natura giuridica del partito politico è ora doveroso esaminare il contenuto della disposizione costituzionale che lo disciplina.
L’art. 49 Cost. stabilisce che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
La suddetta norma è, infatti, situata tra l’art. 48 Cost., che contempla il diritto di voto, e la Parte II della Costituzione, dedicata all’Ordinamento della Repubblica (artt. 55 ss.), offrendo l’immagine di una sorta di norma ponte, che riguarda lo strumento che consente di collegare l’esercizio della sovranità popolare, attraverso il voto, e il funzionamento delle istituzioni repubblicane: il partito politico, appunto.
La collocazione dell’art. 49 all’interno del testo costituzionale, quindi, consente di comprendere il ruolo di trait d’union tra società e istituzioni rappresentative che i costituenti intendevano riconoscere al partito, visto come strumento idoneo a veicolare le istanze degli elettori in seno alle istituzioni, consentendo l’esercizio della sovranità non solo nel momento della consultazione elettorale, bensì in ogni fase della vita pubblica, facendo sistema, così, con l’art. 1 Cost.
La collocazione dell’art. 49 Cost. consente, altresì, di evidenziare il ruolo di mediazione del partito tra società e istituzioni, giacché il partito è chiamato a conciliare le diverse istanze espresse da una società pluralista, provando a ricomporre tale complessità in proposte di compromesso. Inoltre, la funzione di mediazione del partito dovrebbe anche contenere le pulsioni egoistiche e antisistema presenti nella società, riformulandole in forme compatibili con le regole della democrazia e con le esigenze di solidarietà proprie di un complesso di persone riunite in una comunità, nonché respingendo quelle incompatibili con i valori che informano l’ordinamento costituzionale. Anche questa funzione del partito pare coerente con la collocazione dell’art. 49 nella Costituzione, poiché essa consente di comprendere come il partito possa ricondurre all’interno del circuito democratico quelle istanze provenienti da settori della società che, rimanendo senza rappresentanza politica, potrebbero estremizzarsi sino a costituire un rischio per la pacifica convivenza sociale e per la tenuta delle istituzioni democratiche.
È evidente, quindi che la collocazione dell’art. 49 all’interno della Costituzione sta a significare che il partito è uno strumento indispensabile per il funzionamento della democrazia.
Un’altra valutazione che deriva dalla topografia costituzionale è quella relativa al rapporto tra la libertà di associarsi in partiti politici prevista dall’art. 49 Cost. e la più generale libertà di associazione, contemplata dall’art. 18 Cost., secondo il quale: “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. A tal proposito, è possibile ipotizzare che l’art. 49 Cost. rappresenti una specificazione della più generale libertà di associarsi, con la conseguenza che la disciplina dell’art. 18 Cost. possa estendersi anche al fenomeno dell’associazionismo partitico.
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Alla luce della disamina sopra effettuata è evidente che i partiti politici sono strumenti attraverso i quali le istituzioni e il popolo, titolare della sovranità, entrano in contatto e, quindi, realizzano i presupposti affinché gli elettori possano prendere parte in modo effettivo alla definizione della politica nazionale. Hanno il delicato compito di selezionare la classe politica, si trovano quindi al centro dei processi democratici. Essi stessi devono, pertanto, garantire standard di democraticità, sia per quanto attiene alle loro specifiche finalità, sia per quanto concerne la loro organizzazione interna. È, quindi, necessario che i partiti siano soggetti a norme che consentano di rispettare il “metodo democratico”, attraverso processi interni che assicurino, in particolare, partecipazione e trasparenza.
Nel tempo sono state presentate diverse proposte di legge per regolamentare l’organizzazione interna dei partiti, ma nessuna di queste iniziative è stata ancora adottata.