Configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta anche se la falsa documentazione è creata dallo stesso utilizzatore

Cassazione penale, Sezione III, 29 marzo 2023, n. 13096
dichiarazione fraudolenta
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Configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta anche se la falsa documentazione è creata dallo stesso utilizzatore

 

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13096, depositata in data 29 marzo 2023, si è pronunciata in tema di operazioni soggettivamente inesistenti specificando che l’integrazione del reato di dichiarazione fraudolenta si configuri anche nel caso in cui l’artificiosa imputazione di costi in fattura venga predisposta dal medesimo utilizzatore che la presenti come proveniente da terzi.

La vicenda in esame trae origine dal ricorso proposto da una coppia di coniugi avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino che li aveva condannati per i reati di cui agli artt. 110 del codice penale e 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74. In particolare gli stessi, l’uno in qualità di “referente gestionale di fatto” e l’altra nelle vesti di “amministratore di diritto” di una entità giuridica, avevano indicato nell’annuale dichiarazione dei redditi elementi passivi fittizi costituiti da fatture apparentemente emesse da una terza società ma relative a prestazioni inesistenti, conseguendo un’ingente evasione IVA.

I motivi di doglianza eccepiti dalle parti ricorrenti erano riferibili, tra gli altri, a differenti vizi quali l’erronea valutazione del quadro probatorio, la sussistenza della stessa fattispecie incriminatrice in considerazione della mancata contestazione del reato di emissione delle fatture al legale rappresentante della società qualificata come emittente nonché dell’elemento psicologico del reato.

In ordine all’inidoneità degli elementi addotti per affermare l’inesistenza delle operazioni documentate nelle fatture, lamentata dal “gestore di fatto”, la Suprema Corte ha ritenuto come le conclusioni della sentenza impugnata fossero fondate su elementi precisi e congrui poiché supportate da una serie di elementi istruttori (quali, per esempio, l’assenza di dipendenti, la mancanza di beni strumentali e di automezzi per l’esercizio dell’attività, la “fittizietà” della sede, la natura delle prestazioni, i precedenti penali specifici del ricorrente) idonei a ritenere la società beneficiaria delle prestazioni una “cartiera”.

Quanto alla mancata contestazione del reato di emissione delle fatture, la Corte di Cassazione ha stabilito l’irrilevanza di tale dato avvalorando la circostanza che l’imputazione avesse già ritenuto le stesse fatture “apparentemente emesse” e quindi ipotizzando come prospettiva plausibile una situazione in virtù della quale detti documenti “sarebbero stati artificiosamente creati da soggetti diversi dagli amministratori della società” emittente. Nel caso specifico, in effetti, costante giurisprudenza[1] è concorde nel ritenere configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti anche nella circostanza in cui l’utilizzatore si precostituisce artificiosamente costi sostenuti al fine di abbattere l’imponibile.

E stato osservato, inoltre, come in tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, “i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l'IVA al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia[2].

Con riferimento all’ultimo aspetto, relativo all’elemento soggettivo del reato, gli ermellini hanno condiviso le conclusioni a cui è giunta la Corte di appello ritenendo il reato di cui all’art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 compatibile con il dolo eventuale ravvisabile nell'accettazione del rischio che l'adempimento dichiarativo, comprensivo anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa comportare l'evasione delle imposte dirette o dell'IVA. Nel caso specifico il ruolo dell’”amministratore di diritto” non risulta meramente formale sia in considerazione della contiguità derivante dalla posizione parentale sia perché nella dichiarazione mendace sono state utilizzate fatture, per una sola annualità, per un importo molto elevato, superiore al milione di euro.

 

[1] Per ulteriori approfondimenti si rinvia alle seguenti sentenze della Corte di Cassazione: Sezione Feriale, n. 47603 del 31 agosto 2017 e Sezione III, n. 48498 del 24 novembre 2011.

[2] Si rinvia anche a Corte di Cassazione, Sezione III, n. 29977 del 12 febbraio 2019.