La carne sintetica: divieti e sanzioni
La carne sintetica: divieti e sanzioni
I divieti di legge
La legge 1 dicembre 2023, n. 172 introduce il divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati (la c.d. carne sintetica), nonchè il divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali.
Precisamente, secondo l’art. 2, sulla base del principio di precauzione previsto dal regolamento (CE) n. 178/2002, è vietato agli operatori del settore alimentare e agli operatori del settore dei mangimi impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare ovvero promuovere ai suddetti fini alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati.
Inoltre, secondo l’art 3 è vietato l'uso di:
a) denominazioni legali, usuali e descrittive, riferite alla carne, ad una produzione a base di carne o a prodotti ottenuti in prevalenza da carne;
b) riferimenti alle specie animali o a gruppi di specie animali o a una morfologia animale o un'anatomia animale;
c) terminologie specifiche della macelleria, della salumeria o della pescheria;
d) nomi di alimenti di origine animale rappresentativi degli usi commerciali.
Si pensi alle espressioni “polpette di soia”, “hamburger di ceci” o “fishburger di verdure”: tali denominazioni saranno consentite solo ed esclusivamente quando il prodotto in vendita contenga prevalentemente proteine animali, oltre a quelle vegetali, purché la composizione dell’alimento sia chiara al consumatore.
La misura è nata con l’obiettivo di impedire l’uso di terminologie improprie, che possano trarre in inganno il consumatore: entro due mesi verrà pubblicato un elenco delle denominazioni di vendita degli alimenti a base di proteine vegetali ritenute ambigue (“Carne artificiale, il divieto è legge: ecco cosa prevede”, S. Marzialetti, Il Sole 24 ore, 16 novembre 2023).
Le disposizioni dell’art 3 non si applicano quando le proteine animali sono prevalentemente presenti nel prodotto contenente proteine vegetali e purché non si induca in errore il cittadino che consuma sulla composizione dell'alimento.
L’impianto sanzionatorio
Salvo che il fatto costituisca reato (si pensi, in particolare alla frode in commercio), gli operatori del settore alimentare e gli operatori del settore dei mangimi che violino le disposizioni sopra menzionate sono soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di euro 10.000 fino ad un massimo di euro 60.000 o del 10 per cento del fatturato totale annuo realizzato nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente all'accertamento della violazione, quando tale importo è superiore a euro 60.000.
La sanzione massima non può eccedere, comunque, euro 150.000.
Alla violazione conseguono la confisca del prodotto illecito e l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie del divieto di accesso a contributi, finanziamenti o agevolazioni o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, da altri enti pubblici o dall'Unione europea per lo svolgimento di attività imprenditoriali, per un periodo minimo di un anno e massimo di tre anni, nonché la chiusura dello stabilimento di produzione, per lo stesso periodo.
Alle medesime sanzioni è soggetto chiunque abbia finanziato, promosso o agevolato in qualunque modo le condotte vietate.
Osservazioni critiche sulle sanzioni accessorie
Non condivido le previsioni concernenti le sanzioni accessorie, lontane dal sistema, ormai maturo, codificato con il d.lg. 231/2001.
Si tratta di sanzioni equivalenti a quelle interdittive previste dal d.lg. 231 per fatti di reato e che sembra possa essere applicate automaticamente, a differenza delle prime che, come noto, richiedono precisi presupposti da accertare in concreto.
Anzi, la chiusura dello stabilimento non è neppure prevista nel sistema di responsabilità da reato dell’ente: si tratta di una sorta di pena di morte per l’ente che, all’epoca, non si è ritenuto di inserire nel testo definitivo del d.lg. 231, pur vertendosi in tema di fatti di reato.
Va pure aggiunto che la durata massima delle sanzioni accessorie in commento è addirittura superiore a quella prevista, in generale (tranne che per alcune ipotesi di corruzione), dal d.lg. 231 (2 anni).
Insomma: si tratta di sanzioni accessorie, di tipo interdittivo, conseguenti ad un illecito amministrativo, più gravose di quelle previste dal d.lg. 231 per fatti di reato e, per giunta, di applicazione automatica (a differenza di quelle ex d.lg. 231).
La gravità del fatto, la durata della violazione, l'opera svolta dall'ente per l'eliminazione o l'attenuazione delle conseguenze della violazione (e, a questi fini rileverebbe certamente la compliance aziendale) e le sue condizioni economiche possono servire ai fini della quantificazione della sanzione pecuniaria ma non possono incidere sulla sanzione accessoria (rectius: possono incidere solo sulla sua durata).
Una volta applicata la sanzione pecuniaria, anche nel minimo, l’Autorità competente dovrà necessariamente applicare anche quelle accessorie – cumulativamente peraltro – del divieto di accesso a finanziamenti pubblici e della chiusura dello stabilimento di produzione, per una durata compresa tra 1 e 3 anni.
Il Legislatore dovrebbe essere più attento ad integrare in maniera sistematica le nuove ipotesi di sanzioni nei confronti di un ente, anche se derivanti da illeciti amministrativi e non da reati, in maniera coerente con la ratio – almeno – del d.lg. 231/2001.