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Alcuni aspetti giuridici e non dell’ educazione alimentare

educazione alimentare
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Alcuni aspetti giuridici e non dell’ educazione alimentare

I genitori sono il modello più autorevole per il bambino e questo costituisce il fulcro della comunicazione alle famiglie; come e con cosa si alimenteranno i genitori e gli altri componenti della famiglia condizionerà permanentemente il bambino, e quindi la sua salute fisica e psichica. […] I genitori hanno la responsabilità di provvedere a cosa, quando, dove mangiare, ossia di offrire al bambino alimenti salutari senza mai esercitare forzature per indurlo a mangiare, di strutturare modalità e tempi dei pasti per far sì che il ciclo appetito/sazietà si svolga regolarmente, e di mangiare insieme a tavola. Oltre a proporre nella giusta varietà e qualità gli alimenti domestici sminuzzati, tagliati a pezzi, triturati, schiacciati usando il cucchiaino quando il bambino lo desidera, protendendosi verso di esso e aprendo la bocca per accoglierlo, è opportuno permettere al bambino di divertirsi nel manipolare il cibo […]” (da “Il punto di vista dell’Associazione Culturale Pediatri sull’alimentazione complementare”, documento del 7 dicembre 2017). Tra le tante responsabilità dei genitori è da rivalutare l’educazione alimentare perché non è solo dar da mangiare adeguatamente ai figli ma influire sulla loro salute e sulla loro vita in generale.

L’educazione alimentare è perciò uno degli aspetti della responsabilità genitoriale. Non bisogna far mangiare spesso pasta in bianco, imboccare oltre i 3-4 anni di età, né accontentare o assecondare i figli continuamente nei loro gusti “monotematici” perché torna comodo per un risparmio di tempo e di fatica, né preparare passati di verdure o legumi anche man mano che crescono (i bambini si devono abituare a mordere, masticare e ingoiare perché è fisiologico che sia così; si pensi pure a tutti i modi di dire con i citati verbi, da “mordere la vita” a “ingoiare bocconi amari”), nemmeno inculcare altre abitudini scorrette tipiche delle famiglie d’oggi. La varietà del cibo e il comportamento a tavola è anche una questione di buona salute (art. 24 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), di cultura, di convivialità, di educazione alle difficoltà e alle differenze (art. 29 Convenzione), al gusto e ai colori della vita.

La storica Lucetta Scaraffia scrive: “In questo modo il rituale della tavola imbandita, del mangiare insieme, dell’impegnarsi per far riuscire bene una festa e per ricompattare una famiglia, conosce un tramonto che sembra inarrestabile. Certo, questi preparativi richiedevano una speciale dedizione femminile che oggi non c’è più. Da quando il pranzo è stato sostituito da un piluccare di ciascun membro della famiglia per conto suo, la cena è spesso precotta o addirittura consumata fuori. Così risulta difficile mantenere persino nei giorni delle feste l’antica abitudine del desco familiare. Ma dobbiamo renderci conto che in questo modo il cibo è stato privato di ogni valore simbolico, di ogni carica affettiva, di ogni vincolo di solidarietà, per diventare un consumo come un altro. Un consumo che inchioda alla propria identità sociale, alle proprie possibilità economiche”. Preparare e mangiare insieme in famiglia ha una funzione polivalente, da quella antropologica a quella psicologica. È anche una forma di assistenza familiare ai sensi degli articoli 143 comma 2, 147 e 315 bis comma 1 del codice civile.

Si dimentica che, oltre alla fame nel mondo, esiste anche la “fame d’amore” che porta ai disturbi del comportamento alimentare. I genitori trascurano l’educazione alimentare e la differenza tra alimentazione e nutrizione e che hanno il dovere di dare un futuro di salute. Anche nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile si pone come obiettivo quello di migliorare l’alimentazione per risolvere la malnutrizione da una parte e lo spreco alimentare dall’altra.

“Mangiando entriamo in relazione con il mondo, perché esprimiamo non solo il nostro appetito fisico, ma anche il nostro desiderio, la nostra affettività” (cit.). Il cibo è molto importante per i bambini e i ragazzi, per questo manifestano spesso il loro malessere con i disturbi del comportamento alimentare o più semplicemente con l’onicofagia (mangiarsi le unghie). “[…] garantire che tutti i membri della società, in particolare i genitori ed i fanciulli, siano informati sull’uso di conoscenze di base circa la salute e la nutrizione infantile, i vantaggi dell’allattamento materno, l’igiene personale ed ambientale, la prevenzione degli incidenti, e beneficino di un aiuto che consenta loro di avvalersi di queste informazioni” (art. 24 lettera e Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Gli esperti spiegano: “I disturbi del comportamento alimentare rappresentano – nel mondo occidentale odierno – un’emergenza e, contemporaneamente, un inquietante interrogativo. Sono infatti condotte che suscitano interesse sia perché attengono al corpo (che nella società occidentale contemporanea è fatto oggetto di un’attenzione ossessiva e ossessionante), sia perché appaiono per certi versi inspiegabili, dati gli esiti talvolta drammatici della loro evoluzione. La clinica è ormai concorde sul fatto che anoressia e bulimia sono patologie di origine multifattoriale e – in quanto tali – dovrebbero beneficiare, nella loro interpretazione così come nel loro trattamento, di un approccio multidisciplinare” (la consulente educativa Laura Romano e lo psicoanalista Roberto Pozzetti, “Gaia di nome. I disturbi alimentari nell’adolescenza”, 2016). L’anoressia e la bulimia non sono problemi personali o familiari, ma sociali (si parla di aspetti sociali dell’anoressia o di anoressia come malattia sociale). Perché “Una buona salute è una risorsa significativa per lo sviluppo sociale, economico e personale ed è una dimensione importante della qualità della vita. Fattori politici, economici, sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici possono favorire la salute, ma possono anche danneggiarla. L’azione della promozione della salute punta a rendere favorevoli queste condizioni tramite il sostegno alla causa della salute” (dalla Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986).

“Al centro del disordine alimentare vi è una malattia complessa determinata dalla interazione di fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Nel paziente c’è una ossessiva sopravvalutazione dell’importanza della propria forma fisica, del proprio peso e corpo e una necessità di stabilire un controllo su di esso. Alla base dei Dca [Disturbi del comportamento alimentare] vi sono, oltre a una componente di familiarità, l’influenza negativa da parte di componenti familiari e sociali, la sensazione di un eccesso di pressione e di aspettative, o al contrario, di essere trascurati, il sentirsi oggetto di derisione per il proprio fisico o di non poter raggiungere i risultati desiderati per problemi di peso e apparenza oppure una tendenza autodistruttiva” (così Filippo Tradati, medico). I genitori devono fare attenzione all’eccessivo silenzio, alla chiusura, all’apparente calma o mancanza di manifestazioni della caratteristica aggressività adolescenziale, soprattutto nelle ragazze, perché si potrebbe celare un’implosione sfociante in disturbi quali l’anoressia e la bulimia. “[…] sviluppare la medicina preventiva, l’educazione dei genitori e l’informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare” (art. 24 lettera f Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). E la pianificazione familiare riguarda tutte le fasi della vita familiare.

Educazione alimentare è anche mangiare con i bambini per educarli a tavola, per educarsi a tavola: “La salute è creata e vissuta dalle persone all'interno degli ambienti organizzativi della vita quotidiana: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama. La salute è creata prendendosi cura di se stessi e degli altri” (da “Entrare nel futuro” della Carta di Ottawa per la promozione della salute).