G. TOTI - II PARERE DEL PROF. S. CASSESE: OSSERVAZIONI

G. TOTI - II PARERE DEL PROF. S. CASSESE: OSSERVAZIONI
Pag. 3 del parere: «Se, da una parte, non vi è dubbio che il grado di afflittività delle misure cautelari debba essere proporzionato alla gravità dei fatti e al principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, non vi è anche dubbio che vi siano altri elementi con i quali il tipo di misura cautelare debba essere bilanciato. Questo principio è stato sinteticamente ed efficacemente espresso in una recente sentenza della Corte costituzionale (230/21), par. 7: “Non sarebbero bilanciati correttamente gli interessi in gioco, in particolare quello (tutelato dall’art. 97 Cost.) al buon andamento dell’azione amministrativa e quelli contrapposti (tutelati dagli artt. 48 e 51 Cost.) dell’eletto al mantenimento della carica e degli elettori alla continuazione della funzione da parte del cittadino da essi democraticamente scelto, nonché il principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (art. 27 Cost.)”».
In realtà, il virgolettato riporta fedelmente l’argomentazione non della Corte Costituzionale, ma di uno dei Giudici remittenti (il Tribunale di Catania) promotore di una questione di legittimità costituzionale (avente per oggetto la c.d. Legge Severino), che è stata ciononostante respinta dalla Corte con la nota sentenza n. 230 del 2021.
Pag.3 del parere: «Il principio secondo il quale deve essere fatto un ragionevole bilanciamento di una molteplicità di diritti è stato fissato dalla Corte costituzionale nella sentenza 206 /99, par.12, secondo la quale “una misura cautelare, proprio perché tale, e cioè tendente a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento (nella specie giudiziale), deve per sua natura essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa provvisoriamente comprime. Se eccede da tali limiti, è suscettibile di una valutazione di illegittimità costituzionale per l’ingiustificato sacrificio, che essa comporta, dei diritti del singolo”».
il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia aveva sollevato questione di legittimità costituzionale, in relazione ad alcuni articoli della legge 19 marzo 1990, n. 55 e successive modifiche, alla cui stregua i dipendenti delle amministrazioni pubbliche rinviati a giudizio in quanto indiziati di appartenere ad una associazione di stampo mafioso - nella specie un docente universitario – sol per tale ragione sono sospesi immediatamente dall’ufficio ad opera del capo dell’amministrazione di appartenenza. Nel rigettare la questione di legittimità costituzionale, con la sentenza n. 206 del 1999 la Corte Costituzionale ha affrontato anche il problema della durata temporale dell’obbligatoria sospensione dall’ufficio come mera conseguenza del rinvio a giudizio, concludendo nel senso che tale sospensione cessa con la sopravvenienza di una sentenza, ancorché priva della forza di giudicato, di non doversi procedere o di proscioglimento. Con la stessa decisione (v. par. 2 a pag.7) la Corte Costituzionale ha comunque stigmatizzato la differenza tra la situazione oggetto del giudizio e quella qualificata dalla «presenza di una misura restrittiva della libertà personale...» ricorrente nella vicenda Toti.
Parere pag. 8: è richiamato l’art. 289, 3° c.p.p., secondo cui la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio non è applicabile agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare. Ma sul punto si è espressa più volte la Suprema Corte Cassazione penale. V. da ultimo Cass., sez. V, 06/09/2023, n.39485: «È legittima l'applicazione di una misura cautelare coercitiva a persona che ricopre un ufficio elettivo per diretta investitura popolare, in quanto il divieto di applicare a tale soggetto la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, non può essere interpretato nel senso che esso introduca un "salvacondotto" cautelare, pena la violazione del principio di uguaglianza.» (Fattispecie relativa ad ordinanza applicativa della misura cautelare del divieto di dimora nel comune nel quale il ricorrente ricopriva l'ufficio di consigliere comunale).
Concludendo (pag. 9) il prof. Cassese ha chiesto al giudice del riesame di provvedere «alla ponderazione dei diversi elementi indicati, che vanno ad aggiungersi a quello della gravità del reato, che attiene all’esigenza di giustizia: il buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede di assicurare la continuità dell’azione amministrativa; l’investitura popolare, che impone di considerare il rispetto delle scelte compiute dall’elettorato; lo “ius in officio” di terzi che hanno una situazione giuridica attiva a mantenere l’ufficio». Sul punto, specialmente dopo le anzidette valutazioni critiche, sembra difettare la congruente cornice normativa di supporto.
Infine, nel corso di un’intervista rilasciata il 13 luglio al Messaggero è stato chiesto al Prof. Cassese: «Il legale di Toti ritiene che i domiciliari siano un’indebita pressione affinché si dimetta. È d’accordo?» La risposta: ««Altri autorevoli commentatori concordano sulla circostanza che la durata della misura abbia uno scopo ulteriore, non dichiarato e non motivato». Anche tale ‘concordanza’ appare tanto sorprendente quanto immotivata!