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Il palazzo del principe foresto: da dimora gentilizia a sede di rappresentanza della prefettura di Modena

Palazzo del principe foresto - Modena
Palazzo del principe foresto - Modena

La notizia di una prima dimora gentilizia, sorta nel medioevo, risale allo studioso ottocentesco Luigi Francesco Valdrighi, il quale, nel suo Dizionario storico-etimologico (1880), menziona “il palazzo dell’Intendenza di Finanza… che fu un giorno de’ Fogliani, de’ Rangoni, degli Este”, aggiungendo come in esso soggiornarono illustri ospiti: “fra gli altri nel 1475, quando era de’ Fogliani, il re di Danimarca che andava al giubileo”.

La notizia venne poi ripresa da Giordano Bertuzzi nei suoi studi sul Palazzo di Foresto; i lavori del Bertuzzi, come è doveroso rimarcare, rappresentano ad oggi i principali punti di riferimento storiografici per ricostruire le vicende di questa antica dimora ubicata nel pieno centro di Modena[1].

Il palazzo dovette svilupparsi a partire dalla fine del medioevo  lungo il “Canalgrande”, l'importante via d’acqua realizzata dai monaci di S. Pietro nel secolo XI; derivato dal Panaro, il canale attraversava Modena alimentando il mulino del monastero e le fosse del castello, sede del potere estense a partire dalla fine del Duecento.

Lungo il tratto cittadino del canale vennero edificate, nel corso del medioevo, le case delle più importanti famiglie patrizie. Posto quindi lungo la strada dell’aristocrazia modenese, il palazzo rivestì fin dal medioevo un ruolo di assoluto rilievo nella vita della città.

L’ubicazione dell’edificio, tra la via Emilia (il decumano) e la principale via d’acqua cittadina, rifletteva il prestigio dei suoi proprietari, i Fogliani. Originari dell’omonimo castello, a sud di Reggio, i signori da Fogliano svolsero un importante ruolo politico a partire dalla fine del XII secolo, quando entrarono in possesso di castelli matildici. Nel 1290 il marchese Obizzo d’Este, già signore di Modena, fu acclamato signore di Reggio, e tra i suoi primi atti decretò il rientro dei Fogliani dall’esilio. I legami con gli Estensi dovettero quindi favorire l’ascesa della famiglia anche a Modena; la stessa acquisizione di una grande casa al centro della città, sul Canalgrande, va con ogni probabilità posta in correlazione con il tentativo degli Estensi di consolidare il proprio dominio attraverso l’insediamento di consorterie di comprovata fiducia. Nel Trecento i da Fogliano divennero signori di Reggio, con Niccolò, padre del noto condottiero ghibellino Guidoriccio da Fogliano (1290-1352), immortalato nel celebre affresco senese attribuito a Simone Martini.

La seconda metà del Trecento vide i Fogliani al centro delle lotte tra Scaligeri, Gonzaga e Visconti per la signoria su Reggio.

Tra XIV e XV secolo i Fogliani si distinsero come condottieri, attestandosi prevalentemente su posizioni filo-estensi; nel 1450 Corrado da Fogliano, fratellastro di Francesco Sforza, partecipò, in rappresentanza del casato, all’incoronazione di Borso d’Este, divenuto marchese di Ferrara alla morte di Lionello. Due anni dopo (1452) l’imperatore Federico III d’Asburgo, al rientro dall’incoronazione a Roma, nominò Borso d’Este duca di Modena e Reggio.

Il titolo ducale su Ferrara arrivò invece solo un ventennio più tardi (1471), quando fu conferito allo stesso Borso da papa Paolo II.

Le lotte del Quattrocento segnarono l’inizio di un lungo declino per la famiglia dei Fogliani, frammentatasi in diversi rami. Il ramo modenese, proprietario del palazzo sul Canalgrande, ebbe comunque lunga vita.

Tra i Fogliani di Modena vanno annoverati in primis i fratelli Jacopo e Ludovico, vissuti a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, che furono tra i più noti musicisti del periodo rinascimentale; essi ottennero l’incarico di maestri di cappella del Duomo, inaugurando quei rapporti della famiglia con la Chiesa di Modena che conobbero il loro apice nel Settecento, con l’elezione vescovile di Stefano e Giuseppe Maria da Fogliano. 

Nel 1481 i Fogliani vendettero il palazzo al conte Niccolò Maria Rangoni; la dimora entrò così in possesso della più importante famiglia patrizia di Modena, i Rangoni. Già vassalli matildici, i Rangoni ricoprono più volte la podesteria cittadina e capeggiarono la fazione guelfa degli Aigoni contrapposta ai ghibellini Grasolfi. Nel Duecento i Rangoni arrivarono vicini al principato, ma le lotte di fazione li indussero ad offrire la signoria di Modena ad Obizzo d’Este (1289). La alleanza con gli Estensi fruttò al casato, nel corso del Trecento, l’acquisto dei feudi di Castelvetro, Levizzano, Spilamberto.

Nel 1481 il conte Niccolò Maria Rangoni acquistò il palazzo sul Canalgrande, che divenne una fastosa dimora rinascimentale. Niccolò Maria fu un importante uomo d’armi; dal suo matrimonio con Bianca Bentivoglio, figlia del signore di Bologna Giovanni II, nacquero Ercole, futuro vescovo di Modena, Guido e Ludovico, insigni capitani di ventura. Le guerre della Lega di Cambrai (1508-1510) e della Lega Santa (1511-1515) videro i Rangoni contrapposti agli Estensi.

In tale contesto i signori di Spilamberto si schierarono con papa Giulio II, favorendo la conquista di Modena da parte delle truppe papali (1510).

I Rangoni furono i principali attori della scena politica modenese negli anni della dominazione pontificia e il loro palazzo fu al centro della vita cittadina. Il cardinale Ercole, morto a seguito del sacco di Roma nel 1527, ospitò nella dimora sul Canalgrande il futuro Leone X, nel 1512. I fratelli Guido e Ludovico Rangoni combatterono per i papi di Casa Medici, Leone X e Clemente VII, così come per Venezia e la Francia. Ludovico nel 1524 sposò Bianca Pellegrino, che portò in dote ai Rangoni i feudi di Roccabianca e Zibello.

Nell’ambito dei rapporti coi Medici e con la corte francese, i Rangoni ospitarono nel loro palazzo il re di Francia Francesco I nel 1515. Il Dizionario storico-etimologico del Valdrighi riporta, per quagli anni, anche il soggiorno di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino.

Con la restaurazione del dominio estense su Modena nel 1527, i Rangoni pagarono la loro politica antiestense con la perdita temporanea del palazzo cittadino. Negli anni seguenti, tuttavia, la riconciliazione con il duca li reintegrò nei loro beni.

Nel 1598 con la Devoluzione di Ferrara, il duca Cesare (1598-1628), del ramo degli Este di Montecchio, trasferì la capitale a Modena; anche a seguito del trasferimento della corte, i Rangoni mantennero la loro importanza all’interno del patriziato, continuando a ricoprire importanti incarichi politici e militari sia per il duca che per altri sovrani nell’ambito della Guerra dei Trent’anni (1618-1648).

In tale contesto, il conte Giulio Rangoni, pronipote di Ludovico, prese parte alle guerre per la successione al Ducato di Savoia. Le ferite riportate durante la battaglia di Moncalieri condussero Giulio Rangoni alla morte nel 1639. Un anno più tardi (1640), la sua vedova, donna Ottavia Farnese Rangoni, decise di vendere il palazzo di Modena alla Casa d’Este.

Nel luglio 1640 il palazzo sul Canalgrande, con le sue pertinenze, entrò a far parte del patrimonio estense. Ottavia Farnese, vedova del conte Rangoni, vendette la dimora al principe Luigi (I) d’Este (1594-1664), figlio terzogenito del duca Cesare. Uomo d’armi, Luigi d’Este si era distinto durante la Guerra dei Trent’anni (1618-1648). Erano anni difficili per il Ducato, sebbene l’abilità del duca Francesco I avesse riportato la corte estense agli antichi splendori.

Fu sotto Francesco I che, nel 1640, Luigi d’Este entrò in possesso di palazzo Rangoni, un acquisto probabilmente favorito dai buoni rapporti col duca; Francesco I infatti investì Luigi dei marchesati di Montecchio e Scandiano, nominandolo anche governatore di Modena.

Parallelamente, però, il marchese fu coinvolto in un discusso affaire familiare che vide l’unione matrimoniale tra sua figlia Ippolita e il suo stesso fratello Borso.

Dal matrimonio di Borso con la nipote nacquero quattro figli: Luigi (II) (1648-1698), Foresto (1652-1725), Cesare Ignazio (1653-1713) e Angela Maria Caterina (1656-1722). Nel 1662 Luigi (I) fece testamento a favore dei suoi nipoti; il marchese volle che il palazzo cittadino fosse detratto dal resto dei suoi beni, restando una proprietà indivisa per ragioni di primogenitura; lo lasciò in eredità al maggiore dei suoi nipoti, figli di Ippolita, Luigi (II). Morto Luigi (I) nel 1664, il palazzo passò a Luigi (II) d’Este, che fu proprietario della dimora sul Canalgrande per tutta la seconda metà del secolo.

Nel frattempo la morte di Francesco I a Santhià (1658) aveva portato al trono Alfonso IV, marito di Laura Martinozzi, nipote del cardinale Mazarino.

Con la prematura scomparsa di Alfonso, la duchessa divenne reggente in nome del giovane figlio Francesco II (1662-1694). La partenza della Martinozzi per Londra, in occasione delle nozze della figlia Maria Beatrice con Giacomo II Stuart, fornì l’occasione per una congiura di palazzo, che segnò di fatto la caduta della reggente (1674).

Il nuovo scenario politico favorì la progressiva ascesa a corte dei fratelli Luigi, Foresto e Cesare Ignazio d’Este; quest’ultimo, in particolare, divenne il principale favorito del giovane duca Francesco II.

Foresto e Cesare Ignazio, che per anni avevano vissuto alla corte del Re Sole, introdussero nel più austero ambiente modenese uno stile di vita e una libertà di costumi che dovettero sedurre il giovinetto.

Nel loro palazzo sul Canalgrande i tre fratelli, infatti, avevano dato vita ad un corte parallela, ben più sfarzosa di quella ducale. La dimora giocò un ruolo di rilievo nella loro ascesa, in quanto le sontuose feste che vi si tennero dovettero affascinare il duca, il quale affidò tutto il potere a Cesare Ignazio e Foresto. Gli Este di Scandiano furono per anni i veri arbitri della politica estense, fino a quando le pressioni del Re Sole e la scomparsa di Francesco II (1694) segnarono il loro declino, con l’esilio a Bologna di Cesare Ignazio.  

Luigi (II) d’Este, marchese di Scandiano e Montecchio e governatore di Reggio, fece testamento nel 1679; non avendo figli, nominò eredi in parti eguali i due fratelli minori, Foresto e Cesare Ignazio. Luigi (II) morì nel 1698, e il palazzo passò ai suoi due fratelli. Contestualmente al passaggio di proprietà, fu redatto un inventario dei beni presenti nella dimora, da cui apprendiamo che in essa erano conservate ricche collezioni d’arte (quadri di Tiziano, Tintoretto, Correggio, Guercino ed altri celebri pittori).

Morto anche Cesare Ignazio nel 1713, il palazzo rimase al solo Foresto, che ne fu il proprietario esclusivo fino alla morte, nel 1725.

In quegli anni il palazzo, che si presentava con un ampio portico lungo la facciata posta sul Canalgrande, assunse il nome con cui è passato alla storia, derivante dal suo principale proprietario.

Nato a Modena nel 1652, il principe Foresto d'Este rimase presto orfano dei genitori, Borso d’Este ed Ippolita, e con i suoi fratelli venne affidato al nonno Luigi (I). Visiti i tradizionali legami con la corona francese, rafforzati dalle nozze di Alfonso IV con la nipote del cardinale Mazarino, Foresto e Cesare Ignazio furono inviati in Francia già negli anni Sessanta, sotto la guida del conte Antonio Zoppola; qui i due giovani studiarono al Collegio reale di La Fléche e a Parigi.

I lunghi anni trascorsi alla corte del Re Sole influirono notevolmente sulla formazione e sul temperamento di Foresto, avvezzo molto più ai costumi della Parigi libertina che alle abitudini di vita della corte modenese.

Egli intraprese la carriera militare, militando nell’esercito imperiale sotto il maresciallo Raimondo Montecuccoli. Rientrato negli Stati Estensi, Foresto riuscì a svincolarsi dalla tutela del conte Zoppola, prendendo possesso dell’eredità paterna.

In seguito, l’estromissione dalla reggenza di Laura Martinozzi (1674) favorì la sua ascesa a corte, mentre il fratello Cesare Ignazio diveniva il principale favorito del duca, assumendo di fatto le redini dello Stato. Furono le pressioni internazionali a porre fine a tale situazione, anche se il tramonto definitivo delle fortune politiche di Cesare Ignazio (dipinto a tinte fosche dal Muratori) e dei fratelli avvenne solo con l’ascesa al trono dell’ex cardinale Rinaldo I d’Este (1695).

Foresto conservò comunque il suo ricco patrimonio immobiliare, che comprendeva il palazzo di Modena (pure condiviso col fratello), la rocca di Scandiano e il casino di caccia di Rivalta; quest’ultimo venne poi donato al futuro duca Francesco III, che lo trasformò in una fastosa reggia. Foresto divenne proprietario esclusivo del palazzo sul Canalgrande solo nel 1713, alla morte di Cesare Ignazio, col quale i rapporti, nel corso degli anni, si erano fortemente deteriorati. Gli ultimi anni videro quindi la gestione esclusiva del palazzo da parte del principe Foresto, impegnato però soprattutto nell’amministrazione del suo feudo di Scandiano.

Il principe Foresto morì senza figli nel 1725. In virtù delle precedenti disposizioni testamentarie, il palazzo passò al ramo regnante della Casa d’Este, e quindi al duca Rinaldo I (1695-1737).

Tuttavia, la necessità di denaro indusse il nuovo duca, Francesco III d’Este (1737-1780), ad affittare il palazzo di Foresto per 9 anni alla Comunità di Modena, al canone annuo di 1120 scudi. Il contratto di affitto, stipulato il 3 ottobre 1749, reca in allegato una descrizione degli ambienti interni, da cui apprendiamo che si trattava di un complesso molto vasto, costituito al solo piano nobile da almeno 7 appartamenti. Nella seconda metà del Settecento il palazzo di Foresto fu adibito a vari usi, arrivando anche ad ospitare magazzini e alloggi di ufficiali delle truppe estensi.

Fu in questi anni, caratterizzati dall’Assolutismo illuminato di Francesco III, che la residenza iniziò ad acquisire quel ruolo istituzionale che avrebbe mantenuto in seguito; nel secondo Settecento infatti il palazzo divenne sede della Ducal Ferma Generale; la “Ferma”, tipica dell’Antico Regime, era il sistema degli appalti per la riscossione delle imposte indirette; il palazzo di Foresto diveniva così sede di istituzioni finanziarie, ruolo che conserverà nell’Ottocento.

Tra 1773 e 1775 il palazzo subì una radicale trasformazione, assumendo sostanzialmente le sembianze attuali. Le modifiche erano volute dal duca probabilmente allo scopo di trasferirvi l’Università. I lavori furono affidati all’architetto ducale Pietro Termanini, il quale fece abbattere il portico che correva lungo il Canalgrande; la facciata del palazzo venne quindi rifatta ed allineata alla casa Adani, posta in angolo con la via Emilia. Palazzo Foresto era infatti ubicato tra la casa degli Adani, creditori della Camera ducale, e casa Levesque, posta sull’altro lato dell’isolato.

Il Termanini eseguì anche importanti interventi di sistemazione interna, con la ristrutturazione degli appartamenti.

L’edificio assunse un aspetto particolarmente sontuoso, con un’elegante facciata composta da tre ordini di finestre e un maestoso portale ornato da quatto colonne marmoree di ordine dorico. Alcuni progetti relativi al palazzo di Foresto vennero redatti, nella seconda metà del Settecento, anche da Domenico Lucenti.

I progetti ducali e la centralità del palazzo nelle vicende familiari degli Este erano però destinati ad interrompersi bruscamente nel giro di pochi anni, con la caduta del Ducato ad opera delle armate rivoluzionarie (1796).

Nel 1796 il generale Bonaparte conquistò anche Modena, mentre il duca Ercole III d’Este (1780-1803) riparava a Venezia. Iniziava così il periodo della dominazione napoleonica (1796-1814), caratterizzato da radicali mutamenti istituzionali e da riforme amministrative che segnarono anche i decenni successivi. Tra le principali novità istituzionali vi fu l’introduzione della Prefettura, organo di governo del Dipartimento. Modena fu eletta capoluogo del Dipartimento del Panaro. Durante la dominazione francese il palazzo di Foresto mantenne la sua centralità nell’amministrazione dello Stato, ospitando istituzioni finanziarie del Dipartimento del Panaro.

Alla caduta di Napoleone, il Congresso di Vienna restaurò gli Estensi sul trono ducale; il nuovo sovrano, Francesco IV d’Austria-Este (1814-1846), rientrò a Modena nel luglio 1814 e fra i suoi primi atti vi fu l’istituzione dei nuovi dicasteri, tra cui il Ministero delle Finanze, per il quale si individuò come sede il “palazzo dell’Intendenza di finanza”, l’antica residenza del principe Foresto.

Dal Ministero delle Finanze dipendevano importanti uffici del governo austro-estense quali l’Economato generale, l’Ispettorato generale della R.D. Guardia di finanza, l’Intendenza generale dei beni camerali ed ecclesiastici e il Commissariato estense per la Lega doganale austro-estense-parmigiana.

Il “palazzo delle finanze”, come veniva comunemente indicato all’epoca, rimase sede delle istituzioni finanziarie del Ducato austro-estense fino alla sua caduta, nel 1859.

Con l’Unità d’Italia il palazzo di Foresto fu acquisito dal Demanio, cui appartiene ancora oggi. L’immobile fu destinato a vari usi, mantenendo la sua centralità nell’amministrazione finanziaria. Nei decenni seguenti dovette ospitare l’Intendenza di finanza del Regno d’Italia (sorta nel 1869) ed altri uffici finanziari, divenendo al contempo la sede di rappresentanza della Prefettura di Modena, un importante ruolo istituzionale che ricopre tuttora.    

La Regia Prefettura, principale organo periferico del nuovo Stato unitario, subentrò all’Intendenza generale con il regio decreto 9 ottobre 1861, n. 250. Come prima sede della Prefettura di Modena fu designato il palazzo governativo posto nell’antico Corso di Terra Nuova (Corso Cavour dal 1862), l’odierno Archivio di Stato, che in precedenza aveva ospitato la Prefettura napoleonica e alcuni dicasteri del governo austro-estense. Ex convento domenicano, l’edificio era stato trasformato dal governo napoleonico in un luogo di rappresentanza istituzionale, ospitando, dal 1811, l’ufficio di Prefettura del Dipartimento del Panaro e gli alloggi del Prefetto.

Durante la Restaurazione il palazzo aveva conservato la propria funzione istituzionale, divenendo sede di ministeri austro-estensi (Ministero di Pubblica economia e istruzione poi Ministero dell’Interno, Ministero di Buon governo, Governo della città e della provincia di Modena).

Nel 1849 il duca Francesco V d’Austria-Este vi aveva istituito anche un Archivio generale di deposito, primo nucleo dell’odierno Archivio di Stato. Il processo di concentrazione degli archivi governativi nella medesima sede istituzionale dei principali organi politico-amministrativi si realizzò compiutamente con l’Unità d’Italia, quando in Corso Cavour si insediò la Regia Prefettura. Con l’arrivo del Prefetto, nel 1862, fu trasferito nel palazzo della Prefettura anche il Reale archivio segreto della Casa d’Este, rimasto a palazzo ducale dopo l’abbandono di Modena da parte di Francesco V. Il trasferimento dell’Archivio segreto estense sancì di fatto la nascita dell’Archivio di Stato (denominato Archivio Governativo fino al 1874) presso la sede della Prefettura, nel quadro di un legame diretto tra amministrazione archivistica ed istituzioni governative favorito dalla compresenza, nel medesimo stabile, di altri uffici pubblici quali il Genio civile, l’Ufficio tecnico di finanza e la Stazione agraria.

L’Archivio di Stato di Modena ebbe quindi fin dal suo nascere uno stretto rapporto istituzionale con la Prefettura, di cui conserva l’archivio storico.

La Prefettura rimase in Corso Cavour fino al 1866, quando si trasferì nella sua attuale sede, il palazzo sito sulle mura di Porta Bologna, fra via Adriana e via Terraglio (oggi viale Martiri della Libertà), progettato in epoca austro-estense da Cesare Costa, su incarico del duca Francesco IV. Come sede di rappresentanza della Prefettura, con l’alloggio del prefetto, venne invece designato il vicino palazzo di Foresto, nel solco di una secolare continuità istituzionale.

 

Elenco tavole:

Palazzo del principe foresto - Modena
Tav. 1 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 1.

 

Tav. 2 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 2.
Tav. 2 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 2.

 

Tav. 3 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 3.
Tav. 3 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 3.

 

Tav. 4 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 4.
Tav. 4 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 4.

 

Tav. 5 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 5.
Tav. 5 - ASMo, Mappario estense, Mappe in volume, vol. 9, n. 5.

 

Tav. 6 - ASMo, Archivio estense, Camera, Amministrazione dei principi, fasc. 1447  (inventario dei beni immobili e mobili nelle eredità dei fratelli Luigi e Borso d'Este, 26 dicembre 1664).
Tav. 6 - ASMo, Archivio estense, Camera, Amministrazione dei principi, fasc. 1447 (inventario dei beni immobili e mobili nelle eredità dei fratelli Luigi e Borso d'Este, 26 dicembre 1664).

 

Tav. 7 - ASMo, Camera ducale, Amministrazione dei principi, fasc. 1444  (inventario dei beni mobili del palazzo, 1 luglio 1698).
Tav. 7 - ASMo, Camera ducale, Amministrazione dei principi, fasc. 1444 (inventario dei beni mobili del palazzo, 1 luglio 1698).
 Tav. 8 - ASMo, Camera ducale, Amministrazione dei principi, fasc. 1444  (inventario dei beni mobili del palazzo, 1 luglio 1698).
Tav. 8 - ASMo, Camera ducale, Amministrazione dei principi, fasc. 1444 (inventario dei beni mobili del palazzo, 1 luglio 1698).

 

Tav. 9 - ASMo, Archivio Segreto Estense, Casa e Stato, Documenti spettanti a Principi estensi, Ramo ducale, Principi non regnanti,  b. 375, fasc. 4, doc. 35-60 (testamento di Cesare Ignazio di Borso del duca Cesare).
Tav. 9 - ASMo, Archivio Segreto Estense, Casa e Stato, Documenti spettanti a Principi estensi, Ramo ducale, Principi non regnanti, b. 375, fasc. 4, doc. 35-60 (testamento di Cesare Ignazio di Borso del duca Cesare).

 

Tav. 10 - ASMo, Archivio Segreto Estense, Casa e Stato, Documenti spettanti a Principi estensi, Ramo ducale, Principi non regnanti, b. 375, fasc. 4, doc. 35-60 (testamento di Cesare Ignazio di Borso del duca Cesare).
Tav. 10 - ASMo, Archivio Segreto Estense, Casa e Stato, Documenti spettanti a Principi estensi, Ramo ducale, Principi non regnanti, b. 375, fasc. 4, doc. 35-60 (testamento di Cesare Ignazio di Borso del duca Cesare).

 

Tav. 11 - ASMo, Archivio estense, Camera, Rogiti camerali, notaio G. B. Ferrari, b. 91, fasc. 271, doc. n. 41 del 3 ottobre 1749  (contratto di affitto alla Comunità di Modena  del palazzo di Foresto, ceduto dal duca Francesco III per 9 anni).
Tav. 11 - ASMo, Archivio estense, Camera, Rogiti camerali, notaio G. B. Ferrari, b. 91, fasc. 271, doc. n. 41 del 3 ottobre 1749 (contratto di affitto alla Comunità di Modena del palazzo di Foresto, ceduto dal duca Francesco III per 9 anni).

 

Tav. 12 - ASMo, Rogiti camerali, notaio G. B. Ferrari, b. 99, fasc. 297, doc. n. 19 del 19 luglio 1760  (relazione del Termanini).
Tav. 12 - ASMo, Rogiti camerali, notaio G. B. Ferrari, b. 99, fasc. 297, doc. n. 19 del 19 luglio 1760 (relazione del Termanini).

 

Tav. 13 -  ASMo, Rogiti camerali, notaio G. B. Ferrari, b. 99, fasc. 297, doc. n. 19 del 19 luglio 1760  (relazione del Termanini).
Tav. 13 - ASMo, Rogiti camerali, notaio G. B. Ferrari, b. 99, fasc. 297, doc. n. 19 del 19 luglio 1760 (relazione del Termanini).

 

 

[1]G. Bertuzzi, Palazzi a Modena, I, Modena, Aedes Muratoriana 1999, pp. 19-21; Id., Il rinnovamento edilizio a Modena nella seconda metà del Settecento, II, Modena, Aedes Muratoriana, 1982, pp. 75-97.