Il tempo: conosciuto, sconosciuto, misconosciuto, s-valutato?
Spesso si ascoltano espressione come queste: non ho tempo; vorrei avere più tempo, etc. Perché, forse, il tempo si può possedere?
Nella riflessione filosofica delle origini, almeno in quelle ellenistico-occidentali, coesistono concetti di mutamento tra movimento ed eternità, saldamente uniti o separati. È supposta l’esistenza dell’osservatore, il quale misura tutto nell’istante: passato, presente, futuro son stati mentali del ricordo e delle aspettative. La storia è un fluire di lotte continue e, da ogni precedente, indietro non si torna.
Nell’ampio e variegato medioevo e nella modernità, spazio e tempo, son ritenuti formati per astrazione e, nel loro manifestarsi fenomenico, sono percepiti come legati: non esistono autonomamente. Sono intrinsecamente dipendenti.
Nella contemporaneità il tempo, viene concepito come durata e, rappresentato in forma spaziale, chiama in causa la totalità. Si denuncia così il limite dell’intelligenza, strumentalmente intesa, perché pone classificazioni parziali e divisive perdendo di vista il significato integrale della realtà. Lo scorrere temporale, esperito in modo autentico ed inautentico, rimanda, di necessità, ad una temporalità originaria estatica ed irriducibile ai momenti correnti.
Questa sintesi, volutamente rapsodica, per suggestioni, desidera indurre una sosta nell’inafferrabile procedere quotidiano. Abbiamo avuto modo di constatare come nelle dinamiche relazionali, le quali hanno origine nella e dall’interiorità della persona (Cfr. Pazienza di Grazia Mannozzi https://www.filodiritto.com/pazienza), l’elemento “tempo” sia costantemente presente e, contemporaneamente, di difficile definizione.
Basti qui ricordare il pensiero di Agostino d’Ippona: se non mi è chiesto cosa sia, il tempo, ne conosco l’essenza, se devo definirlo non trovo parole adeguate. Eppure, il tempo, è una tra le concezioni fondamentali con le quali l’uomo è costretto a misurarsi, qui il paradosso, perché è struttura delle sue possibilità. Proprio in questa scoperta o meglio in questo riconoscimento, si associa al concetto di coscienza quale specificazione del soggetto agente consapevole, libero e responsabile.
Tuttavia, per non rendere il portato di queste righe eccessivamente importuno, proviamo ad affrontare questa sosta di riflessione sul tempo lasciandoci interpellare dalla letteratura e, precisamente, da un apologo tolto da Il Piccolo Principe e da un passaggio liberato da La montagna incantata di Thomas Mann.
Facilmente si ricorderà che Le Petit Prince è il noto racconto di Antoine de Saint-Exupéry, indubbiamente il più conosciuto della sua produzione letteraria, pubblicato il 6 aprile 1943. Si tratta di un racconto poetico, nella forma di opera letteraria per ragazzi, che affronta temi come il senso della vita, il significato dell’amicizia e dell’amore. Ciascun capitolo del libro narra di un incontro che il protagonista fa con diversi personaggi su diversi pianeti.
Ognuno di questi bizzarri personaggi lascia il Piccolo Principe stupito e sconcertato dalla stranezza dei “grandi” («I grandi non capiscono mai niente da soli, ed è faticoso, per i bambini, star sempre lì a dargli delle spiegazioni»). Questi diversi incontri possono essere interpretati come un’allegoria o uno stereotipo della società contemporanea.
Ecco la parabola: è il capitolo XXIII dell’opera: «“Buon giorno”, disse il piccolo principe. “Buon giorno”, disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere. “Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe. “È una grossa economia di tempo”, disse il mercante. “Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti la settimana”. “E che cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?” “Se ne fa quel che si vuole…” “Io”, disse il piccolo principe, “se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…”». Il racconto istruisce, con semplicità e prontezza, il come trovare l’adeguata significazione del tempo. In quello che rassomiglia molto ad un elogio della lentezza, si nasconde il desiderio di assaporare fino in fondo il baleno rendendolo eterno.
Ed ora il passo tratto dal volume di Thomas Mann, La montagna incantata, (dall’Oglio editore, Milano, 1966, p. 121): «I primi giorni trascorsi in un luogo nuovo hanno un corso giovanile, vale a dire robusto e lento; tali giorni si possono il calcolare dai sei agli otto. Poi, a seconda del nostro maggiore o minore “immedesimarci” nel nuovo ambiente; si nota un abbreviarsi graduale del tempo: chi è attaccato alla vita o, per meglio dire, chi vorrebbe attaccarvisi, può osservare con terrore come i giorni ricomincino a volar via, e l’ultimo periodo di circa quattro settimane, è d’una rapidità impressionante.
Certo il ravvivarsi del senso del tempo dura anche dopo il periodo intercalato, si fa sentire, anzi, quando si ritorna alla regola: i primi giorni trascorsi a casa dopo la diversione appaiono ancora nuovi, lunghi, giovanili, ma il loro numero è esiguo perché nella regola ci si immedesima più facilmente che non nella cessazione di essa. Quando poi il senso del tempo è diventato stanco in causa della vecchiaia, oppure quando - segno di debolezza congenita di vita - non è mai stato fortemente sviluppato, allora si riaddormenta prestissimo e già dopo ventiquattro ore è come se non si fosse mai stati assenti, come se il viaggio si fosse fatto in sogno». Anche in questa prosa troviamo un’approfondita analisi del tempo. Le diverse sfaccettature, quasi concretamente tangibili, esprimono la partecipazione che l’essere personale assume nei vari periodi.
Anche da questi brevi saggi, si può scorgere che la domanda, pervasiva e permanente, nell’esistenza, e dell’esistenza, riguarda il “come” si approccia il tempo. Susseguirsi di eventi immutabili e finiti, irrecuperabili e passati? Riflettiamo su quale rappresentazione abbiamo del tempo. Qualcosa sfuggirà sempre perché non abbiamo mai il pieno controllo di ogni situazione. Il prendere coscienza di ogni attimo, come occasione che incoraggia la possibilità di autenticare la temporalità personale, favorirà il reciproco implicarsi o ritenersi verso l’altro in un trattenersi nel passato o nel protendersi verso il futuro.
Quindi? Come valutare o s-valutare il tempo? Si può possedere il tempo?
Il senso dell’esistere, ovvero la trasformazione della durata cronologica in evento, accadimento permanente, avverrà solo nella misura saremo capaci di riconoscere, ogni istante, come offerto gratuitamente alla nostra libertà. Siamo di fronte ad una rivoluzione personale! Del resto, ogni elaborazione utilitaristica del tempo, lo proviamo quotidianamente, uccide, nei fatti, le relazioni. Questo, anche in ambito professionale.