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L’utilizzo del precedente: cenni ai sistemi di common law e di civil law

common e civil law
common e civil law

Abstract

Derivati rispettivamente dal diritto romano e da quello romano-germanico, i sistemi di common law e di civil law sono diversi quanto a fonti, modelli processuali e ruolo del giudice. Comune a entrambi è l’uso del precedente: fonte primaria nei primi, subordinato alle leggi nei secondi. Tuttavia, anche nei sistemi di civil law, il precedente ha sempre più importanza, come accade in Italia, in Cassazione.

Derived respectively from the Roman and the Roman-Germanic traditions, the common law and the civil law systems are different in terms of sources and procedural models. A crucial difference concerns the use of the precedent, which is a primary source in the former, a subordinate one in the latter. However, in the last few years, the importance of the precedent has been steadily increasing also in the civil law systems; in this contribution, we discuss how this change affected the Italian Court of Appeal.

 

Indice

1. Common law, civil law

2. Cenni evolutivi dei due sistemi

3. Sistemi e modelli

4. Il ruolo del giudice tra decisione e precedente

5. Il “precedente” in Italia

6. Conclusioni

 

1. Common law, civil law

Da un elementare approccio alla tematica, con l’espressione common law s’intende il sistema giuridico basato sulla prevalenza del diritto giurisprudenziale; quello di civil law è invece un sistema imperniato su codici e leggi di un Paese. Sulla base di tale assunto, due sarebbero i protagonisti di questa apparente contrapposizione: il giudice e la legge; la giurisprudenza e la dottrina.

È bene chiarire subito che, nella comparazione scolastica dei due sistemi, molteplici aspetti sono da considerare: la storia giuridica, il sistema processuale, il ruolo decisionale del giudice e, in particolare, il c.d. precedente.

 

2. Cenni evolutivi dei due sistemi

Il common law affonda le sue radici nel diritto romano dell’Inghilterra della seconda metà dell’XI secolo d.C., quando, nel 1066, le colonie normanne istituirono corti in più territori. In essi v’era un’amministrazione di stampo medievale che riconosceva consuetudini locali; al vertice del sistema governativo, inizialmente sedeva solo il Re, in seguito affiancato da detentori del sapere giuridico. La Curia Regis era infatti un Consiglio di sapienti cui venivano delegati gli affari di prossimità dei territori.

È con i writs (documenti e annotazioni di riscossioni di pagamento) che l’Inghilterra vide un’embrionale fonte di diritto scritto. Con il graduale insediamento nella macchina organizzativa feudale inglese di chierici ed esperti legali, la separazione di un potere giudiziario da quello legislativo, e l’instaurarsi di giurie, per l’Inghilterra è nel tempo cresciuta una consapevolezza: la giurisdizione influenza non solo l’esperienza giuridica, ma anche l’assetto politico di un Paese. È così maturata la convinzione che orientamenti passati di giudici – se utilizzati per risolvere controversie future – garantiscano al Paese un equilibrio legale e sociale.

Ad oggi, il common law, come del resto la lingua inglese, è adottato in vari Stati, quali Irlanda, Stati Uniti, Canada (a eccezione del Quebec), ed altri ancora.

Il civil law trae origine anch’esso dal diritto romano, precisamente dalla tradizione romano-germanica. Tuttavia, tale sistema ha visto una rottura rispetto al diritto romano, avendo fatto prima di tutto della legge (e, poi, anche della consuetudine) il fulcro della sua esperienza giuridica.

Fra l’XI e il XII secolo, il diritto romano ha conosciuto una fioritura in Europa, per mano del giurista Irnerio e dei glossatori dell’Università di Bologna, i quali hanno ripreso il Corpus iuris civilis, l’insieme cioè di norme associate a fattispecie astratte di rapporti privatistici e risalenti all’epoca di Giustiniano.

La tradizione romanistica è sfociata in una vera e propria positivizzazione del diritto, però, solo nel diciannovesimo secolo. Sono stati infatti approntati i codici europei; per ultimo, quello tedesco.

L’opera di codificazione caratterizzante i sistemi di civil law si è pertanto fondata sull’idea che il diritto – se scritto – avrebbe avuto più impatto della consuetudine sulle risoluzioni di controversie tra cittadini e tra organi dello Stato.

Nel corso dei secoli, la necessità di mettere per iscritto lo ius civile è esondata dagli argini europei del primo periodo, partendo da Paesi come Francia e Italia, arrivando in America Latina, e giungendo persino in ordinamenti dalla cultura opposta a quella europea, tra cui il Giappone.

 

3. Sistemi e modelli

Sul versante processuale, v’è tuttora l’erronea abitudine che, nell’analizzare la dicotomia civil law-common law, questi si debbano associare a due modelli: il modello inquisitorio e quello accusatorio. In primis, oggi l’aggettivo “inquisitorio” non ha certamente ragione di essere assimilato al civil law, così come, d’altronde, il vecchio metodo della Santa Inquisizione spagnola è ben lontano dall’omonimo e attuale modello processuale. Dunque, il vecchio significato di inquisitorio non è lontanamente applicabile a un odierno sistema di civil law.

Altresì ovvio è che gli attuali sistemi di civil law, ispirati ai diritti e alle loro garanzie, nulla hanno a che vedere, ad esempio, con gli antichi Stati autoritari.

Merita, poi, menzione il ruolo dei “protagonisti”, soprattutto nel processo civile. Se in origine, nel modello inquisitorio, le parti non avevano alcun margine di difesa, paragonare quel modello – anche superficialmente – a  un odierno processo di civil law appare sempre più insensato. Oggi, infatti, in entrambi i sistemi, sono proprio le parti ad apportare prove utili al dibattimento, incombendo su di esse l’onere di fornire le prove che supportino la tesi da sposare nel processo.

Aspetto divergente dei sistemi è inoltre l’arco temporale di svolgimento dei processi: più sequenze dibattimentali in quelli di civil law; una sola - macro - fase nei processi di common law.

 

4. Il ruolo del giudice tra decisione e precedente

Guardando alle fonti di un Paese, ruolo importante nei due sistemi è rivestito dal giudice, la cui attività decisionale potrebbe considerarsi meramente creatrice e secondaria negli ordinamenti di civil law, primaria e vincolante in quelli di common law.

Nei sistemi di common law, infatti, il giudice analizza il caso, dando molta attenzione a orientamenti passati e tentando di trovare analogie o differenze, ai fini della c.d. ratio decidendi, la ragione che starà alla base della sua decisione.

In particolare, la ratio decidendi di un giudice assume connotati delicati ogniqualvolta essa incontra – o si scontra con – l’indirizzo giurisprudenziale di altri giudici.

Negli ordinamenti di common law, eventuali discordie tra indirizzi sono superate dall’obbligo per i giudici di conformarsi a un orientamento giurisprudenziale già consolidato. Tale obbligo – il c.d. stare decisis – è vincolante e costituisce un precedente di notevole importanza perché, in tal modo, la ratio decidendi di un giudice vincola la giurisprudenza successiva, e lo fa non solo nella forma, bensì anche nel precetto (dunque, a livello sostanziale).

Viceversa, nei sistemi di civil law, il giudice che si appresta a risolvere un caso valuterà dapprima leggi e norme da applicare e, solo in un secondo momento, andrà alla ricerca della giurisprudenza formatasi sul tema. In questo caso, il giudice parte dalla regola giuridica per arrivare al fatto.

La ratio decidendi in un processo subentra quindi in due modalità distinte, a seconda che si rivolva una questione di civil o di common law: nel primo sistema, essa è anteriore alla decisione del giudice; nel secondo, è successiva, poiché solo successivamente acquisirà valore, attraverso l’applicazione della regola da parte di giudici di ogni grado.

Queste distinzioni non devono trarre in inganno e far credere che precedenti giurisprudenziali siano vincolanti in un sistema ma assenti in un altro. Non si deve cioè ritenere che le fonti siano interamente giurisprudenziali in un ordinamento ed esclusivamente dottrinali in un altro: ogni giudice infatti – sia esso di civil o di common law – giunge alla decisione tenendo conto di molteplici fattori: da una parte, il grado di autonomia da indirizzi precedenti e la produzione legislativa di riferimento; dall’altra, le consuetudini in materia e il contesto sociale del periodo storico.

 

5. Il “precedente” in Italia

Assodato che pronunce precedenti orientino giudici, tanto nei sistemi di common law quanto in quelli di civil law, quale grado di diffusione ha un precedente nell’ordinamento italiano?

In Italia, negli ultimi decenni, e a seguito di orientamenti giurisprudenziali discordanti sul medesimo tema, il precedente ha assunto un peso maggiore di quello passato.

Nell’articolo 374 Codice Procedura Civile, infatti, è sancita la funzione nomofilattica della Cassazione (al massimo grado, quella cioè delle Sezioni Unite). È quindi sancito il compito di garantire la corretta osservanza delle leggi nonché l’uniformità delle decisioni giudiziarie. Questo ruolo favorisce un indirizzo unitario della giurisprudenza e, altresì, coerenza e certezza del diritto.

Ecco perché, come si evince dall’articolo 384 Codice Procedura Civile, laddove la Corte, nell’accogliere un ricorso, cassi la sentenza e rinvii la questione ad altro giudice, è chiamata anche a enunciare un principio di diritto, ossia la regola da applicare in futuro ad un caso analogo o di fondamentale importanza. Il principio di diritto che ne deriva sarà dunque vincolante, non solo per i giudici di merito, ma anche per la Cassazione stessa.

Tuttavia, nel nostro ordinamento, il problema del precedente non si esaurisce qui ma lo si riscontra anche in ambito penale. La Riforma Orlando (Legge 23 giugno 2017, n. 103) ha difatti modificato, tra le altre cose, anche il comma 1-bis dell’articolo 618 Codice Procedura Penale stabilendo che, ove una sezione sia in disaccordo con un precedente indirizzo giurisprudenziale, essa adotti un’ordinanza che dia vita alla c. d. “rimessione obbligatoria” della questione alle Sezioni Unite.

In tal modo, l’obbligo di demandare la questione alle Sezioni Unite acquisisce natura di precedente. Acquisirà natura di precedente soprattutto la motivazione del disaccordo con un indirizzo giurisprudenziale. Ne segue che la motivazione dovrà essere convincente, persuasiva. Si dovrà così giustificare il motivo del cambiamento rispetto a un principio già consolidato.

Per questo, quando le Sezioni Unite esprimono un orientamento completamente nuovo rispetto al passato, la giurisprudenza subisce un’inversione di tendenza, con una eco pari a quella di una qualsiasi riforma legislativa.

 

6. Conclusioni

Tra civil law e common law, dunque, le differenze sono più sottili di quanto si possa aver imparato sui libri di scuola. Entrambi trovano il loro punto di rottura e, al tempo stesso, il loro “comune denominatore” nella vincolatività del precedente: la ratio decidendi di casi passati infatti – sebbene  riduca l’autonomia del singolo giudice – concorre a dare certezza, ad esempio, alle conseguenze di reati commessi dai cittadini, ma anche prevedibilità alle statuizioni di giudici di ogni grado. Nulla che – come ha più volte rilevato parte della dottrina – negli ordinamenti di civil law non sia stato già enunciato e prescritto dalle leggi e dai Codici.

Letture consigliate:

- per l’approfondimento sui sistemi, sulla loro evoluzione storica e l’applicazione, GAMBARO A., SACCO R., Sistemi giuridici comparati, in Trattato di Diritto Comparato, UTET, 2018;

- TARUFFO M., Aspetti Fondamentali del processo civile di Civil law e di Common Law, ultima consultazione: 28/01/2021;

- per un approccio al profilo teorico-metodologico del giudice e del precedente, SARTOR G., Il precedente giudiziale, disponibile all’indirizzo: https://www.docenti.unina.it/webdocenti-be/allegati/materiale-didattico/268258, ultima consultazione: 28/01/2021;

- CURZIO P., Il giudice ed il precedente, in Questione Giustizia, 2018, IV.