Milite ignoto: la scelta delle salme e l'urlo di Maria Bergamas

Milite Ignoto
Milite Ignoto

[Estratto da Enrico Folisi, Dal Milite ignoto alla Marcia su Roma. Apoteosi funebre e morte dello stato liberale. Un percorso per immagini, Gaspari Editore, 2021. Ringraziamo per la collaborazione Anna Ardissone e Raffaella Soldani di 1A Comunicazione. Suddivisione dei paragrafi e grassetti a cura della redazione]

 

La Commissione per la designazione del Milite Ignoto fu convocata a Udine il 2 ottobre alle ore 9.00 per programmare nei minimi particolari le ricerche delle salme.

All’incontro parteciparono, anche, tutti coloro che avrebbero operato con la commissione: autisti, scavatori, operai generici, falegnami, ecc. Il presidente gen. Paolini ribadì la segretezza di quanto veniva fatto e fece giurare a tutti che in nessun modo avrebbero rivelato i luoghi delle ricerche e soprattutto quello del ritrovamento delle salme designate.

Lo stesso giorno la commissione al completo partì per il Trentino. Lunedì 3 ottobre 1921 iniziò la ricerca della prima salma, nei pressi di Rovereto; dopo il ritrovamento e la sua riesumazione fu trasportata a Trento, una volta messa in una cassa di legno e riposta su un affusto di cannone trainato da una pariglia di cavalli, fu in ultima condotta sino al locale cimitero cittadino e sistemata sull’altare di una piccola cappella al suo interno. 

La ricerca e il rinvenimento della seconda salma fu effettuata sul massiccio del Pasubio. Dopo la riesumazione fu condotta insieme alla prima a Bassano presso la “Casa del Soldato”.

Per la terza salma la commissione si recò sul Monte Ortigara, presso l’Altipiano di Asiago, dopo il ritrovamento fu trasportata a Bassano dove erano già state riposte le prime due.

La cima del Monte Grappa fu scelta per la ricerca e la designazione della quarta salma. Dopo la sua riesumazione fu condotta a Bassano da dove insieme alle prime tre fu autotrasportata a Conegliano località prescelta per accoglierle momentaneamente, in attese delle nuove ricerche e dei nuovi rinvenimenti.

La quinta salma fu riesumata sul Montello e avviata verso Conegliano per essere riunita alle altre quattro.

La sesta salma fu rinvenuta nella zona di Cortellazzo-Caposile, nel Basso Piave e sistemata a Conegliano, come tutte le altre cinque su affusti di cannone all’interno dell’Oratorio della Madonna della Salute.

Le località che erano state attraversate da ogni singola salma avevano visto gli edifici imbandierati e la popolazione assieparsi lungo le strade facendo ala al passaggio per un saluto spontaneo e commosso, erano delle vere e proprie piccole significative manifestazioni di popolo.

Era giunto il momento di trasferire a Udine le salme dei primi sei soldati sconosciuti da lì sarebbe ripartita la ricerca della settima salma. La città era in pieno fermento nell’attesa.

Il 13 ottobre due camion con le sei casse partirono da Conegliano e procedendo lungo la statale Pontebbana, giunsero a Udine e si fermarono nel piazzale davanti la stazione ferroviaria alle cinque pomeridiane; era già affollato di persone come tutte le vie che il Giornale di Udine aveva rese note come percorso che sarebbe stato intrapreso dal corteo, che si sarebbe formato e che avrebbe accompagnato le bare, fino alla chiesa di Santa Maria in Castello proprio in cima al colle del Castello di Udine.

Nello spiazzo alle spoglie vennero tributati onori militari e civili.

Le bare furono avvolte nel tricolore e riposte sopra affusti di cannone, trainati ognuno da sei cavalli, erano ricoperte da corone di fiori; la prima salma era preceduta da un drappello di carabinieri a cavallo in alta uniforme, come d’altronde tutti i militari che parteciparono al corteo. La seconda da fanti, la terza da da alpini, la quarta da cavalleggeri appiedati, la quinta da artiglieri, la sesta da avieri. Tutti erano accompagnati lateralmente da ex combattenti in borghese.

Subito dopo i militari, veniva lo stendardo del Comune di Udine con il Sindaco, la Giunta e gran parte del Consiglio Comunale, seguivano le autorità civili e poi quelle militari ufficiali e sottufficiali tutti in alta uniforme, poi le madri e le vedove di guerra in nero con le decorazioni dei figli e dei mariti caduti sul petto.

Seguivano plotoni di carabinieri, fanti, alpini, artiglieri, una squadra di autoblindo, cavalleggeri appiedati, guardie di finanza, guardie regie. Dopo venivano le associazioni patriottiche, gli studenti delle scuole pubbliche e dei collegi, maschili e femminili, cittadini. Chiudeva il lungo corteo uno squadrone di cavalleggeri di Monferrato in sella ai loro cavalli.

A tutte le finestre che si affacciavano al percorso erano appesi tricolori e le persone affacciandosi lanciavano fiori. Tutte le campane delle chiese della città risuonavano. Le persone assistettero al passaggio delle bare in silenzio. Alla fine del percorso i sei feretri furono allineati nel piazzale del Castello. Sacerdoti procedettero alla benedizione, mentre tutte le truppe presenti rendevano gli onori militari.

Il generale Paolini pronunciò poche significative parole: “Cittadini! Sono orgoglioso di questa imponente manifestazione, che voi avete tributato alle salme gloriose. Sono commosso di sentire palpitare i vostri cuori che tre anni or sono palpitavano di eroi martiri. Di queste salme noi non conosciamo il nome, ma esse avranno un nome immortale nei secoli”.

Le sei bare furono trasportate a spalla all’interno della chiesetta del Castello e adagiate su un catafalco approntato; ad addobbare la chiesa c’erano fiori, armi e alloro. Guardie d’onore furono schierate ai lati del catafalco e all’entrata. Le bare erano disposte tre verso l’altare e tre verso l’ingresso della chiesa. Davanti al catafalco era stato posto un cartello con la scritta: “O morti per l’Italia / il ricordo di voi / doni pace all’Italia”.

Intanto continuava il tributo degli udinesi che si recavano nella chiesetta per rendere omaggio e lasciare un fiore, recitare una preghiera. Nei giorni di permanenza dei feretri a Udine la chiesetta fu lasciata aperta dalle otto di mattina alle sette di sera per permettere il pellegrinaggio da parte della gente comune che si riversava in città anche dai paesi della provincia. Davanti al catafalco erano stati riposti alcuni registri per raccogliere le firme di coloro che avevano reso omaggio ai soldati sconosciuti. La mattina del 15 ottobre venne celebrata un’affollata messa solenne dal Vescovo di Udine Anastasio Rossi.

Intanto la Commissione riprese le sue ricerche per la designazione della settima salma e si recò, attraversando la Carnia, in Cadore. Il ritrovamento e la riesumazione della settima salma avvenne nei pressi di Cortina D’Ampezzo. Qui il soldato senza nome sostò nella chiesa parrocchiale settecentesca dove una folla proveniente dall’alto Cadore era giunta a rendere omaggio. La partenza in camion condusse la salma a Pieve dove era assiepata una moltitudine di persone provenienti dal basso Cadore anche qui la manifestazione fu grande e partecipata il lancio di fiori e alloro accompagnarono il feretro nel suo viaggio. A Tolmezzo si era intanto raccolta la gente carnica con le rappresentanze di tutti i comuni e la presenza delle autorità locali. Qui la salma ricevette la benedizione prima di ripartire alla volta di Udine accompagnata da un corteo per le strade della cittadina. Giunta A Udine a porta Gemona un reparto in armi le rese gli onori militari e la scortò fino alla chiesa di Santa Maria in Castello.

Le sette salme dovevano adesso essere trasferite a Gorizia da dove sarebbe ripartita la ricerca delle mancanti quattro.

Il 18 ottobre alle 14 si mossero dalla chiesa i sette feretri che furono trasportati a spalla lungo la discesa del colle erano accompagnati da drappelli di soldati di tutte le armi e dai rappresentanti di tutte le associazioni combattentistiche e civili, ad attendere il passaggio in Piazza Libertà una enorme folla e sui gradoni del palazzo della loggia tutte le autorità civili e militari; le strade in cui era previsto il passaggio erano piene di gente che lanciava fiori. Sul piazzale di porta Ronchi i feretri furono posti su due camion addobbati e in silenzio e senza alcun discorso mentre le bandiere si inchinavano al loro passaggio e ricevendo gli onori militari partirono per raggiungere l’ulteriore tappa Gorizia.

Dopo aver attraversato Manzano, Brazzano, Cormons, Capriva, Mossa, Lucinico addobbate a festa con bandiere e ghirlande e fronde d’alloro con la popolazione in attesa per rendere omaggio, al passaggio dei due camion, alle sette salme con lancio di fiori, il convoglio giunse a Gorizia. Dalle finestre erano state esposte centinaia di tricolori per tutto il tragitto che dalla stazione ferroviaria avrebbe condotto attraverso Corso Italia e Corso Verdi, a piazza della Vittoria fino alla Chiesa di Sant’Ignazio.

Nella piazza d’armi della stazione le sette bare ricevettero gli onori militari e furono riposte su affusti di cannone trainati da cavalli e scortati da drappelli di soldati e civili in corteo, tra ali di folla; ultimato il percorso furono, infine, portate all’interno della chiesa e poste su catafalchi situati nella navata centrale avvolte nel tricolore, con corone di alloro e fiori che le ricoprivano.

La mattina del 20 ottobre la Commissione partì alla ricerca dell’ottava salma che fu rinvenuta sul monte Rombon e portata con tutti gli onori a Gorizia all’interno della chiesa di Sant’Ignazio e riposta con le altre bare.

La nona salma fu ritrovata sul San Michele.

La decima salma a Castagnevizza del Carso e tra questa località e il mare, e precisamente tra l’Erma, il corso del Timavo e il monte Hermada l’undicesima.

Tutte furono condotte all’interno della chiesa di Sant’Ignazio in Gorizia dopo aver tributato loro tutti gli onori.

Quindi, le undici salme provenienti dai principali campi di battaglia italiani della Grande Guerra: Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Grappa, Montello, Piave, Cadore, Gorizia, Isonzo, S. Michele, Castagnevizza, furono portate a Gorizia, dove ultimati i ritrovamenti, fu celebrata una messa funebre solenne. Da Gorizia le salme furono condotte ad Aquileia.

Il convoglio attraversò Gradisca d’Isonzo, Romans d’Isonzo, Versa e Cervignano, dovunque gente inginocchiata e commossa spesso in preghiera e fiori e alloro. Giunte dinanzi alla Basilica d’Aquileia le undici bare furono solennemente trasportate a spalla all’interno. Senza rappresentanti ufficiali, né personalità politiche o militari, alla sola presenza della gente del luogo e degli ecclesiastici aquileiesi venne impartita l’assoluzione, quindi cinque salme furono sistemate a destra e sei a sinistra dell’altare maggiore e riposte su due grandi catafalchi allestiti per l’occasione.

Il 28 ottobre già dalle prime ore del giorno una grande folla di popolo si era assiepata nello spiazzo situato dinanzi alla Basilica. La cerimonia sarebbe stata tenuta dal vescovo di Trieste che era anche vescovo Castrenze Angelo Bartolomasi.

All’interno della chiesa al centro della navata era stata approntato un cenotafio sul quale sarebbe stata poggiata la bara scelta, esposta in bella evidenza. Alle 11.00 furono aperte le porte della Basilica e iniziarono a entrare autorità e cittadinanza. L’Italia era rappresentata dalle autorità militari e politiche ai massimi livelli.

Quando sulle note della Marcia Reale entrò e prese posto in Basilica il Duca d’Aosta, la cerimonia religiosa ebbe inizio, una volta che fu terminata quattro decorati di medaglia d’oro al V.M. il generale Paolini, il colonnello Marinetti, l’onorevole Paolucci e il tenente Baruzzi, si avvicinarono a Maria Bergamas, la madre designata per la scelta, per accompagnarla davanti alle bare

Maria Bergamas madre dell’irredento sottotenente Antonio Bergamas, decorato di medaglia d’oro al V. M., caduto durante un attacco sul Monte Cimone, il cui corpo non era stato mai ritrovato, era stata prescelta perché indicasse la bara del Milite Ignoto. La donna si inginocchiò davanti all’altare, quindi si sollevò ed iniziò la scelta camminando lentamente dinanzi ai feretri, giunta davanti alla penultima lanciò un grido che si propagò per l’intera Basilica immersa in religioso silenzio e chiamando il proprio figlio abbracciò inginocchiata la bara. Tutti erano sinceramente commossi e piangenti. Le campane suonavano cupe e salve d’onore venivano sparate da batterie situate nella campagna adiacente alla Basilica. Intanto la banda della Brigata Sassari intonava “La Leggenda del Piave.

La bara prescelta fu trasportata da quattro decorati e riposta all’interno di un’altra cassa di legno massello, rivestita di zinco al suo interno. Sul coperchio venne posta una teca d’argento opera dell’artista udinese Calligaris dentro fu collocata la medaglia commemorativa dell’evento. Sul coperchio veniva fissata anche l’effige di un’alabarda in argento.

Il rito ufficiale ebbe fine alle 12.20 e la basilica venne aperta alla gente, già in attesa al di fuori, perché potesse liberamente rendere omaggio. Alle ore 15.00 il Duca D’Aosta il ministro della Guerra Gasparotto e le principali autorità del Regno si portarono sul piazzale per assistere alla posa della bara su un affusto di cannone trainato da sei cavalli bianchi bardati a lutto e in corteo accompagnare alla stazione ferroviaria la salma attesa da uno speciale convoglio che lo avrebbe portato a Roma.  

L’intero percorso che vide impegnato il treno del Milite ignoto divenne il funerale di tutta la nazione e il popolo italiano quello dei contadini, degli operai, della gente comune, rese onore coi gesti semplici della sincera commozione.

Proseguendo in silenzio tra madri piangenti e disperate il convoglio veniva accolto nei paesi del Friuli, del Veneto, dell’Emilia, della Toscana e del Lazio; erano improvvisate semplici cerimonie nate casualmente, laiche e religiose, in ogni luogo, per un Milite che rappresentò tutte le vane attese e divenne il simbolo genuino dell’unità di tutta la Nazione e che trovò in fine riposo e memoria degni, nell’Altare della Patria.

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