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Milite Ignoto: il silenzio e il segreto

Milite Ignoto
Milite Ignoto

Il 4 novembre è data scomoda normalmente, figuriamoci quest’anno

Già festeggiare le forze armate provoca imbarazzo alla repubblica che ha bandito la parola guerra dal proprio vocabolario, permettersi poi di ricordare – non dico di celebrare – il centenario dell’“apoteosi” del Milite Ignoto è parso un atto gravemente lesivo della mentalità inclu-solidale-resiliente nella quale viviamo.

Da qui la congiura del silenzio che assume i tratti della damnatio memoriae alla quale il mondo politico-giornalistico ha condannato l’evento, finendo per anestetizzarlo. Non che ci siano voluti sforzi particolari: è stato sufficiente non presenziare alle cerimonie e confinare il ricordo a qualche trasmissione su Rai Storia. 

Possiamo fare finta di meravigliarci o provare a dare una spiegazione, desolante ma doverosa. Cosa ci rende così insensibili a ricorrenze che in tutto il mondo sono commemorate e vissute nel profondo, senza sconfinare nella retorica?

Superbia e paura

Superbia dell’intellettuale antimilitarista che odia la guerra ma ammette la violenza – verbale, morale e fisica – verso coloro che la pensano diversamente (e oggi tutto questo è all’ordine del giorno).

Paura dell’intellettuale organico che teme di finire bollato come nazionalista, sovranista e, in ultima analisi, fascista. 

Così le immagini del popolo intero che si inginocchia al passaggio del feretro sono insopportabili come è indigesto intitolare una piazza ai militi morti a Nassiriya

Questo saldo abbraccio figlio di settant’anni di egemonia cattocomunista non deve però soffocare chi ricorda con commozione quella tragedia nazionale, mondiale, epocale e prim’ancora personale e familiare.  

Chi pensa che celebrare coloro che da quella tragedia sono stati travolti non significa giustificare le criminali scelte di chi quella tragedia ha provocato, voluto e incentivato. 

Chi pensa che la retorica dell’antiretorica non debba prevalere sulla riconoscenza verso chi nonostante le sofferenze, le privazioni, l’assurdità che lo circondava ha fatto quello che gli veniva chiesto/imposto, per convinta adesione, per senso del dovere, per amore della patria, perché non poteva fare altro, per proteggere e morire con i propri uomini, per stare a fianco dei fratelli in armi, per dare un senso a ciò che sembrava non averlo, affidandosi a Dio e ai ricordi dei familiari, in specie della mamma e della fidanzata.

Chi pensa che la Canzone del Piave ci dice molto di quello che siamo stati, nonostante l’impero di Bella ciao. 

Chi pensa che il “presente” delle gradinate di Redipuglia non è oggi l’urlo del fascista guerrafondaio ma il miglior modo di rendere caro e, appunto, di ritenere veramente presente e vivo ogni singolo nome, ogni singola persona inghiottita in quel mare che è la guerra democratica che ha preteso la vita di numeri e uomini annegandoli nella massa indistinta.

Chi pensa che solo quei fratelli in armi che, alternandosi, rendono gli onori al Milite Ignotoai Militi Ignoti di tutti gli eserciti, conoscono e custodiscono il segreto indicibile che resta un mistero per tutti gli altri. Il segreto della banda di fratelli che si perpetua da sempre, dalle scaramucce alle battaglie vinte o perse sui campi di Azincourt, del Sabotino, di Sedan, di El Alamein, della Nikolajewka, delle Termopili, di Isso, di Zama, di Malta, di Mogadiscio, dello Ia Drang, di Dien Bien Phu.

Anche se non ci meritiamo il Milite Ignoto lui è lì a ricordarci quel segreto.