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“Maledetta vipera velenosa”: un amore contrastato nella Napoli del 1903

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“Maledetta vipera velenosa”: un amore contrastato nella Napoli del 1903

   Da Romeo e Giulietta a Humbert e Lolita, passando per Catherine e Heathcliff, la letteratura è costellata di amori tristi, tragici, infelici, insoddisfatti, irrealizzati, combattuti, contrastati vuoi dalla presenza del villain di turno (il seduttore canaglia, la suocera infida, l’arrampicatrice/arrampicatore sociale, il fratello severo e moralista e così via), vuoi dallo scatenarsi di eventi a catena che conducono spesso a finali drammatici.

   Ma la vita, più della letteratura, offre le trame più appassionanti, storie di cui gli archivi sono la sceneggiatura scritta, salvaguardata dalle ingiurie del tempo e dal diradarsi della memoria. I procedimenti penali, in particolare, traboccano di tragedie originate da amori contrastati. In uno di essi, uno delle decine di migliaia conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli, un adolescente precocemente iniziato ai piaceri carnali, una giovane donna innamorata, una gravidanza indesiderata, una famiglia che contrasta questa relazione rappresentano gli ingredienti di un intreccio avvincente, elementi degni del più classico dei feuilleton. Protagonisti della storia, Adolfo R. e Concetta M., attori di una guerra giudiziaria per la presunta corruzione a scopo di libidine del primo, minorenne all’epoca dei fatti, ad opera della seconda. Archetipi del femminile tentatore e del maschile suo succube. L’eterno topos di Adamo ed Eva, con una variazione alla Nabokov e un’inversione di genere!

   Quello che segue è il racconto della relazione (ça va sans dire, destinata a infrangersi contro il muro delle avversità e dei veti incrociati delle famiglie) dell’adolescente Adolfo R. e della giovane Concetta M., napoletani, studente meccanico dentista lui, telegrafista lei. Sin dal 1900, che segna i 14 anni di Adolfo e i 25 di Concetta, tra i due nasce una relazione sentimentale che sfocia nell’amore carnale e nel concepimento di una bambina. La gravidanza però fa precipitare la situazione: Adolfo, incalzato dalla sua famiglia, si allontana da Concetta, abbandonandola nell’imminenza del parto. Mentre Concetta implora Adolfo di tornare da lei, ora appellandosi all’amore che prova per lui, ora minacciandolo di rovinargli la vita, il papà di Adolfo, Gaetano, coltiva e mette in atto il piano per allontanare definitivamente i due ragazzi: prima cerca di far rinchiudere Adolfo in una casa di correzione, rivolgendosi al Presidente del Tribunale di Napoli; quindi, dopo la nascita della piccola Anna, sporge querela contro Concetta per corruzione di minore a scopo di libidine e falso in merito all’asserita paternità della bambina. A suffragio della sua accusa, che individua in Concetta la “maledetta vipera velenosa” che ha attirato a sé il giovane e inesperto Adolfo, obnubilato dal desiderio, Gaetano porta un ricco apparato di lettere: di Concetta ad Adolfo; di Concetta alla madre di Adolfo, Caterina; di Adolfo al papà Gaetano; della madre di Concetta, Filomena, a Caterina.

[…] nell’epoca cui avvenne, secondo le loro asserzioni il fatto, il giovanetto contava anni 14 e mezzo perché fin dall’età di anni 14 ed appena finì il corso di studio di quinta elementare ebbe la disgrazia di imbattersi con questa maledetta vipera velenosa, la quale in quell’epoca contava la M. anni 28 ed era supplente telegrafista alla succursale di Cariati.

 

Dalla querela sporta da Gaetano R. al Procuratore del Re del Tribunale di Napoli, 22 febbraio 1903
Dalla querela sporta da Gaetano R. al Procuratore del Re del Tribunale di Napoli, 22 febbraio 1903
Dalla querela sporta da Gaetano R. al Procuratore del Re del Tribunale di Napoli, 22 febbraio 1903

Concetta, oltre a vedersi attribuita la veste di donna leggera e di facili costumi, presenta un’altra caratteristica che la rende sospetta agli occhi della tradizionalista e perbenista famiglia di Adolfo: è una donna economicamente indipendente. Lavora infatti come telegrafista. Le Regie Poste sono una delle prime Amministrazioni dello Stato ad aprirsi al lavoro femminile; le telegrafiste svolgono in principio un’attività che non comporta alcun contatto con esponenti dell’altro sesso ma che inevitabilmente le condurrà a ritagliarsi una enclave di autonomia e di indipendenza economica e di costumi. Non è lontano a venire, rispetto al tempo della storia qui raccontata, il protagonismo professionale delle donne telegrafiste, che sostituiranno egregiamente gli uomini al fronte durante la Grande Guerra. Concetta è ben consapevole del proprio valore come donna lavoratrice e rivendica il posto che merita nella società, faticosamente conquistato a costo di sacrifici immani, gli stessi sacrifici magnificamente narrati da Matilde Serao in un racconto del 1894 sulle impiegate dei telegrafi:

Capisco bene che non siete tanto voi così infame ma dico io che con un po’ di parlar vostro e con una certa calma fareste comprendere a vostro marito che io non intendo di avere il suo consenso per venire alla sua tavola e mangiare, no, cara signora, a costo anche di dover morire di fame, ma a tutto questo non ci potrò incorrere perché ho lavorato non poco con il mio studio per acquistarmi un avvenire, un po’ di pane governativo, mentre voi state facendo di tutto per farmi rimanere in mezzo una strada.

Dalla lettera di Concetta M. a Caterina R., madre di Adolfo, s.d.
Dalla lettera di Concetta M. a Caterina R., madre di Adolfo, s.d.

Nonostante le suppliche, Concetta non riesce, in quelle concitate giornate, a ricondurre a sé Adolfo. Nulla possono nemmeno i litigi, le piazzate (“lazzarate”, le definisce con un termine napoletano Concetta), gli schiaffeggiamenti, le minacce. Concetta partorisce la piccola Anna il 23 luglio del 1902. Il 24 luglio la bambina viene consegnata al brefotrofio dell’Annunziata, dalle mani dello stesso papà Adolfo e da quelle della levatrice, e registrata in ingresso tra gli esposti col numero di matricola 912 lettera G. Il primo agosto del 1902, con un tardivo ravvedimento, con atto pubblico rogato dal notaio Salvatore Gallo Concetta riconosce la figlia e le attribuisce il proprio cognome.

A nulla erano valse le preghiere rivolte alla madre di Adolfo affinché intercedesse presso l’intransigente marito. Sia Concetta che la madre di lei, Filomena, le avevano indirizzato lettere imploranti nelle settimane precedenti il parto. A differenza di Concetta, che fino alla fine rivendica l’amore per Adolfo e dichiara di volerlo sposare e rendere felice, Filomena si umilia, chiedendo soldi per preparare un corredino per la nascitura e per pagare la levatrice: 15 lire, tanto chiede Filomena alla “consuocera”, per sollevare la figlia e sottrarla alla condanna del fratello Edoardo, che sta troppo sdegnato con la sorella; tanto vero che avea detto di farla andare a partorire all’ospedale.

Gaetano R., insensibile alle suppliche delle due donne, persevera nel rifiuto di quell’unione e, poco più di un anno dalla nascita della piccola Anna, reitera la querela: le malie e le carezze di una donna di quella specie anno fatto tanto imbicellire il giovanetto che non risente né vergogna, né correzione di nessuna, anzi si scaglia come vipera se ciò gli si contrastasse.

Nell’esame di testimonio senza giuramento che Adolfo rende il 10 marzo del 1903, questi ripercorre brevemente le vicende: ammette di aver avuto rapporti carnali consensuali con Concetta; di aver consegnato la bimba nata da tale relazione alla Santa Casa dell’Annunziata; riferisce che Concetta aveva riconosciuto e dato il cognome alla piccola. Mai addossa a Concetta alcuna esclusiva responsabilità di quanto accaduto, né si presenta come vittima di concupimento:

I congressi carnali da me avuti con la M. non sono stati eccessivi, giacché posso dire che in tal faccenda sono stato io più esigente di lei. Appena un mese fa ò dato uno sputo sanguigno. Alla M. non può farsi rimprovero di avermi come che sia attirato a sé. La nostra relazione intima nacque e si è protratta nella maniera più naturale, avendo io ed io soltanto fatto di tutto per goderne i favori. Mio padre fa chiacchiere inutili ed è uomo che non à coscienza.

Dall’esame di testimonio senza giuramento di Adolfo R. reso al Pretore della sezione Avvocata,  10 marzo 1903

Un unico testimone, Achille S., impiegato al Teatro Politeama, si sbilancia dando ragione a Gaetano R. e additando Concetta per la tresca immorale in cui ha avvinto il giovane e sprovveduto Adolfo, che si sarebbe dato anima e corpo nelle braccia della donna aborrendo la propria famiglia.

Ciò non cambia minimamente la posizione di Adolfo. Gaetano ha perso la sua battaglia per ricondurre Adolfo nell’alveo della famiglia e dell’ubbidienza filiale: nel luglio del 1903, a un anno dalla nascita di Anna, Concetta è di nuovo incinta.

Il 9 novembre 1903 il pubblico ministero chiede il non luogo a procedere per insussistenza di reato: non c’è prova della corruzione perché Concetta M. non ha mai eccitato o invogliato alla copula Adolfo.
Anzi, vi è prova, scrive il P.M., che le relazioni carnali con la M. seguivano dopo un lungo periodo di amore. Nello sterile linguaggio della legge si impone il termine “amore”.

Il 31 dicembre successivo, il Giudice istruttore del Tribunale penale di Napoli accoglie le richieste del Pubblico Ministero.

L’amore, questa volta, ha vinto, sia fuori che dentro le aule di giustizia.

Per saperne di più:

Documenti

  • ASNA, Tribunale penale di Napoli, Processi, anno 1903, fs. 100, f.lo 6016

Libri

  • Serao Matilde, Telegrafi dello Stato, Napoli, Alessandro Polidoro Editore, 2022.