L'imperatore a Ferrara. Federico III d'Asburgo e la nomina ducale di Borso d'Este (1452)
L'imperatore a Ferrara. Federico iii d'Asburgo e la nomina ducale di Borso d'Este (1452)
Nel novembre del 1451 Federico d’Asburgo, re dei Romani da oltre un decennio, lasciò la corte di Wiener Neustadt per intraprendere un lungo viaggio alla volta di Roma. Accompagnato dal fratello Alberto e dal cugino Ladislao d'Asburgo, giovane re di Boemia ed Ungheria, Federico d'Austria raggiunse la città eterna nel marzo 1452 e il 16 di quel mese papa Niccolò V lo incoronò re d’Italia, unendolo in matrimonio con la principessa portoghese Eleonora d’Aviz; tre giorni più tardi, il 19 marzo, in San Pietro, il papa consacrò Federico imperatore del Sacro Romano Impero. Era la prima volta che un principe di casa Asburgo cingeva la corona imperiale, ma era anche l’ultima in cui un imperatore del Sacro Romano Impero veniva incoronato in Roma dal pontefice.
Nella sua discesa a Roma Federico III, sia all'andata sia al ritorno, fu ospite degli Estensi, la cui corte rappresentò sempre, per questo imperatore, una delle tappe principali dei suoi viaggi in Italia. Nel corso della propria vita Federico visitò Ferrara ben quattro volte durante i suoi due viaggi a Roma (1452 e 1468-69), trattenendosi alla corte di Borso d'Este talora anche per settimane.
I soggiorni di Federico III a Ferrara sono documentati in modo dettagliato dalle cronache cittadine, in particolare dal Diario Ferrarese. Il sovrano vide Ferrara per la prima volta la sera di lunedì 17 gennaio 1452; dopo un soggiorno al palazzo suburbano di Belfiore, il re dei Romani varcò solennemente la porta del Leone sotto un baldacchino di panno d’oro, accompagnato dal marchese Borso d'Este e preceduto dal vescovo Francesco Dal Legname; in seguito, udita la messa in cattedrale, l’Asburgo fu salutato con un’orazione declamata da Girolamo Castelli, premiato con la dignità dottorale. La visita dell’imperatore fu celebrata anche dal poeta Giano Pannonio, allievo della scuola ferrarese di Guarino; il giovane ungherese rivolse a Federico III una Exhortatio pro pacanda Italia, pronunciata al suo ingresso in Ferrara il 17 gennaio. Lo stesso maestro del Pannonio, il celebre Guarino Veronese, dedicò all’Asburgo una dotta orazione.
Re Federico, il fratello Alberto e il giovane Ladislao presero dimora nel palazzo marchionale estense. Re Ladislao V ricordò a lungo i giorni di festa trascorsi a Ferrara. Una sua lettera a Borso del 2 agosto 1454, inviata da Praga, richiama espressamente l'ospitalità ricevuta nel 1452: “… Revocamus enim nobis in quotidianam fere memoriam summam vestram in nos benevolentiam ac singulare honorandi studium erga nos declaratum eo tempore quo tu domino imperatore fratre nostro a vobis magno honore suscepti et magnifica liberalitate tractati fuimus...“. In tale missiva si fa inoltre esplicita menzione degli archivi di Casa d'Este, in cui si conservano antichi volumi di cui Ladislao V richiede l'invio di copie: “… rogamus fraternitatem vestram ut ad complenda vota nostra superius expressa librum aliquem vel libros unum videlicet aut duos qui vetera Romanorum seu aliorum principum egregia et virtuosa gesta aut alia antiquorum studia solidius et gravius exprimunt et qui apud nos legi digni sunt, quorum videlicet uberem copiam in archivis dominii vestri ferrariensis aggregatam intelleximus nobis pro vestra erga nos benivolencia per hunc oratorem nostrum mittere velitis… ”.
Al proprio arrivo a Ferrara, la corte asburgica prese dunque alloggio nel palazzo marchionale, il cosiddetto complesso di Corte vecchia, a sud del castello, un insieme di edifici risalenti al XII secolo; il palazzo estense, oggi sede municipale, sorgeva sulla piazza di fronte alla cattedrale; ad inizio Cinquecento fu collegato al castello mediante la via coperta. Per accogliere nella maniera più degna l’augusto ospite, Borso d’Este aveva avviato restauri della dimora avita. Il re dei Romani non soggiornò però soltanto nel palazzo cittadino dei signori d’Este, bensì anche nelle delizie suburbane, in particolare a Belriguardo, ad est di Ferrara, luogo di meraviglie e di otia cortesi. Narra l’umanista Michele Savonarola che il marchese Borso, attraverso le vie d’acqua del Basso Ferrarese, accompagnò Federico III a Belriguardo e che, una volta giunti a destinazione, il sovrano rimase letteralmente estasiato dalla visione di quella dimora. Queste giornate di feste, conviti e cacce nelle valli nel suggestivo scenario delle delizie estensi impressionarono favorevolmente l’Asburgo, contribuendo a consolidare i rapporti con la casa d’Este. In questo contesto di relazioni, inoltre, il re dei Romani volle nominare cavaliere il fratello di Borso, Alberto d’Este, unitamente a suo nipote Niccolò, figlio del defunto marchese Lionello; nominò cavalieri anche alcuni fedelissimi della signoria estense quali Niccolò figlio di Uguccione Contrari, Niccolò dei Conti di Padova, podestà di Ferrara, e Giulio Boiardo.
Gli Asburgo partirono da Ferrara il 24 gennaio. Il giorno dopo Federico entrò a Bologna, come attesta anche la Cronica di Giovanni, ove si trattenne fino al 27 gennaio. La sera del 30 gennaio Cosimo de’ Medici e i rappresentanti della Signoria fiorentina accolsero il re dei Romani in città. Intanto Eleonora di Portogallo era sbarcata a Livorno ed era attesa a Firenze, ma a causa di vari disguidi incontrò il suo sposo soltanto alla fine di febbraio, alle porte di Siena; in questa città la coppia imperiale soggiornò insieme per 4 giorni, ripartendo alla volta di Roma il 1° marzo.
L’imperatore fece il proprio ingresso solenne nell’Urbe il 9 marzo. Il 16 marzo, un giovedì, vennero celebrate le nozze tra Federico III ed Eleonora del Portogallo e 3 giorni dopo, la domenica 19, ebbe luogo la solenne incoronazione imperiale in San Pietro. La coppia imperiale rimase nella città eterna fino alla fine di marzo. Seguì l’ultima parte del Romzug, con la visita a Napoli, dove vennero accolti con straordinari festeggiamenti da re Alfonso il Magnanimo, zio di Eleonora. Alla corte aragonese di Napoli Federico ed Eleonora soggiornarono per varie settimane, tra marzo e aprile del 1452. Dopo il lungo soggiorno napoletano, l’imperatore rientrò a Roma. Da qui il corteo asburgico iniziò a ripercorrere, a ritroso, le medesime tappe dell’inverno precedente.
Dopo Siena, Firenze e Bologna, l’imperatore Federico III ritornò a Ferrara, dove fece il suo ingresso mercoledì 10 maggio. Il sovrano entrò in città dal ponte di Castel Tedaldo, dove lo attendevano Borso d’Este e il vescovo Dal Legname, con i quali proseguì fino all’episcopio sotto un baldacchino dorato. Come già a gennaio, l’imperatore prese alloggio nel palazzo cittadino degli Este, ma durante questo suo secondo soggiorno fu ospitato anche a Fossadalbero, delizia a nord-est della città. A Fossadalbero sorgevano un palatium vetus e uno novum, quest’ultimo fatto ristrutturare da Borso appositamente per la visita imperiale. La magnificenza di questa dimora la rendeva particolarmente adatta ad accogliere gli ospiti forestieri di più alto rango. La residenza constava di due quartieri d’abitazione del principe, rispettivamente al piano terra e al primo piano Si trattava di una delle residenza predilette da Borso.
Furono giorni di grande festa per tutta la città e Borso d’Este volle dare sfoggio di tutto lo sfarzo della propria corte per tributare i massimi onori all’imperatore e al suo seguito. Narrano le cronache che domenica 14 maggio Federico III, il fratello Alberto e Ladislao furono ospiti d’onore, con Borso, al banchetto nuziale del cortigiano estense Bartolomeo Pendaglia, proprietario di un magnifico palazzo nel cuore della città. In tale occasione Borso d’Este volle omaggiare l’imperatore con la presentazione delle tabulae astronomiae di Giovanni Bianchini, matematico ed astronomo di corte; il Bianchini dedicò le sue tabulae istoriate a Federico III, che lo ricompensò con la nomina a consigliere imperiale. Durante il banchetto l’imperatore fu omaggiato anche con un’orazione declamata da Battista Guarini. La festa nuziale vide, infine, la nomina a cavaliere dello sposo.
Narrano le cronache ferraresi che il 17 maggio si diffuse la notizia dell’imminente nomina ducale; subito iniziarono i festeggiamenti e in segno di giubilo la città venne illuminata a giorno. La sera stessa si tenne un pranzo di gala nella sala grande di Corte vecchia, seguito da danze cui prese parte lo stesso imperatore.
La cerimonia dell'investitura ebbe luogo il giorno seguente, giovedì 18 maggio, solennità dell’Ascensione; le cronache ferraresi narrano l’evento con dovizia di dettagli. Sulla piazza della città, nell’ala meridionale del palazzo estense, svettava la maestosa torre di Rigobello; davanti ad essa Borso aveva fatto erigere un’imponente tribuna per ospitare l’imperatore e la sua corte durante la cerimonia. Il 18 maggio, udita la messa in cattedrale, Federico III uscì dal palazzo estense ed apparve sulla piazza annunziato da solenni squilli di tromba; lo seguivano re Ladislao e l’arciduca Alberto, con tutto il seguito di prelati ed alti funzionari della corte imperiale. Spiccava tra gli alti funzionari asburgici Enea Silvio Piccolomini, la cui influenza sull’imperatore, come sottolineato dal Frizzi nelle sue Memorie, aveva avuto un ruolo determinante nella nomina ducale di Borso, parente del Senese. L’imperatore si sedette sul trono collocato al culmine della tribuna; egli portava sul capo la corona imperiale ricevuta dal papa ed indossava un mantello di panno dorato ornato da prete preziose. A fianco di Federico presero posto Ladislao ed Alberto d’Asburgo.
Parallelamente, Borso d’Este, alla testa di un lunghissimo corteo, uscì dal castello passando dalla Porta del leone. Il corteo estense, formato da centinaia di notabili a cavallo, percorse la contrada del Borgonovo, toccò la loggia dei callegari e giunse sulla piazza; qui i dignitari al seguito di Borso, sventolando ciascuno un vessillo bianco simbolo di letizia, sfilarono in mezzo ad una folla festante che gridava “Duca, Duca!”. Borso vestiva un abito di panno d’oro, con una ricca collana, due pietre preziose sul copricapo ed una terza sulla spalla sinistra. Nella processione egli era preceduto da tre dignitari: Francesco Forzati portava lo stendardo verde della contea di Rovigo, nel quale le armi dell’Impero erano associate a quelle estensi; il nobile modenese Venceslao Rangoni, nominato cavaliere al termine della cerimonia, recava lo stendardo dei feudi di Modena e Reggio, anch’esso verde, con le insegne estensi; Pietro Marocelli portava invece uno stendardo rosso, simbolo presumibilmente del potere imperiale; infine, Cristino Francesco Bevilacqua precedeva Borso d’Este con la spada.
Raggiunta la torre di Rigobello, Borso smontò da cavallo, salì sulla tribuna e si inginocchiò davanti all’imperatore; egli lo fece alzare, invitandolo a sedere accanto a sé, e poi compì una serie di atti simbolici che conferivano legittimità all’investitura ducale: l’imperatore pose sulle spalle di Borso un lungo mantello d’ermellino di colore rosso scarlatto e gli mise sul capo la berretta rossa emblema della dignità ducale; recitata una formula di rito, gli consegnò i tre stendardi, la spada ed uno scettro d’oro, e quindi lo proclamò solennemente duca di Modena e Reggio, lo baciò e lo fece sedere accanto all’arciduca Alberto. Successivamente, l’imperatore nominò cavalieri alcuni vassalli e funzionari della corte estense1. In seguito, discesi dalla tribuna con i rispettivi seguiti, l’imperatore e il duca si unirono in processione al vescovo, che impartì la benedizione. Fu intonato un Te Deum di ringraziamento e vennero portate in processione lungo la piazza le reliquie di San Giorgio e San Maurelio. La cerimonia si concluse in cattedrale, con il giuramento di Borso all’imperatore davanti all’altare maggiore Fu a questo punto della celebrazione che, secondo il Frizzi, Piccolomini potrebbe avere recitato un’orazione, davanti all’imperatore e a Borso. Infine, al culmine dei festeggiamenti, sulla piazza, gremita di folla, si svolse una giostra in onore dell’imperatore e del neoduca, con in premio un palio di velluto cremisi.
Borso d’Este aveva così ottenuto il titolo ducale su Modena e Reggio e la nomina a conte di Rovigo e di Comacchio. La nomina ducale suggellava l'ascesa politica del casato estense e sanciva il passaggio dalla signoria al principato. L'elevazione di Borso al Ducato, che pure fruttava all'imperatore importantissime entrate, non era però disgiunta da ragioni politiche connesse ai rapporti dell'imperatore con i maggiori Stati italiani; la nomina ducale rientrava infatti in un contesto politico-diplomatico segnato dalla momentanea intesa tra Federico III, Venezia, Ferrara e Napoli, favorita dalla grande abilità del Piccolomini, ad al contempo dall'aspra rivalità tra l'imperatore e Francesco Sforza. L'aspetto economico, tuttavia, rivestiva un'importanza enorme per un imperatore come Federico III, chiamato ad affrontare innumerevoli emergenze militari che spaziavano dai conflitti interni alla dinastia e ai Ducati austriaci ai contrasti con l'Ungheria e soprattutto alla minaccia ottomana. L'investitura ducale concessa a Borso prevedeva il pagamento di un censo annuo di 4000 fiorini d’oro, che l’Estense doveva versare alla camera imperiale il giorno dell’Ascensione del Signore. Tale somma fu però ben presto ridotta, se si pensa che già il 13 agosto 1452, Federico III, rientrato da pochissimo a Wiener Neustadt con la forza delle armi, annunciò a Borso d’Este una riduzione del censo annuo a 2000 fiorini d’oro.
La condizione del pagamento di un censo annuo verrà poi definitivamente rigettata dal successore di Borso, Ercole I d’Este, subentrato nella signoria alla morte del fratellastro (1471). Nel 1472 Ercole I fu nominato duca di Ferrara da papa Sisto IV, mentre per il rinnovo dell’investitura imperiale su Modena e Reggio dovette attendere lunghi anni. L’investitura dei feudi imperiali gli fu concessa solo dopo la morte di Federico III, nel 1494, grazie all’ambasceria di Pandolfo Collenuccio presso Massimiliano I d’Asburgo. Inviato ad Innsbruck, l’umanista pesarese richiese l’esenzione del duca Ercole dal pagamento del censo; si trattava, secondo il Collenuccio, di una condizione accettata da un signore illegittimo quale Borso d’Este, il quale, figlio naturale di Niccolò III, aveva usurpato i poteri legalmente spettanti ad Ercole, figlio legittimo del marchese de bona memoria. Ricordiamo infatti che Borso era nato dall'unione di Niccolò III con Stella dei Tolomei, così come Lionello, suo predecessore; Lionello tuttavia era stato legittimato dal padre Niccolò, che nel proprio testamento lo aveva nominato erede della signoria. Ercole, invece, era nato dalle nozze di Niccolò con la sua legittima sposa, Ricciarda di Saluzzo. La condizione di figlio naturale di Borso, figlio di Niccolò III che a sua volta era nato da un'unione illegittima del marchese Alberto, fu oggetto dei beni noti velenosi giudizi di Enea Silvio Piccolomini, il quale nei suoi Commentarii non mancò di ironizzare su come il casato estense fosse guidato da figli illegittimi.