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Federico Umberto D’Amato e le sue frequentazioni "amorali"

Federico Umberto D'Amato
Federico Umberto D'Amato

"D’Amato era un uomo geniale, ma amorale. Faceva accordi con chi gli conveniva, a seconda del momento". Con queste parole lo storico Aldo Giannuli ha descritto l’ex capo dell’Ufficio affari riservati (Uar) del ministero dell’Interno.

Giannulli, in tempi non "sospetti", aveva già dedicato attenzione alla figura di Federico Umberto D'Amato (link e link)

Giannuli è intervenuto come consulente, ma anche da testimone, davanti alla Corte d’Assise, nel processo sui presunti mandanti della strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, che è in corso davanti alla Corte d'Assise Felsinea (Link).

Federico Umberto D’Amato è ritenuto dalla pubblica accusa, insieme con Licio GelliUmberto Ortolani e Mario Tedeschi, uno dei mandanti e finanziatori dell’attentato che costò la vita a 85 persone e che causò più di 200 feriti.

Molti organi di stampa hanno ripreso e sottolineato che Umberto D'Amato era una persona "amorale" perchè faceva accordi a "seconda del momento". La definizione di "amorale" viene usata come una sorta di stigmate di colpevolezza.

Ci lascia perplessi che in un processo si scomodano storici nella veste di consulenti per "svelare verità" già svelate dal diretto interessato nel gennaio del 1993. Così si rischia di mistificare una circostanza processuale che non è una scoperta o una verità rivelata ma semplicemente una conferma di quanto lo stesso interessato ha sempre rivendicato.

Rimane da chiedersi se i novelli censori conoscano la differenza tra amorale e immorale.

Secondo il vocabolario Treccani l'aggettivo "amorale designa soltanto l'assenza della moralità stessa, o, più esattamente, l'impossibilità di valersene, in un determinato caso, come canone valutativo" e si distingue da "immorale che implica la piena antitesi alla moralità".

Un uomo dei Servizi, un poliziotto con senso dello Stato può essere amorale in determinate situazioni ?

Sicuramente si, lo deve essere per la funzione che ricopre ed è proprio Federico Umberto D'Amato che a gran voce rivendica la sua "amoralità" in questa intervista inedita che, dall'oblio dei ricordi, Filodiritto ha rinvenuto (1).

Quello che lascia basiti è che le dichiarazioni di D'Amato del gennaio 1993, sono state inizialmente silenziate per poi essere oggetto, negli anni seguenti, di scoop giornalistici e rivelazioni improvvise (Adriano Sofri nel 2007) , ricerche di archivio, ritrovamenti di carte segrete o pseudo tali, di consulenze storiche (Primo Piano, Piazza Fontana, Sofri, D'Amato)

Insomma di un folkloristico e variopinto armamentario che rischia di sviare i giudici di Bologna..

Federico Umberto D'Amato rilascia una intervista a Mario Tedeschi sull'Agenzia di Stampa Cronache della Disinformazione il 31 gennaio 1993 sulla vicenda Contrada e parla in realtà più di se stesso e del suo modus operandi dichiarando:

Domanda: "Conosceva il dottor Contrada?"

Federico Umberto D'amato: "L'ho conosciuto soltanto di sfuggita; ma di questo funzionario ho sempre sentito parlar bene dal punto di vista umano e professionale, salvo insinuazioni di mafioseria che, a mio avviso, avevano tutta l'aria di essere della stessa valenza delle tante fatte nei miei riguardi e tutte, dico tutte, apparse poi totalmente false".

Domanda. "A cosa intende riferirsi?"

Federico Umberto D'Amato: "Mi riferisco al fatto che chiunque, specialmente nel nostro mestiere, non si riduca a far carriera senza esporsi, standosene dietro alla scrivania, deve combattere con la disinformazione e la calunnia. E' capitato a me, ma non soltanto a me; penso ad esempio all'amico Emilio Santillo; penso, per tutti, a Luigi Calabresi, assassinato a seguito di una delle più colossali operazioni di mistificazione e disinformazione che si siamo mai registrate nel nostro Paese ...

Domanda: "... ma di Lei dicono, è stato anche scritto, che sia stato il miglior polizziotto italiano del dopoguerra...".

Federico Umberto D'Amato: "Attenzione, sono gli altri che lodicono, non io. Io posso dire soltanto di aver fatto il mio dovere e di ritenere di averlo fatto bene, in oltre quarant'anni di carriera. Una carriera durante la quale ho avuto un'infinità di antagonisti, contro i quali era mio compito operare. Dall'esercito nazista al neofascismo del dopoguerra, dalle attività di sovversione sovietica o cubana a quello spesso reciprocamente distruttive sul nostro territorio dell'OAS o dell'FNL algerino e relativi Servizi segreti, o da una parte del terrorismo palestinese o del controterrorismo israeliano, dalle mene (macchinazioni) di taluni settori massonici alle trame nere, alla sovversione terroristica di sinistra degli anni di piombo.

Ebbene, se in ciascuno di questi campi di operazione ho ottenuto una messe di risultati operativi, questo avvenne grazie al mio modus operandi, che è stato sempre quello di osservare l'avversario dalle posizioni a lui più vicine per meglio conoscerlo e contrastarlo, talvolta introducendomi nelle sue file. Ad esempio, quando ero imberbe vice-commissario aggiunto di PS nella Roma occupata dai nazisti, proprio approfittando della mia qualifica, che mi metteva in contatto con gli occupanti, riuscii a penetrare la più vasta rete di spionaggio militare tedesca in Italia. Il risultato fu che già nelle prime ore del 4 giugno 1944 e nei giorni successivi potei arrestare decine di spie dei Tedeschi, che si andavano collocando in zone strategiche del territorio occupato dagli Alleati.

Una operazione che mi fruttò le più alte onorificenze militari e che ebbe la sua piccola ma significativa parte nella storia della liberazione d'Italia. Orbene, per ottenere questo risultato io fui costretto a realizzare certi rapporti di familiarità con gli ufficiali del Servizio segreto tedesco che risiedevano nell'Hotel Excelsior, zona di mia giurisdizione di polizia; rapporti che avrebbero potuto apparire inquietanti o sospetti a chi non fosse stato al corrente (e certo non poteva esserlo) dei miei obiettivi".

Domanda: "Ma Lei si riferisce al tempo di guerra, ad azioni di controspionaggio ...

Federico Umberto D'Amato: Anche in tempo di pace il problema non cambia. Non voglio farla lunga e raccontare la storia della mia vita professionale; cito soltanto qualche caso di rapporti amichevoli con personaggi, o della opposizione, o della eversione. Come Giulio Caradonna, del quale oggi sono ottimo amico, quando era il più agitato degli agitatori missini; come Jacques Soustelle, capo dell'OAS in Italia, o il capo della rivolta algerina, noto come Feziz; come Adriano Sofri, con il quale ho fatto paurose e notturne bevute di bottiglie di cognac; come politici di opposizione di medio ed alto livello, tanto missini quanto comunisti, dei quali evito di fare i nomi; o, infine, personaggi come Licio Gelli.

Per questi contatti, caso per caso, dai molti avversari (non voglio dire nemici) che mi ero fatto sono stato accusato volta per volta di essere nazista e fascista, ma anche comunista (secondo un rapporto del Sifar, peraltro pubblicato, io ero addirittura l'agente segreto di Pajetta), di protettore dei servizi e delle attività terroristiche degli arabi o degli Israeliani, in collusione con le varie forme di terrorismo, o presunte mene massoniche. Per questo Le dico che comprendo quello che sta capitando a Bruno Contrada".

Il Prefetto D'Amato non avrebbe mai ipotizzato di essere di nuovo accusato, a distanza di 29 anni dall'intervista del gennaio del 1993, di aver fatto "accordi con chi gli conveniva" che d'altronde non era altro che il suo rivendicato "modus operandi" di servitore dello Stato "amorale".

1) Retroscena inediti del "caso Contrada", un'indagine dell'agenzia CD - Intervista con il prefetto Federico Umberto D'Amato, 31 gennaio 1993.

Link dell'intervista.