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Enti locali: l'evoluzione storico-sistematica del controllo sugli atti

dall'unità d'Italia alla riforma costituzionale n. 3/2001, abrogativa dell'articolo 130 della Costituzione
Scorcio
Ph. Simona Balestra / Scorcio

Indice:

1. Concetto di controllo

2. Periodo dal 1861 al 1915

3. L'evoluzione successiva: 1915-1934

4. Periodo dal 1934 alla legge n. 142/ 1990

5. Periodo dal 1990 al Testo Unico Ordinamento Enti Locali n. 267/2000, passando per la legge n. 127/1997

6. Periodo dal 2000 alla riforma costituzionale n. 3/2001

7. Riflessioni conclusive

 

1. Concetto di controllo

Per controllo s’intende, in generale, il riesame, il riscontro, la verifica se un atto, un’attività, un comportamento, compiuti da un altro soggetto, siano conformi a norme giuridiche o alle regole di buona amministrazione allo scopo di formulare un giudizio ed adottare misure giuridiche o sanzioni, da parte di un organo facente parte dello stesso Ente controllato o di altro Ente da questo distinto, che non sempre si trova in posizione organizzativa di supremazia a quella del controllato, che fruisce di un ampio potere di sindacato sulla attività altrui, con riferimento, ovviamente, a delle regole predeterminate a cui l’esercizio di quella attività deve conformarsi.

E' indispensabile che ci sia un atto amministrativo, che per essere valido, debba aver superato il vaglio con esito favorevole dell'organo di controllo, con l'osservanza di tutte le regole e procedure secondo cui il controllo deve svolgersi.

 

2. Periodo dal 1861 al 1915

Fin dall’Unità d’Italia lo Stato si presentava come struttura fortemente accentrata non solo a livello di governo centrale e periferico, ma anche nei confronti degli Enti locali (Comuni e Province) con il completo sottomissione di questi ultimi allo Stato centrale.

A livello locale spiccava il Prefetto (di matrice francese), istituito dal Regio Decreto n. 250 del 1861, quale autorità amministrativa a livello periferico, ma anche rappresentante del governo centrale, che provvedeva alla esecuzione delle leggi, vigilava sull’andamento delle pubbliche amministrazioni a livello periferico, esercitava le funzioni di polizia e di amministrazione civile, attorno al quale gravitavano gli enti locali, uffici provinciali dello Stato, finanziari, demaniali e tecnici.

La figura del Prefetto, forte e profonda, che rappresentava il potere esecutivo, il centro operativo di tutta l'attività amministrativa della Provincia della quale era a capo, verrà mantenuta a lungo, senza interruzione, fino all'attuazione delle regioni avvenuta nel 1970-1971, previste dalla Costituzione dal 1948, con influssi notevoli sull'attività amministrativa di detti Enti anche nel periodo successivo.

Nel periodo in esame, l'attività gestionale degli Enti locali era limitata a spese obbligatorie e circoscritte spese facoltative, riguardanti i servizi sociali ritenuti indispensabili, come l'assistenza, i beni in uso delle comunità, il sostegno alla povertà ed il servizio dell'istruzione elementare obbligatoria nonché la costruzione e manutenzione di edifici scolastici.

La legge di contabilità del 1869 rivisitò il sistema dei controlli sui preventivi e consuntivi esercitato dalla Corte dei conti, istituita nel 1862, ai quali venne affiancato il controllo delle Ragionerie dei Ministeri e della Ragioneria Generale dello Stato.

La rappresentanza elettiva era data dal ceto più forte che poteva eleggere ed essere eletto nelle cariche pubbliche e dalla facoltà di poter individuare le spese e adottare i provvedimenti ritenuti idonei, esercitando quel potere definito “autogoverno o autodeterminazione”.

La legge più antica dell'epoca, sulla scorta dell'esperienza francese, era rappresentata dal primo dei cinque allegati alla legge 20 marzo 1865, n. 2248, che raccoglieva un complesso di norme che dava linfa a tutto l'apparato amministrativo del nuovo Stato, appena costituito.

Seguì il primo testo unico, approvato con legge 10 febbraio 1889 n. 5921 e, poi, le leggi comunali e provinciali del 4 maggio 1898, n. 564 e 21 maggio 1908, n. 269.

Successivamente, in esecuzione delle citate leggi, fu emanato il regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale, approvato con Regio Decreto 12 febbraio 1911, n. 297, che dopo parziali abrogazioni avvenute con il decreto legislativo 25 febbraio 1995 n. 77, fu definitivamente soppresso con l'entrata in vigore del Testo Unico in materia di Ordinamento degli Enti Locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

Al Prefetto venne affiancato: la Giunta Provinciale Amministrativa e il Consiglio di Prefettura (ambedue di lunga durata).

La prima, istituita con la legge comunale e provinciale n. 5921 del 10 febbraio 1889, era composta da tre funzionari governativi: il Prefetto, in qualità di Presidente, di due consiglieri di Prefettura e di quattro membri eletti dal Consiglio provinciale (in precedenza, le funzioni della Giunta furono esercitate dalla Deputazione Provinciale che non ebbe altrettanta fortuna).

La funzione principale della Giunta consisteva nel controllo di merito sugli atti degli Enti locali, quindi, non solo di valutazione della legittimità dell'atto, ma comprensiva della convenienza e opportunità sugli atti più importanti dell'Ente, come bilanci, rendiconti, istituzioni di beneficienza e consorzi tra enti locali.

Aveva, inoltre, in alcuni settori, compiti consultivi attraverso il rilascio di pareri obbligatori su provvedimenti di competenza del Prefetto e, su richiesta di questi, funzioni di amministrazione attiva in caso di sostituzione dell'Ente in caso di mancata adozione di atti obbligatori per legge.

Accanto a funzioni di controllo, la Giunta aveva funzioni giurisdizionali per determinati casi di ricorsi amministrativi che mantenne fino al 1967, quando la sua composizione fu dichiarata incostituzionale (Corte Costituzionale, 22 marzo 1967, sentenza n. 30).

Così come la sentenza della Corte costituzionale sopra ricordata aveva, nel 1967, impedito alla Giunta Provinciale Amministrativa di esercitare le sue funzioni di tribunale amministrativo di primo grado, l'istituzione, nel corso dei primi anni '70, delle regioni sottrasse alla Giunta Provinciale Amministrativa (definitivamente cancellate nel 1971) anche la funzione di tutela degli enti locali.

Il Consiglio di Prefettura, modello importato dal sistema napoleonico, era composto: dal Prefetto, che lo presiedeva; due consiglieri di prefettura ai quali si aggiungevano, in sede giurisdizionale contabile, il ragioniere capo della prefettura e il direttore di ragioneria dell’intendenza di finanza oltre all’intervento, con voto consultivo, del ragioniere incaricato della relazione sul conto.

Inoltre, al medesimo erano attribuite funzioni consultive e giurisdizionali avverso i ricorsi amministrativi di primo grado tra Pubblica amministrazione e i cittadini (funzioni abolite dalla legge n. 2248 del 20 marzo 1865, che le attribuì al giudice ordinario). La funzione giurisdizionale contabile veniva, inoltre, esercitata sugli atti dei tesorieri e degli amministratori comunali e provinciali fino al 1966 quando, per gli stessi motivi riguardanti la Giunta Provinciale Amministrativa, fu dichiarata l'illegittimità costituzionale dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 55 del 3 giugno 1966.

Queste funzioni, unitamente a quelle esercitate sui bilanci e dei rendiconti, hanno avuto un ruolo fondamentale nel sistema dei controlli sugli Enti locali nel loro insieme, equiparate a quelle che oggi esercita la Corte dei conti.

L’attività consultiva del Consiglio di Prefettura si manifestava nel rilascio di pareri sulle questioni più importanti espresse dal Prefetto e, obbligatoriamente, in materia di espropriazioni, lavori pubblici e per l’apposizione del visto prefettizio sui contratti dei comuni e delle province; parere poi abrogato dagli articoli 2 e 11 della legge 9 giugno 1947, n. 530, riferito agli articoli 88 e 141 del Testo Unico della legge comunale e provinciale n. 383 del 3 marzo 1934.

Questo insieme di controlli così rappresentato, esercitato sugli atti degli organi collegiali, come delibere di Giunta e di Consiglio dei comuni e delle province, rimarrà sostanzialmente immutato fino all’istituzione delle regioni.

Il Prefetto, al quale dovevano essere trasmesse tutte le delibere dell’Ente, le vagliava esclusivamente sotto il profilo della legittimità apponendo il suo “visto”, se le avesse riscontrate immune da vizi: annullandole, se ritenute inficiate da invalidità secondo le tre figure sintomatiche elaborate dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato: incompetenza dell’organo deliberante, eccesso di potere e violazione di legge.

Alcuni atti deliberativi più importanti dell’Ente erano sottoposti al vaglio della Giunta Provinciale Amministrativa, sia sotto il profilo della legittimità sia della convenienza e/o opportunità nel rispetto dei criteri di buona amministrazione, utilità, opportunità, configurando quel tipo di controllo conosciuto come controllo di merito. Se il controllo avesse avuto esito positivo, la Giunta avrebbe approvato la deliberazione; in caso contrario, non avrebbe rilasciato l’approvazione e la deliberazione non poteva dispiegare i suo effetti.

Al contrario, mentre le deliberazioni trasmesse al Prefetto per il controllo della sola legittimità potevano essere dichiarate immediatamente eseguibili nelle more del visto, quelle soggette al controllo di merito della Giunta Provinciale Amministrativa non potevano essere eseguite se non dopo aver ottenuto l’approvazione.

In sintesi, le deliberazioni più importanti dell’Ente, sottoposte al controllo della Giunta Provinciale Amministrativa, potevano riassumersi:

  1. bilanci di previsione e loro variazioni;
  2. regolamenti;
  3. imposizioni e applicazioni di tributi;
  4. impegni di fondi e investimenti finanziari in generale;
  5. alienazioni e locazioni di immobili oltre un certo valore;
  6. assunzione diretta di pubblici servizi;
  7. liti giudiziarie.

Su questi atti, fatto salvo qualche eccezione, il controllo era successivo all’adozione dell’atto, quindi si poneva come condizione di efficacia della delibera, ma preventivo rispetto alla sua esecutività, vale a dire l’atto non poteva esplicare i suoi effetti giuridici fino a quando non interveniva l'approvazione.

L’autorizzazione del Prefetto era necessaria in relazione a: contratti di acquisto, di appalto, di fornitura in deroga alle soglie dell’asta pubblica (all’epoca, pubblici incanti), ecc..

Un particolare forma di autorizzazione era prevista per l’accettazione di lasciti testamentari e donazioni, acquisto di beni immobili in esecuzione della legge, chiamata di manomorta, 21 giugno 1896, n. 218, poi abolita dall’articolo 13 della legge n. 127/1997.

Ma il controllo sull’attività contrattuale non si arrestava alla fase preventiva: esso si esplicava successivamente sul contratto stipulato che doveva essere inviato al Prefetto il quale, dopo aver esercitato ulteriore controllo di legittimità e di merito, vi apponeva, previo parere del Consiglio di Prefettura, il “visto”.

Al sistema così tracciato, doveva aggiungersi, poi il sistema dei controlli ministeriali attraverso approvazioni e omologazioni successivi ai suddetti controlli in sede provinciale. Ogni regolamento, infatti, doveva essere sottoposto, successivamente al controllo della Giunta Provinciale Amministrativa, all’approvazione, ratione materiae, del Ministro dell’interno, quali: polizia locale, urbana, rurale; del Ministero dei lavori pubblici, per i regolamenti edilizi o, del Ministero delle finanze per i regolamenti in materia fiscale o tributaria relativi all’imposizione locale, quali la tassa di occupazione di aree e spazi pubblici, i passi carrai, ecc., al fine di assicurare omogeneità su tutto il territorio nazionale con quelli adottati da altri Enti.

Oltre ai citati controlli, vi era infine il tipico controllo repressivo ed eventuale, tutt’ora vigente nel nostro ordinamento e previsto dall’articolo 138 del decreto legislativo n. 267/2000, a norma del quale il Governo poteva, a tutela dell’unità dell’ordinamento, annullare, d’ufficio o su denuncia, in qualunque tempo, in via straordinaria, gli atti degli atti locali, anche quelli monocratici dei sindaci e dei presidenti delle province, viziati di illegittimità.

 

3. L'evoluzione successiva: 1915-1934

In questo periodo, ed esattamente tra gli anni ’20 e in prossimità degli anni ’30, si assisteva ad un processo involutivo-regressivo in cui si passò da uno Stato costituzionale a uno Stato di stampo autoritario.

Il processo fu progressivo, quasi casuale così come era capitato allo “Statuto Albertino” il quale, pur ispirandosi a principi di libertà e di democrazia non più di fatto applicabili e senza che lo stesso fosse mai stato abrogato, fu depauperato da altre disposizioni, anch’esse emanate in maniera graduale, con il Regio Decreto 30 novembre 1923, n. 2839, scindendo così l’ordinamento degli enti locali che aveva raggiunto una sua stabilità con l’emanazione del Testo Unico della legge Comunale e Provinciale 4 febbraio 1915, n. 148.

Quest’ultimo, infatti, anche se non si poteva ancora parlare di autonomia nel significato che oggi attribuiamo a tale termine, congegnò un sistema normativo armonico nel quale erano collocate le funzioni e le attività degli enti locali e dei loro organi intese in modo lapalissiano quali manifestazioni di autarchia e di rappresentanza democratica degli enti locali espressa con libere elezioni, sia pur con limitata autonomia di spesa.

In questo periodo, la vera trasformazione consisteva nel fatto che la piena autonomia si raggiunse con la rappresentanza democratica degli organi degli Enti locali, la quale era eletta non più dalle categorie che avevano un peso più importante nella società, ma attraverso il suffragio elettorale universale che, nell’epoca giolittiana, aveva esteso a tutti i cittadini, escluse le donne (queste ultime il diritto di voto lo acquisirono con il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 1° febbraio 1945); per essere eleggibili, quindi non solo la possibilità di andare a votare (c.d. elettorato attivo), bensì di poter essere votate (c.d. elettorato passivo), bisognava aspettare il successivo decreto numero 74 del 10 marzo del 1946.

Questo stato di cose identificavano il Prefetto, sempre per i suoi mantenuti poteri di autorità basilare per l’accentramento statale e a sua volta direttamente dipendente dallo Stato centrale, quale figura istituzionale detentore del controllo delle deliberazioni adottate dai Consigli e Giunte comunali e provinciali.

Il controllo del Prefetto era però circoscritto alla verifica della legittimità delle deliberazioni sotto l’aspetto dell’eccesso di potere, violazione di legge ed assenza di vizi di incompetenza.

Alla Giunta Provinciale Amministrativa competeva il controllo di merito, compreso quello di legittimità, sulle deliberazioni di particolare importanza per l’Ente, come visto in precedenza.

Il Consiglio di Prefettura manteneva i compiti consultivi nella materia dei contratti approvati dal Prefetto e, oltre a esprimere pareri facoltativi, si pronunciava, con pareri obbligatori, in materia di espropriazione per pubblica utilità, esercitando anche una funzione giurisdizionale di prima istanza, con la Corte dei conti, sui rendiconti dell’Ente e per accertare eventuali responsabilità contabile-patrimoniale a carico di amministratori, dipendenti, tesorieri e di tutti coloro, anche di fatto, avevano maneggio di denaro.

Rimanevano in vita i controlli preventivi sugli atti contrattuali degli Enti con l’esame dello schema di contratto, attraverso l’autorizzazione prefettizia alla licitazione privata, alla trattativa privata, ecc.. In questo periodo si andava affermando la procedura dell’appalto-concorso, anch’essa soggetta ad autorizzazione, nella quale la scelta era fondata non solo in base al prezzo offerto ma anche, e prevalentemente fondata sulle caratteristiche tecniche dell’offerta che consiste in un vero e proprio progetto “cantierabile”.

Il Prefetto, qualora lo avesse ritenuto opportuno per l’Ente, avrebbe concesso l’autorizzazione secondo lo schema deliberato, mediante un controllo non solo preventivo alla formazione dell’atto, ma anche di merito, senza la necessità di alcun parere preventivo della Giunta Provinciale Amministrativa, salvo il controllo di merito di quest’ultima attraverso l’approvazione della deliberazione del contratto, in casi specifici.

Risultava chiaro che, anche in questo periodo, sia pure con un certa diversa organizzazione, gli Enti locali rimanevano ancora schiacciati da un complesso sistema dei controlli che li separavano da quella autonomia affermata cinquant’anni dopo l’unità d’Italia con l’attuazione dell’ordinamento costituzionale regionale e locale, portata a termine con il regolamento per l’esecuzione della legge comunale e provinciale, approvato con Regio Decreto 12 febbraio 1911, n. 297 e dal Testo Unico della legge comunale e provinciale 4 febbraio 1915, n. 148.

In questo periodo si può sostenere, in linea generale che, pur con qualche mutamento legislativo nel frattempo intercorso che affermava il principio democratico e rappresentativo di autogoverno o autogestione, le limitazioni dell’autonomia degli Enti locali si procrastinarono fino al varo del Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti Locali, approvato con decreto legislativo n. 267/2000.

La testimonianza era data dal fatto che rimaneva immutato il potere sostitutivo della Giunta Provinciale Amministrativa e quello del Prefetto nel caso di mancata o irregolare emanazione di un atto o dell’erogazione di una spesa obbligatoria.

Successivamente, gli organi elettivi del Comune (Consiglio e Giunta) furono sostituiti, ai sensi della legge 4 febbraio 1926, n. 237, con un organo monocratico di nomina regia, il podestà, affiancato, nei comuni con più elevata densità demografica, da una Consulta, organo consultivo per i provvedimenti più importanti.

Parimenti, con legge 27 dicembre 1928, n. 2962, gli organi elettivi dell’amministrazione provinciale (Consiglio e Giunta) furono sostituiti con il preside e il rettorato, anch’essi di nomina regia.

Ne conseguiva che il sistema dei controlli, nel periodo fascista, già fortemente accentrato, si acuiva visto il rapporto diretto che intercorreva tra Governo, Prefetto, Podestà, Preside e Rettorato, che si trasferiva nelle nomine, nelle quali era evidente la volontà di un unico partito che controllava tutto il paese. Comuni e Province erano relegati a una gestione di spese obbligatorie entro rigide voci di bilancio, raramente discrezionali per gli Enti.

Il percorso antiautonomistico culminò con l’emanazione del Testo Unico n. 383/1934 contenente ulteriori restrizioni nel processo di erogazione delle spese, accentrando i poteri amministrativi dello Stato centrale sui controlli degli atti dei Comuni e delle province: il Prefetto controllava tutte le deliberazioni dell’Ente, il Podestà e il Preside si sostituirono alla Giunta e al Consiglio nelle loro funzioni.

Da evidenziare che il controllo del Prefetto si estendeva, oltre all’esame della legittimità, al controllo di merito sotto l’aspetto della convenienza e opportunità, apponendo un visto di esecutività nel caso di esito favorevole.

Il Prefetto continuava ad esercitare il controllo di merito anche sui contratti dopo la loro stipulazione apponendo sugli stessi il visto di esecutività. Parimenti, i piani e i regolamenti urbanistici, edilizi, finanziari, ecc., acquistavano efficacia subordinatamente alla approvazione-omologazione del competente Ministero.

Rimaneva la competenza, come sopra accennato, della Giunta Provinciale Amministrativa sulle deliberazioni più importanti dell’Ente e la competenza del Consiglio di Prefettura sui bilanci e sui rendiconti dell’Ente.

In questo modo l’Ente risultava ingessato: i propri atti amministrativi dovevano attendere il visto e/o l’approvazione per poter essere eseguiti, senza dei quali nulla poteva fare.

 

4. Periodo dal 1934 alla legge n. 142/ 1990

Dopo il primo conflitto mondiale, in ambito locale i controlli rievocavano gran parte delle norme del precedente Testo Unico n. 148/1915 per quanto riguarda il funzionamento e la competenza dei nuovi organi elettivi, mentre la gestione delle spese, rigorosamente vigilata, rimaneva agganciata al Testo Unico n. 383/1934, ancora in vigore, salvo qualche modifiche.

In questo contesto vide la luce la legge 9 giugno 1947, n. 530 che modificò gli articoli 97 e 148 del Testo Unico n. 383/1934: in particolare, gli articoli 3 e 12 stabilivano che tutte le deliberazioni dei Consigli e delle Giunte, rispettivamente dei Comuni e delle amministrazioni provinciali, oltre ad essere pubblicate all’Albo pretorio per 15 giorni consecutivi, dovevano essere inviate al Prefetto entro 8 giorni dalla data delle deliberazioni stesse, a pena di decadenza ope legis.

Nei casi di urgenza, le deliberazioni potevano essere dichiarate immediatamente eseguibili col voto espresso della metà più uno dei componenti i Consigli o le Giunte.

Quelle non soggette a specifiche approvazioni da parte della Giunta Provinciale Amministrativa, che dovevano essere pubblicate almeno in un giorno festivo o di mercato compreso nell’ambito massimo dei 15 giorni, diventavano esecutive con il semplice decorso dei 15 giorni senza che il Prefetto adottasse formale provvedimento.

Qualora il Prefetto avesse riscontrato vizi di sola legittimità (controllo non esteso al merito) avrebbe dovuto annullarle con proprio decreto entro 20 giorni dalla ricezione.

Il sistema di controlli cosi delineati in questo periodo, affermatosi con la legge n. 530/1947, prevedeva un tipo di controllo successivo (in taluni casi anche repressivo) di deliberazioni aventi probabilmente già acquistata esecutività (pubblicazione all’Albo pretorio per 15 giorni consecutivi ed invio all’organo di controllo entro 8 giorni; oppure fornendo la deliberazione stessa della clausola dell’immediata eseguibilità, espressa col voto della metà più uno dei componenti i Consigli o le Giunte).

D’altra parte la Prefettura, al fine di rendere spedita la procedura di controllo, cercava di snellire il procedimento restituendo all’Ente la deliberazione munita della formula “per ricevuta”, qualora l'avesse ritenuta esente da vizi di legittimità. In pratica, la formula utilizzata non aveva alcun significato, anzi contribuiva a rendere pasticciato il procedimento, in quanto il Prefetto poteva ancora esercitare il potere di annullamento della deliberazione stessa.

Per altro verso, le deliberazioni non soggette a particolare approvazione e non implicante la necessità di un’autorizzazione prefettizia, potevano essere dichiarate immediatamente eseguibili, in casi di urgenza, con clausola espressa e votate separatamente dall’organo deliberante con la maggioranza assoluta dei propri componenti, ai sensi del vigente articolo 342 del Testo Unico n. 148/1915.

Persisteva in capo al Prefetto il visto sui contratti stipulati dall’Ente, sia di legittimità che di merito, senza la necessità del preventivo parere del Consiglio di Prefettura, come pure le autorizzazioni prefettizie agli acquisti, ai lasciti, alle donazioni e alle forme contrattuali, licitazioni e trattative private, in deroga all’asta pubblica, sia sotto il profilo di legittimità che di merito.

La Giunta Provinciale Amministrativa continuava ad esercitare le funzioni di controllo di merito sulle deliberazioni più importanti dell’Ente dal punto di vista finanziario, patrimoniale e regolamentare. Il controllo, in caso di esito positivo, si concludeva con la formula “visto e approvata” dalla Giunta Provinciale Amministrativa sul presupposto che il controllo di merito includeva anche quello di legittimità. Se la deliberazione fosse risultata non ammissibile, la Giunta l’avrebbe rinviata all’Amministrazione interessata, indicando i motivi del rinvio, invitando l’Ente a trasmettere, entro un termine da essa stabilito, le eventuali deduzioni: alla ricezione delle controdeduzioni o, in mancanza, la Giunta Provinciale doveva, con provvedimento formale, approvare o non approvare la deliberazione.

La Giunta Provinciale Amministrativa si componeva, ai sensi dell’articolo 9 del Regio Decreto Luogotenenziale n. 111/1944 di dieci membri:

  1. Prefetto o suo delegato che la presiedeva;
  2. Intendente di finanza;
  3. Ispettore provinciale - Vice prefetto ispettore;
  4. due consiglieri di Prefettura;
  5. Ragioniere - capo - Direttore di sezione della Prefettura;
  6. quattro membri effettivi e due supplenti nominati dal Consiglio provinciale esperti in materia giuridico-amministrativa.

Così stante la composizione, in pratica il controllo sugli enti locali rimaneva immutato ed era ancora incentrato nella figura del Prefetto, il quale lo esercitava secondo i criteri di giudizio legati al vecchio Testo Unico n. 383/1934.

D’altra parte, il Consiglio di Prefettura, nelle sue funzioni contabile-giurisdizionali sopra esaminate, andava verso un suo declino: cessò di funzionare (sentenza della Corte Costituzionale n. 55 del 3 giugno 1966), come già sopra segnalato, in quanto incompatibile con il principio di imparzialità del giudice (articoli 100 e seguenti della Costituzione).

L’articolato controllo sugli atti degli Enti locali ebbe suo assetto solo nel 1970-1971, a seguito dell’attuazione dell’ordinamento regionale, in ossequio ai principi costituzionali – rimasti sospesi per oltre venti anni, ma la cui applicazione non poteva più ignorarsi - sulle autonomie locali di cui all’articolo 130 della Costituzione, il quale affidava ad un organo regionale la funzione di controllo.

Ma le difficoltà non mancarono! In primis, il nuovo organo regionale di controllo impattava con le norme del vecchio Testo Unico n. 383/1934, che rispecchiavano un’amministrazione accentratrice, per lo più indipendente nella spesa piuttosto che basata su principi di autodeterminazione.

In secondo luogo, i legami con il vecchio sistema dell’Amministrazione centrale (Ministero dell’interno), non erano rotti, in quanto nella composizione del Comitato Regionale di Controllo (acronimo di Co.Re.Co.) era presente un rappresentante del Governo.

Ai sensi degli articoli 55 e 71 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (cd. legge Scelba), i membri del Co.Re.Co. erano nominati dal Presidente della Giunta regionale. Era composto da cinque persone, che duravano in carica quanto il Consiglio regionale, di cui tre esperti effettivi e due supplenti, eletti dal Consiglio regionale, un componente effettivo e uno supplente designati dal Commissario del Governo, un componente effettivo e uno supplente designati dal Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale tra i propri giudici o, in mancanza, designati dalla sezione regionale della Corte dei conti.

Nel caso in cui veniva costituito un Comitato in forma decentrata nei capoluoghi di Provincia, la composizione variava con la sostituzione del membro designato dal Tribunale Amministrativo Regionale o dalla Corte dei conti regionale, con il funzionario più elevato di grado dell’Amministrazione Provinciale, identificato nella figura del Segretario Generale dell’Ente.

Con l’entrata in scena del nuovo sistema di controlli, il controllo di merito sulle deliberazioni esercitato dalle Giunte Provinciali Amministrative, di matrice autarchico- accentratrice, si attenuava.

Scomparirono sia l’arcaico istituto del “visto”, contemplato bell’articolo 97 del Testo Unico n. 383 del 3 marzo 1934, che le autorizzazioni agli appalti e ai contratti in deroga all’asta pubblica, di competenza Prefettizia, alla quale restavano solo le autorizzazioni agli acquisti, alle donazioni e ai lasciti (cd. “manomorta”).

La legge n. 62/1953 delineò, quindi, un quadro di controlli che, risentendo dell’influenza politica centralista dell’epoca, si poneva in antitesi alla logica del sistema precedente: infatti, il controllo da successivo/repressivo diventava preventivo, ossia come condizione sospensiva di esecutività delle deliberazioni sottoposte a controllo, ovvero il conseguimento dell’efficacia era condizionata allo spirare del termine entro il quale il potere di annullamento poteva essere esercitato, essendo preclusa la possibilità di conseguire efficacia prima di tale termine.

La legge in esame, che prevedeva la sottoposizione degli atti degli Enti locali al controllo sia di legittimità sia di merito (quest’ultimo, come accennato, meno penetrante, sotto forma di richiesta motivata all’Ente deliberante di riesaminare la propria deliberazione), ma la cui concreta applicazione cominciò ad esplicare i suoi effetti a partire dal 1970-1971 con legge 16 maggio 1970 n. 281 a seguito dell’attuazione dell’ordinamento regionale e, poi, con l’articolo 4 della legge 22 luglio 1975, n. 382, rimarrà, fino alla successiva riforma attuata con legge n. 142/90, la base principale di riferimento nei rapporti tra controllore e Ente controllato.

Ciò detto, il procedimento di controllo seguiva il seguente schema:

  1. trasmissione delle deliberazioni al controllo, non più soggetto al termine di decadenza di 8 giorni;
  2. istruttoria del Comitato regionale di controllo;
  3. controllo senza rilievi o annullamento anche prima dei giorni 20, o 40 per i bilanci, a pena di decadenza, nei quali il controllo doveva essere esercitato e il cui decorso rendevano efficaci le deliberazioni;
  4. eventuale richiesta di chiarimenti e/o elementi integrativi di giudizio o invito a rivedere nel merito (abolito definitivamente dalla legge n. 142/1990), secondo la previsione dell’articolo 130 della Costituzione, la deliberazione;
  5. invio al Comitato di controllo delle deduzioni, chiarimenti o elementi integrativi di giudizio;
  6. decisione definitiva, di esame senza rilievi o di annullamento della deliberazione entro gli stessi termini perentori sopra indicati, interrotti e non sospesi, dal momento della richiesta istruttoria, i quali cominciavano a decorrere per intero.

Se entro venti giorni dalla ricezione della deliberazione il Comitato regionale di controllo non avesse pronunciato l’annullamento con formale decreto, il provvedimento avrebbe acquistato efficacia per decorrenza dei termini (silenzio-approvazione).

Se entro il predetto termine di 20 giorni avesse chiesto chiarimenti o elementi integrativi di giudizio (controllo di legittimità, ex articolo 59 della legge n. 62/1953) alla Provincia o al Comune, la deliberazione avrebbe acquistata esecutività se l'organo di controllo non ne avesse pronunciato l'annullamento nel termine di venti giorni dalla ricezione delle controdeduzioni della Provincia o del Comune.

In tal caso il termine dei 20 giorni era “sospeso”: ma più che di sospensione si trattava tecnicamente di “interruzione, considerato che dal momento dalla data di ricezione delle controdeduzioni dell’Ente, il Co.Re.Co. aveva a disposizione ulteriori 20 giorni per emettere decreto di annullamento della deliberazione.

I chiarimenti potevano essere di ordine formale o sostanziale: nel primo caso, se non fosse stato modificato il contenuto dell’atto, sarebbe stato sufficiente una nota a firma del legale rappresentante dell’Ente; se si fosse resa necessaria una modifica, una integrazione, una rettifica dell’atto sottoposto a controllo, sarebbe stata necessaria una deliberazione dell’organo competente ed il Comitato regionale di controllo doveva decidere senza ulteriori rinvii: o approvarla o annullarla.

Ove avesse riscontrato un vizio di merito nella deliberazione (articolo 60 della legge n. 62/1953) avrebbe potuto, entro venti giorni dal ricevimento dei processi verbali (quaranta giorni per le deliberazioni di approvazione del bilancio), invitare con ordinanza motivata il Consiglio provinciale o il Consiglio comunale a riprenderla in esame.

Nell’ipotesi che il Consiglio provinciale o il Consiglio comunale avessero confermato, senza modificazioni ed a maggioranza assoluta dei loro componenti, la deliberazione al cui riesame erano stati invitati dall'organo di controllo, ai sensi del secondo comma dell’articolo 60, sarebbe diventata esecutiva dopo la pubblicazione per la durata di quindici giorni all'Albo pretorio e l'invio all'organo di controllo, che doveva essere effettuato entro 8 giorni dalla data della deliberazione.

Quelle non soggette a specifiche approvazioni da parte della Giunta Provinciale Amministrativa, che dovevano essere pubblicate almeno in un giorno festivo o di mercato compreso nell’arco temporale dei 15 giorni, diventavano esecutive per il decorso dei 15 giorni, senza che il Prefetto avesse adottato alcun provvedimento formale, qualora ritenute immuni da vizi di legittimità. In caso contrario avrebbe dovuto annullarle, con decreto, entro 20 giorni dalla loro adozione.

Uno stratagemma seguito dalle Amministrazioni locali era quello di inviare le deliberazioni al Prefetto entro gli 8 giorni stabiliti dalla legge, per far si che questi fosse in grado di svolgere altrettanto tempestivamente il controllo. Prudenza consigliava, inoltre che, trascorsi i 15 giorni di pubblicazione all’Albo pretorio, le Amministrazioni non eseguivano subito le deliberazioni (anche se l’atto diventava efficace per decorrenza del periodo di affissione), ma di attendere lo spirare dei 20 giorni, decorrenti dalla data in cui la deliberazione era stata ricevuta dalla Prefettura; termine entro il quale il Prefetto avrebbe potuto emettere ancora legittimamente il decreto di annullamento.

Da sottolineare che il sistema dei controlli così ricostruito, spezzava quel legale di sottoposizione al potere governativo accentrato delle Prefetture, ponendo il Comitato regionale in posizione di indipendenza e dotato di autonomia in grado di assicurare una corretta valutazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche poste alla base del provvedimento amministrativo e addivenire a una giusta decisione, anche se non era ancora in posizione di super partes o di terzietà rispetto al rapporto con le parti.

Con l’entrata in vigore della legge 8 giugno 1990, n. 142, in attuazione dei principi contenuti nella Carta Europea delle autonomie locali - convenzione di Strasburgo, ratificata con legge 30 dicembre 1989, n. 30 - i controlli sugli atti degli Enti locali risultavano affievoliti e quello di merito (già facoltativo per il legislatore ordinario) definitivamente abolito e il controllo di legittimità ricondotto a tre forme (articolo 45): i Comuni e le Province acquistarono quella tanto auspicata autonomia tracciata dalla Costituzione, che vedeva gli Enti locali titolari di poteri propri, limitati solo dalla Costituzione e da legge e principi fondamentali, che ne delimitavano le funzioni.

Inoltre sparirono tutti quei controlli atipici in precedenza esercitati dal Comitato regionale di controllo, come visti, approvazione, ecc..

I Comitati regionali di controllo, articolati in sezioni territoriali a livello provinciale, potevano agire entro i parametri definiti dalla legge 142/90, nel rispetto delle leggi statali, delle norme statutarie e regolamentari degli Enti stessi e delle norme della Regione nelle materie di loro competenza o delegate ai Comuni e alle Province.

Alle luce delle nuove statuizioni i cinque componenti del Comitato regionale di controllo erano scelti, nel numero di quattro, dal Consiglio regionale, direttamente e senza alcuna designazione o proposta, mentre il quinto era designato dal Commissario del governo nella Regione tra i funzionari dell’Amministrazione civile dell’interno in servizio nelle rispettive province. Con questa composizione cd. “mista”, con 4/5 dei membri nominati dal Consiglio regionale, il Comitato regionale di controllo si sganciava dal potere centrale acquistando autonomia ed autogoverno, ma soprattutto assumeva le caratteristiche di organo terzo garante dei diritti delle parti.

La composizione era la seguente:

  1. il primo dall’albo degli avvocati, scelto da una terna, proposta dal competente ordine professionale tra gli iscritti da almeno 10 anni;
  2. il secondo dall’albo dei dottori commercialisti o dei ragionieri, scelto da un’analoga terna, proposta dai rispettivi ordini professionali tra gli iscritti da almeno 10 anni;
  3. il terzo tra chi aveva ricoperto per almeno 5 anni la carica di Sindaco, di Presidente della Provincia, di consigliere regionale o di parlamentare, esclusi quelli in carica, ovvero tra i funzionari statali, regionali o degli Enti locali collocati a riposo con qualifica non inferiore a dirigente o equiparato;
  4. il quarto scelto tra i magistrati o gli avvocati dello Stato a riposo o tra i professori di ruolo di università in materie giuridiche e amministrative ovvero tra i segretari comunali e provinciali a riposo;
  5. un esperto designato dal commissario del Governo scelto fra funzionari dell'Amministrazione civile dell'interno in servizio nelle rispettive province.

In questo periodo, i controlli si configuravano ancora come modello adatto ad un tipo di amministrazione per atti anziché per servizi. A sua volta i controlli si suddividevano in: a) preventivo necessario di legittimità; b) eventuale di legittimità relativamente alle deliberazioni di Giunta, soltanto a seguito della richiesta da parte dei consiglieri o delle giunte stesse. Il sindacato di merito venne soppresso. Si noti come da controllo di legittimità necessario per l’efficacia e l’esecutività delle deliberazioni, si passò a un controllo che sospendeva l’efficacia delle deliberazioni fino all’esame positivo del Comitato di controllo.

Il controllo esplicitato dalla legge 142/90 circoscriveva il controllo alla sola legittimità, con soppressione del sindacato di merito, anacronistico, appartenente ormai alla vecchia concezione dello Stato accentratore ed in linea con i nuovi principi autonomistici e di autogoverno delineati dalla legge de qua, anche con riferimento all’articolo 130 della Costituzione che prevedeva detto controllo facoltativo e non obbligatorio, modificando in parte il controllo disciplinato anteriormente alla sua entrata in vigore. Il procedimento di controllo poteva essere schematizzato:

Controllo necessario. Trasmissione degli atti all’organo di controllo. Questo tipo di controllo generale preventivo di legittimità riguardava le deliberazioni dei Consigli comunali e provinciali (compreso eventuali Commissari ad acta) nonché quelle che i consigli e le giunte intendevano, di propria iniziativa, sottoporre al comitato (articolo 45), competenza non derogabile dagli statuti o dai regolamenti, con esclusione delle deliberazioni meramente esecutive di altre deliberazioni, già adottate e che avevano superato positivamente il controllo, nonché gli atti di competenza del Sindaco o di altri organi monocratici.

Le deliberazioni elencate all’articolo 45 della legge 142/90 diventavano esecutive se nel termine di venti giorni dalla ricezione il Comitato regionale di controllo non avesse adottato un provvedimento di annullamento, comunicandone l’esito all’Ente sottoposto a controllo (silenzio-approvazione). Le deliberazioni predette diventavano esecutive se nel termine di 20 giorni dalla ricezione (quaranta per l'esame del bilancio preventivo e del conto consuntivo), il Co.Re.Co. avesse comunicato all’Ente di non aver riscontrato vizi di legittimità (c.d. esecutività anticipata). Detto termine, compreso l’ipotesi di chiarimenti forniti dall’Ente su richiesta del Co.Re.Co. per l’annullamento delle deliberazioni illegittime, era da ritenersi perentorio.

Le deliberazioni dichiarate immediatamente eseguibili per motivi d’urgenza, dovevano essere trasmesse al Co.Re.Co, entro il quinto giorno successivo all’adozione e pubblicate per 15 giorni consecutivi all’Albo pretorio dell’Ente, salvo diversa disposizione di legge, eliminando così la disposizione “nel primo giorno festivo o di mercato”; per le altre delibere la legge 142/90 rinviava al legislatore regionale la disciplina. Detto termine era perentorio (cinque giorni successivi all’adozione), pena la decadenza ope legis della medesima.

Richiesta di chiarimenti o elementi integrativi di giudizio. Ricevuta (non trasmessa) la deliberazione, il Co.Re.Co. effettuava l’istruttoria avendo facoltà di richiedere all’ente controllato chiarimenti o elementi integrativi di giudizio (questi ultimi intesi come dati definiti) entro venti giorni dalla ricezione della stessa (quaranta giorni per l'esame del bilancio preventivo e del conto consuntivo).

La richiesta di precisazioni ed approfondimenti, sia riferiti ai presupposti di fatto sia alle ragioni giuridiche, non intaccava il potere del Co.Re.Co. di annullare l’atto, che rimaneva esteso alle restanti parti del provvedimento non oggetto di formale richiesta chiarimenti, che qualora ritenuti non soddisfacenti, potevano essere reiterati purché contenuti entro il termine finale di venti giorni dalla ricezione dell’atto da controllare. Se si fosse resa necessaria una modifica, una integrazione, una rettifica dell’atto sottoposto a controllo, sarebbe stato necessario un nuovo deliberato dell’organo competente; se non si fosse modificato il contenuto dell’atto, sarebbe stato sufficiente una nota a firma del legale rappresentante dell’Ente. Il termine dei venti giorni (quaranta giorni per l'esame del bilancio preventivo e del conto consuntivo) per l’esercizio del controllo poteva essere interrotto (non sospeso) per una sola volta per ragioni istruttorie e riprendeva a decorrere ex novo dalla data della ricezione dei chiarimenti o elementi integrativi di giudizio: in tal caso l’organo tutorio poteva procedere o all’approvazione o all’annullamento della deliberazione sottoposta al controllo, essendogli precluso altro pronunciamento interlocutorio.

Decisione finale del Co.Re.Co. Qualora il Comitato di controllo - fatte salve le ipotesi di: a) acquisto dell’esecutività per decorso del termine di venti giorni senza che il Co.Re.C.o. avesse assunto un provvedimento di annullamento; b) non riscontro di vizi di legittimità - a conclusione del procedimento di controllo avesse riscontrato vizi di legittimità, avrebbe emesso provvedimento finale di annullamento dell’atto sottoposto a controllo con riferimento alla violazione: 1) dei principi generali del diritto; 2) della normativa vigente; 3) alle disposizioni statutarie.

Detto provvedimento negativo di controllo doveva essere comunicato all’ente interessato entro il termine di venti giorni (quaranta per le deliberazioni di approvazione del bilancio di previsione e del rendiconto) decorrenti dalla data di ricezione dell’atto sottoposto a controllo. Era legittimo l’annullamento di una deliberazione per motivi diversi da quelli per i quali era stata formulata richiesta di chiarimenti, purché il provvedimento di annullamento venisse emesso entro il termine dei venti giorni decorrenti dalla data di ricezione dei chiarimenti: un provvedimento di annullamento emanato oltre detto termine, determinava l’esecutività ope legs dell’atto deliberativo sottoposto a controllo, ed i suoi effetti erano da ritenersi consolidati.

Tuttavia, era ammesso l’emanazione di un provvedimento di annullamento parziale: in questi casi veniva annullato solo la parte del deliberato non esente da vizi di legittimità, mentre la restante parte conservava la sua validità.

Da evidenziare che il Co.Re.Co. non poteva riesaminare un provvedimento sottoposto a controllo, nel caso lo stesso fosse stato annullato dal TAR o dal Consiglio di Stato.

Esecutività delle deliberazioni. Ai sensi dell’articolo 46, le deliberazioni dichiarate urgenti dovevano essere trasmesse, a pena di decadenza, al Comitato di controllo entro il quinto giorno successivo alla loro adozione. Le deliberazioni di cui all’articolo 45 diventavano esecutive se entro 20 giorni dalla ricezione il Comitato regionale di controllo non avesse adottato un provvedimento di annullamento, dandone comunicazione all'Ente interessato (silenzio-approvazione).

Per le deliberazioni soggette a controllo eventuale, la richiesta di controllo sospendeva l’esecutività delle stesse fino all’esito del controllo.

Le deliberazioni del Consiglio e della Giunta non soggette a controllo necessario e non sottoposte a controllo eventuale nei casi stabiliti dalla legge, acquistavano efficacia dopo il decimo giorno di affissione all’albo pretorio, mentre la pubblicazione delle medesime all’albo pretorio doveva effettuarsi per 15 giorni consecutivi, ad eccezione di alcuni provvedimenti (ad es., regolamenti) che richiedevano un diverso maggiore periodo di pubblicazione per il loro esame e approvazione.

Il termine di venti giorni dalla ricezione o delle controdeduzioni fornite dall’Ente su richiesta del Co.Re.Co., per l’annullamento delle deliberazioni ritenute illegittime, rivestiva carattere perentorio.

L'organo tutorio poteva altresì comunicare all'Ente deliberante di non aver riscontrato vizi di legittimità rendendo così anticipatamente esecutivo l'atto deliberativo (esecuzione anticipata).

Per l'esame del bilancio preventivo e del consuntivo, come sopra riportato, il relativo controllo veniva esercitato entro il termine di 40 giorni dal ricevimento dell'atto (non trasmissione), decorso il quale l’atto diventava esecutivo.

Il controllo di legittimità del bilancio preventivo e del conto consuntivo comprendeva la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché con i documenti giustificativi allegati alle stesse, con ciò intendendosi non solo un controllo formale delle relative deliberazioni, ma riferito a regole e principi tecnico-contabili che regolavano la materia.

Entro detto termine il Comitato poteva prescrivere all'Ente le modificazioni da apportare al conto consuntivo, assegnando un termine massimo di 30 giorni per provvedere. In caso di inadempimento, equivalente alla mancata adozione del conto, il Comitato di controllo provvedeva alla nomina di uno i più commissari ad acta per la redazione dello stesso.

Le modificazioni proposte dal Co.Re.Co. erano formulate sulla base di riscontrate discordanze tra gli elementi costitutivi del conto o in relazione ai presupposti giustificativi della gestione.

Infine, si evidenzia che le c.d. approvazioni condizionate, non previste dalla legge in commento, erano ammesse dalla giurisprudenza, a condizione che non avessero stravolto l’essenza del provvedimento approvato e consistenti in precisazioni di espressioni di significato incerto o di suggerimenti da inserire nell’atto. Nel caso in cui l’Ente fosse rimasto passivo a fronte di un controllo condizionato, le condizioni prescritte dall’organo di controllo avrebbero formato parte integrante e sostanziale dell’atto sottoposto a controllo.

Non era disciplinato l’istituto dell’audizione dei componenti degli organi deliberativi (anche se alcune regioni avevano legiferato in tal senso), su motivata richiesta sotto l’aspetto della legalità. Vi era un rimando alla normativa regionale circa l’audizione del rappresentante dell’Ente (Sindaco, Presidente della Provincia).

Controllo eventuale a richiesta dei consiglieri sulle deliberazioni della Giunta. L’articolo 45, comma 2 della legge 142/90 disponeva che le deliberazioni di Giunta, non soggette a controllo obbligatorio, erano sottoposte al controllo di legittimità nelle seguenti materie, quando un terzo dei Consiglieri (assegnati) provinciali o un terzo dei consiglieri nei comuni nei quali si votava con il sistema proporzionale ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni nei quali si votava col sistema maggioritario ne avessero fatto richiesta scritta e motivata con l'indicazione delle norme violate entro dieci giorni dall'affissione all'albo pretorio:

  • a) acquisti, alienazioni, appalti ed in generale tutti i contratti;
  • b) contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a dipendenti o a terzi;
  • c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale.

La richiesta doveva essere formulata per iscritto, motivata ed indicare le norme violate e andava presentata entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio della deliberazione che si chiedeva di sottoporre al controllo. Dalla data di ricezione (non trasmissione) decorrevano i venti giorni, che potevano essere interrotti per una sola volta, se prima della sua scadenza il comitato regionale di controllo avesse chiesto chiarimenti o elementi integrativi di giudizio all'ente deliberante. In tal caso il termine per l'annullamento riprendeva a decorrere dal momento della ricezione degli atti richiesti, fatto salvo l’esecutività anticipata se prima dello scadere del termine di venti giorni dalla ricezione delle stesse il comitato regionale di controllo non avesse adottato un provvedimento di annullamento, dandone nel medesimo termine comunicazione all'Ente interessato.

Le richieste di sottoposizione al controllo eventuale delle deliberazioni della Giunta non erano revocabili in quanto l’atto deliberativo fuoriusciva dalla disponibilità dell’organo deliberante, per la conseguente presa in carico dell’organo di controllo.

Doveva trattarsi, comunque, di atti riguardanti materie indicate nel comma 2 dell’articolo 45, per i quali si denunciavano violazioni di legge ovvero deliberazioni di Giunta ritenute illegittime in quanto affette da vizio di incompetenza o da contraddittorietà con un precedente provvedimento fondamentale adottato dal Consiglio, ai sensi dell’articolo 45, comma 4, legge 142/90.

In questi casi il Comitato regionale di controllo doveva limitarsi alle illegittimità denunciate, non potendo spingere oltre la sua attività di controllo.

Controllo facoltativo sulle deliberazioni del Consiglio e della Giunta su richiesta propria. Sia il Consiglio che la Giunta del Comune e della Provincia potevano sottoporre, spontaneamente (autoiniziativa), al controllo preventivo di legittimità (manifestata o all’atto di adozione della deliberazione, oppure, entro dieci giorni dalla sua pubblicazione), di natura squisitamente collaborativa, del Comitato ogni altra deliberazione (articolo 45, comma 1 della legge 142/1990), nelle materie elencate nel comma 2 dell’articolo 45. Tuttavia, includere anche le delibere di Consiglio, fu una svista del legislatore, considerato che tutte le delibere del Consiglio erano soggette al controllo “necessario”.

In questa fattispecie, si rimetteva alla volontà dell’organo deliberante, nello spirito di fattiva cooperazione a carattere paraconsultivo, la facoltà di attivare questo tipo di controllo, oltre quello necessario, a maggior tutela ed a garanzia della legalità e correttezza dell’attività amministrativa.

La giurisprudenza amministrativa più accreditata, riteneva assoggettabili al controllo le deliberazioni della Giunta, per legge non soggette a controllo, per le quali la Giunta stessa ne avesse fatto richiesta o dal Consiglio per le delibere di Giunta (quest’ultimo quale organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 32, comma 1, della legge 142/90).

Questa previsione legislativa comportava la trasformazione del controllo, da istituto di garanzia dell’ordinamento giuridico, a una forma di attività di collaborazione tra controllore e controllato quasi del tutto superflua. Infatti, l’organo deliberante poteva rimediare agli effetti dell’annullamento della deliberazione del Comitato regionale di controllo mediante riapprovazione di deliberazione di analogo contenuto senza però, in quest’ultimo caso, sottoporla spontaneamente al controllo preventivo di legittimità del Co.Re.C.o..

Controllo su iniziativa del Prefetto. Cenno. In materia di prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di pericolosità scoiale, il Prefetto, ai sensi dell’articolo 1-bis della legge 19/03/1990, n. 55, modificato dal decreto legge n. 152 del 13/05/1991, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203, poteva chiedere al Comitato regionale di controllo di sottoporre a controllo preventivo di legittimità le deliberazioni relative agli acquisti, alienazioni, appalti ed i generale tutti i contratti, ai sensi dell’articolo 45 della citata legge n. 142/1990.

Potere di annullamento Governativo. Cenno.

L’istituto, le cui origini risalgono allo Stato assoluto, trovava disciplina attuale nelle prescrizioni di cui all’articolo 6 del Regio Decreto 3 marzo 1934 n. 383, non abrogato dalla legge 142/1990, recante testo unico della legge comunale e provinciale, il quale attribuiva al Governo la facoltà di annullare, in qualunque tempo, di ufficio o su denuncia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti viziati da incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge o di regolamenti generali o speciali.

Si trattava di controllo successivo e straordinario con riguardo alla sola legittimità, previsto per la prima volta dai regolamenti del 1889, del 1899, del 1911, poi nell’articolo 114 del Regio Decreto 30 dicembre 1923 n. 2839, ed in ultimo dal citato articolo 6 del Testo Unico 383/1934, il quale riproduceva, nella sostanza, la disposizione di cui all’articolo 114 del Regio Decreto 30 dicembre 1923, n. 2839, ove si stabiliva, tra l’altro, che «il governo del Re ha facoltà, in qualunque tempo, sia sopra denuncia, sia per propria iniziativa, di dichiarare per decreto reale, sentito il consiglio di Stato, la nullità degli atti o provvedimenti che contengano violazione di leggi o di regolamenti generali o speciali» (a sua volta, la norma ultima citata riproduceva testualmente la disposizione di cui all’articolo 164 del Regio Decreto 12 febbraio 1911, n. 297).

Considerato fin dall’unità d’Italia come strumento di controllo della legalità e dell’unitarietà dell’ordinamento amministrativo dello Stato, esso era sempre stato riconosciuto applicabile – nonostante l’assenza di espresse disposizioni di legge (dal 1865 sino al 1934 facevano riferimento a esso, per disciplinarne la procedura, soltanto i regolamenti di esecuzione della legge comunale e provinciale) – a tutti gli atti amministrativi, da qualsiasi autorità, statale o autarchica, promanavano.

Detto controllo, come detto di natura eccezionale, doveva trovare un limite ragionevole in situazioni straordinarie da valutare caso per caso, ossia in riferimento alle ragioni di interesse pubblico attuale e concreto, tale da invocare l’applicazione di detto istituto. Non sempre, però, all’annullamento di un atto illegittimo coincideva l’interesse pubblico al ripristino della legalità, ma era il giusto equilibrio, un compromesso, tra quest’ultimo e l’interesse che non venivano rimossi atti amministrativi che producevano e continuavano a produrre effetti giuridici da tempo. In definitiva l’annullamento governativo di atti amministrativi illegittimi veniva in luce solo se fosse prevalso il soddisfacimento dell’interesse pubblico rispetto all’interesse al ripristino della legalità violata.

L’annullamento governativo aveva effetto ex tunc, ossia fin dall’origine dell’adozione dell’atto, per cui l’atto stesso doveva considerarsi come mai esistito. Una eccezione riguardava provvedimenti adottati a seguito di attività amministrativa vincolata.

 

5. Periodo dal 1990 al Testo Unico Enti Locali n. 267/2000, passando per la legge n. 127/1997

Ai principi contenuti nella Costituzione (articolo 130) fu data una prima attuazione con la sopra richiamata legge 10 febbraio 1953, n. 62, la quale istituì il Comitato regionale di controllo (c.d. Co.Re.Co.), per l’esercizio del controllo indistinto su tutte le deliberazioni del consiglio e della giunta che, per alcune delibere, veniva allargato anche al merito.

La legge 142/1990, come abbiamo visto, ridusse detti controlli, abolendo quello di merito, prevedendo i seguenti: a) “necessario o obbligatorio” per le deliberazioni del consiglio comunale e per quelle della giunta dichiarate “urgenti”; b) “eventuale” per specifiche deliberazioni di giunta (acquisti, contratti, assunzioni, ecc.); c) “facoltativo o spontaneo” su richiesta della giunta stessa, nel caso in cui lo stesso organo deliberante volesse essere confortato circa la legittimità del suo operato.

In questa situazione si aggiungeva il controllo speciale prefettizio su alcune deliberazioni degli enti locali riguardanti acquisti, alienazioni ed appalti (legge 19/03/1990, n. 55): controllo abolito dalla legge 127/97, come pure veniva abolito il controllo necessario sulle deliberazioni della giunta.

Successivamente fu varata la legge 15 maggio 1997, n. 127 (c.d. Bassanini Bis) che rivoluzionò la materia contribuendo a scardinare la logica dei pregressi controlli, basata soprattutto sul controllo preventivo di legittimità, affievolendo ulteriormente i controlli a casi particolari, garantendo maggiore autonomia ed una impronta di tipo manageriale all’attività dei loro organi.

La ratio della norma, quindi, era completamente cambiata rispetto al sistema previgente ove venivano puntualmente determinati i tipi di deliberazioni escluse dal controllo, prevedendo i seguenti tipi controlli: a) “necessario o obbligatorio” su alcuni atti fondamentali del consiglio; b) “eventuale” su richiesta della minoranza sulle delibere di Giunta e di Consiglio riguardanti: gli appalti, le assunzioni e piante organiche; c) “facoltativo o spontaneo”, su richiesta della giunta stessa.

La citata legge soppresse il parere di legittimità sugli atti deliberativi del Segretario Comunale, ridimensionò l’attività di controllo svolta sugli atti da parte del Comitato regionale di controllo, prevedendo la figura del Difensore civico, organo eletto dall’interno dell’Ente, garante dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa.

In sostanza il mutamento di finalità sembrava essere indirizzato a favorire le aspettative dei cittadini al buon funzionamento delle istituzioni piuttosto che a soddisfare astratti interessi alla legalità di singoli atti, in quanto la Pubblica amministrazione operava sempre meno per “atti singoli”, orientata verso il prodotto finale “risultato” che presupponeva un controllo sull’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.

In definitiva, con la legge n. 127/97 il controllo si estrinsecava nel modo seguente:

  1. tipologia di atti soggetti a controllo, ulteriormente ridotta al minimo indispensabile;
  2. tipologia dei vizi;
  3. modalità del procedimento del controllo, con l’intento di rafforzare le autonomie regionali e locali in attesa di una ridefinizione di una più ampia riforma costituzionale, favorendo una nuova cultura dell’amministrazione in grado di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa e la responsabilizzazione degli amministratori.

Gli atti sottoposti a controllo necessario di legittimità erano: statuti, regolamenti di competenza del Consiglio, esclusi quelli riguardanti l’autonomina organizzativa e contabile del Consiglio (regolamento degli uffici e dei servizi; piani urbanistici); bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, adottate o ratificate dal Consiglio; rendiconto della gestione.

La enumerazione degli atti sottoposti al controllo del Co.Re.Co. era tassativa, non suscettibile di interpretazione analogica.

L’articolo 17, comma 34, limitava il controllo “cd. facoltativo o su iniziativa propria” alle sole deliberazioni che la Giunta intendeva sottoporre al Co.Re.Co., diversamente disciplinato dall’abrogato articolo 45, comma 1 della legge 142/1990 che prevedeva l’assoggettabilità al controllo preventivo di legittimità le deliberazioni “che i consigli e le giunte intendevano, di propria iniziativa, sottoporre al Comitato”.

Ovviamente la sottoposizione facoltativa delle deliberazioni della Giunta all’organo di controllo, sospendeva l’esecutività delle stesse in attesa dell’esito del controllo.

In tal modo la Giunta esercitava la facoltà di essere confortata circa la legittimità del suo operato sottoponendo spontaneamente l’atto deliberativo al controllo del Comitato regionale.

Il richiamato articolo 17, dopo aver limitato le categorie di atti del Consiglio soggette al controllo necessario, prevedeva un “controllo eventuale” su alcune delibere della Giunta e del Consiglio, nei limiti delle illegittimità denunciate, su richiesta di un quarto dei consiglieri provinciali e un quarto dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, ovvero un quinto dei consiglieri nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, in forma scritta e motivata con l’indicazione specifica delle presunte norme violate, da presentarsi entro dieci giorni dall’affissione della deliberazione all’albo pretorio, comportante la sospensione dell’esecutività della deliberazione stessa fino all’esito del controllo. Detto controllo doveva riguardare, tassativamente, le seguenti materie: appalti e affidamenti di servizi o forniture di importo superiore alla soglia comunitaria; dotazioni organiche del personale e relative variazioni; assunzioni del personale.

Con la riduzione del controllo preventivo di legittimità venivano però istituiti organi interni di controllo e di revisione e dal conferimento ai dirigenti, attraverso il rilascio di parere in ordine alla legittimità e regolarità tecnico-contabile degli atti (articoli 53, legge 142/90), e dei compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa del segretario comunale e provinciale nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti (articolo 17, comma 68, della legge 15 maggio 1997, n. 127).

Il procedimento di controllo era così articolato:

1) Controllo necessario. Trasmissione della deliberazione all’organo di controllo.

Ai sensi dell’articolo 17, comma 40, tutte le deliberazioni soggette al controllo preventivo di legittimità dovevano essere inviate (non ricevimento) al Co.Re.Co. entro il quinto giorno successivo all’adozione (per la legge n. 142/90 detto termine valeva solo per le deliberazioni dichiarate immediatamente eseguibili); per la regolamentazione delle altre vi era un rinvio al legislatore regionale). Detto termine (cinque giorni successivi all’adozione) era perentorio, pena la decadenza ope legis della medesima.

2) Ricevuta la deliberazione, il Co.Re.Co. effettuava l’istruttoria in contraddittorio con l’Ente deliberante, avendo facoltà di: a) disporre l’audizione dei rappresenti dell’Ente deliberante; b) richiedere chiarimenti o elementi integrativi di giudizio (questi ultimi intesi come dati esistenti).

L’audizione, novità introdotta dall’articolo 17, comma 42 della legge di riforma delle autonomie locali, era attivabile con richiesta formulata per scritto, a seguito di istruttoria informale e prima dell’esito definitivo, paragonabile alla richiesta di chiarimenti e degli elementi integrativi di giudizio, entro 10 giorni dalla ricezione dell’atto (non trasmissione) sottoposto a controllo preventivo di legittimità obbligatorio di cui all’articolo 33, del legale rappresentante degli Enti che a loro volta potevano delegare amministratori o consiglieri.

La finalità dell’istituto era quella di tenere un confronto tra controllare e controllato, sia che l’istanza provenisse dall’Ente deliberante oppure dal Comitato regionale di controllo. Nell’ipotesi di richieste istruttorie il termine per l’esercizio del controllo era sospeso (non interrotto) e iniziava a decorrere, per la parte residua, dalla data di trasmissione dei chiarimenti o elementi integrativi di giudizio o dell’audizione dei rappresentanti dell’Ente, o suoi delegati.

Decorsi i dieci giorni, le eventuali richieste di audizione o richiesta di chiarimenti del Co.Re.Co. non sospendevano né interrompevano il termine dei 30 giorni per l’esame dell’atto.

Anche per l’audizione, in conformità a quanto previsto per la richiesta di chiarimenti, si riteneva che la medesima potesse essere reiterata solo per la richiesta dei chiarimenti e/o degli elementi integrativi di giudizio, senza introduzione di nuovi elementi.

Il controllo di legittimità comportava la verifica della conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie specificamente indicate nel provvedimento di annullamento, per quanto riguardava la competenza, la forma e la procedura, rimanendo escluso ogni diversa valutazione dell’interesse pubblico perseguito.

Nell'esame del bilancio preventivo e del rendiconto della gestione il controllo di legittimità comprendeva “la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché con i documenti giustificativi allegati alle stesse” (articolo 17, comma 41 della legge 127/97).

3) Fase finaleDecisione del Co.Re.Co. Con riferimento all’atto sottoposto a controllo, il Comitato di controllo, entro trenta giorni dalla trasmissione (non ricezione) della deliberazione, poteva: a) se l’atto fosse stato trasmesso tardivamente (vale a dire oltre il quinto giorno dall’adozione), dichiararne la decadenza; b) se avesse ritenuto l’atto affetto da vizi di legittimità, procedere all’annullamento; c) se avesse ritenuto l’atto immune da vizi, vi avrebbe apposto il visto, così l’atto acquistava efficacia ab origine, ossia fin data della sua dell’adozione; d) non emetteva alcun provvedimento (silenzio-approvazione), nel qual caso il provvedimento acquistava efficacia dal primo giorno dopo i trenta entro il quale il Co.Re.Co. poteva esercitare il controllo; e) emettere un formale provvedimento di contenuto negativo, motivato, nel qual caso il provvedimento non acquistava efficacia.

Entro trenta giorni dalla trasmissione della deliberazione da controllare, il provvedimento motivato di annullamento non solo doveva essere adottato, ma anche trasmesso all’Ente deliberante.

Da ribadire che il Co.Re.Co. non poteva riesaminare un provvedimento sottoposto al controllo nel caso di annullamento dello stesso in sede giurisdizionale avverso una decisione negativa di controllo del TAR o del Consiglio di Stato, in appello.

Quindi, le deliberazioni soggette a controllo diventavano esecutive se: 1) entro trenta giorni dalla trasmissione (non ricezione) il Comitato di controllo non avesse adottato un provvedimento motivato di annullamento, non avendo riscontrato vizi legittimità: tale situazione produceva gli effetti automatici dell’esecutività delle deliberazioni (c.d. esecutività per decorrenza dei termini “silenzio-approvazione”); 2) prima dello spirare dei trenta giorni, qualora il Co.Re.Co. avesse comunicato all’Ente di non aver riscontrato vizi di legittimità nell’atto sottoposto a controllo (esecuzione anticipata).

Nell’ipotesi in cui il Comitato di controllo, entro 30 giorni dalla trasmissione della deliberazione, avesse adottato un provvedimento motivato di annullamento, copia integrale del medesimo e della motivazione in esso contenuta doveva essere inviato all’Ente interessato nello stesso termine di trenta giorni.

Le deliberazioni del Consiglio e della Giunta non soggette a controllo necessario e non sottoposte a controllo eventuale nei casi stabiliti dalla legge, acquistavano efficacia dopo il decimo giorno di affissione all’albo pretorio, mentre la pubblicazione comunque doveva effettuarsi all'Albo pretorio per 15 giorni consecutivi, ad eccezione di alcuni provvedimenti (ad es., regolamenti) che, come già detto, richiedevano un diverso maggiore periodo di pubblicazione per il loro esame e approvazione.

La motivazione doveva essere espressa e congrua, cioè doveva esplicitare i presupposti di fatto e indicare le norme violate dal provvedimento annullato. Non era consentita una motivazione mediante rinvio per relationem a precedenti atti di annullamento, ad eccezione di atti già annullati dall'organo di controllo.

Detto procedimento di controllo non si applicava alle delibere che le Giunte sottoponevano spontaneamente al controllo preventivo di legittimità, le quali diventavano efficaci secondo la procedura ordinaria.

Era legittimo il provvedimento di annullamento nel suo complesso adottato per motivi diversi non attinenti alle prescrizioni richieste dall'Ente controllato.

Annullamento parziale e condizionato. Tuttavia, in presenza di atto complesso, nella prassi era consentito l’annullamento parziale di parte di esso, con la conseguenza che la deliberazione acquistava efficacia per la parte non interessata dall’annullamento; se la parte annullata fosse stata ampiamente legata con quella restante, l’annullamento parziale non sarebbe stato consentito. Così come per l’annullamento parziale, nella prassi (di dubbia legittimità) era consentita l’approvazione condizionata; in tal caso l’esito favorevole del controllo era subordinato alle modifiche da apportare alla delibera sottoposta a controllo.

La giurisprudenza maggioritaria riteneva che l’approvazione condizionata della deliberazione equivaleva ad un controllo negativo; tuttavia l’organo deliberante poteva: a) far proprie le modifiche suggerite dall’organo tutorio mediante adozione di altra delibera in conformità alle prescrizioni del Comitato di controllo; b) disinteressarsi dell’attività non riscontrata positivamente; c) impugnare in sede giurisdizionale il provvedimento di controllo condizionato.

Controllo facoltativo su iniziativa della Giunta.

Si trattava di delibere che la Giunta, di propria iniziativa, sottoponevano al controllo preventivo di legittimità detto appunto “facoltativo o spontaneo” entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio, poiché decorso detto termine la delibera acquistava efficacia e non era più assoggettabile al controllo preventivo di legittimità. In tal caso, una volta attivata la procedura di controllo del Co.Re.Co., bisognava attendere il termine di trenta giorni affinché la delibera acquistasse efficacia.

Controllo eventuale su richiesta di una minoranza qualificata.

L’articolo 17, comma 38, della legge 127/1997 prevedeva un controllo eventuale, nei limiti delle illegittimità denunciate, delle deliberazioni della giunta quando ¼ dei consiglieri provinciali o ¼ dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero 1/5 dei consiglieri nei comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti ne avessero fatto richiesta. Il numero dei consiglieri era da riferirsi a quelli assegnati all’Ente. La richiesta doveva essere presentata: forma scritta (indirizzata al Sindaco, se si fosse trattato di atto giuntale; al Presidente del Consiglio, in caso di delibera di Consiglio); congruamente motivata con indicazione delle norme violate e l’indicazione dei vizi di legittimità che inficiavano il provvedimento; inoltrata entro dieci giorni dall’affissione della deliberazione all’albo pretorio; non era reversibile, vale a dire una volta sottoposto al controllo preventivo di legittimità, per l’esecutività dell’atto deliberativo bisognava attendere l’esito finale.

La novità era rappresentata dal fatto che la delibera non doveva essere più trasmessa al Co.Re.Co., bensì al Difensore Civico comunale o provinciale a seconda si trattasse di delibera comunale o provinciale. Solo se il Difensore Civico non risultasse costituito, le delibere sarebbero state trasmesse al Comitato regionale di controllo.

Le richieste di controllo non erano revocabili poiché dal momento in cui si chiedeva il controllo eventuale, l’atto fuoriusciva dalla disponibilità dell’Ente deliberante.

Il Comitato di controllo o il Difensore Civico, se istituito in virtù della previsione di cui all’articolo 17 della legge n. 127/1997, poteva ritenere: a) la delibera legittima, con conseguente archiviazione della richiesta; b) insussistenti i presupposti per l’esercizio del controllo eventuale (es. insufficienza del numero dei consiglieri richiedenti; materie estranee alla competenza dell’organo deliberante), dichiarando il non luogo a procedere; c) la delibera implicava profili di illegittimità, dandone comunicazione all’Ente deliberante entro 15 giorni dalla richiesta, invitandolo ad eliminare i vizi riscontrati.

Da precisare che il Difensore civico non poteva annullare la deliberazione, diversamente dal Co.Re.Co., ma deteneva il potere di esprimere un giudizio, un avvertimento sulla legittimità o meno della delibera stessa: giudizio fine a se stesso qualora l’Ente avesse potuto, senza modificarla, confermarla, nonostante i rilievi evidenziati dal Comitato di controllo o dal Difensore civico, con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei propri componenti conferendo efficacia alla delibera oggetto di controllo e, se munita della clausola di immediata eseguibilità, con tutte le conseguenti responsabilità per gli effetti prodotti medio tempore.

Il predetto procedimento non valeva per le delibere che la Giunta trasmetteva al Comitato regionale di propria iniziativa, le quali acquistavano efficacia secondo l'ordinario procedimento di controllo necessario.

Furono sollevati molti dubbi sull’efficacia di detto controllo, atteso che il Difensore civico era nominato dallo stesso Ente che poi veniva controllato da un controllore scelto proprio dall’Ente controllato, in palese violazione delle norme sulla incompatibilità.

Inoltre, è da ricordare che detto controllo eventuale poteva ritenersi poco efficace dal momento in cui la maggioranza poteva decidere di approvare l’atto, legittimo o meno, con la maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio, eludendo così i rilievi del Difensore civico.

 

6. Periodo dal 2000 alla riforma costituzionale n. 3/2001

Il Testo Unico n. 267/2000 raccolse in modo organico la normativa comunale e provinciale, ponendo un punto fermo nella legislazione comunale e provinciale, senza peraltro dare un assetto definitivo alla materia dei controllo sugli enti locali.

Ma poco dopo entrò in vigore la legge costituzionale n. 3/2001, a seguito del referendum costituzionale del 7 ottobre 2001 la quale, nello specifico, abrogò l’articolo 130 della Costituzione ad opera dell’articolo 9, comma 2, eliminando ogni forma di controllo da parte dei Comitati regionali di controllo.

Il vigente articolo 1, così inizia: “Il presente testo unico contiene i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali”; quindi, non solo legge di principi, ma anche raccolta di disposizioni precettive in materia di ordinamento di comuni, province e loro forme associative, auto-qualificandosi come fonte contenente disposizioni in materia di enti locali, in evidente rapporto con la loro autonomia statutaria e regolamentare.

L’abrogato articolo 133 del Testo Unico in materia di Ordinamento degli Enti Locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alle parole “conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie specificamente indicate nel provvedimento di annullamento”, aveva aggiunto le seguenti: “per quanto riguarda la competenza, la forma e la procedura”.

Il controllo di legittimità comportava la verifica della conformità dell’atto alle norme vigenti ed alle norme statutarie specificamente indicate nel provvedimento di annullamento, per quanto riguardava la competenza, la forma e la procedura, rimanendo escluso ogni diversa valutazione dell’interesse pubblico perseguito, sotto il profilo dell’eccesso di potere, ossia il cattivo uso del potere da parte della Pubblica amministrazione.

La richiesta di chiarimenti e/o elementi integrativi di giudizio sospendeva e non interrompeva, diversamente dal previgente sistema, il termine finale di 30 giorni dalla trasmissione dell’atto per la conclusione del procedimento istruttorio di controllo, il quale riprendeva a decorrere dalla data di trasmissione dei chiarimenti e degli elementi integrativi di giudizio richiesti o dell’audizione dei rappresentanti dell’Ente.

Il Comitato di regionale di controllo non poteva, inoltre, ripetere la richiesta di chiarimenti, evitando così quell’effetto “ping pong” per il quale ad ogni richiesta di chiarimenti seguiva risposta dell’Ente, con irragionevole allungamento dei tempi di conclusione del procedimento.

Pur tuttavia, entro lo stesso termine di conclusione del procedimento, il Comitato regionale di controllo poteva legittimamente chiedere maggiori dettagli, una ulteriore specificazione delle controdeduzioni fornite per una completa ed esaustiva valutazione complessiva, sempre che gli stessi non fossero innovativi, nel senso di non introduzione di modificazioni della deliberazione o nuovi elementi deliberativi.

Ai sensi del secondo comma dell’articolo 127 (controllo eventuale), il Comitato regionale di controllo ovvero, se istituito, il difensore civico comunale o provinciale, se avesse ritenuto illegittima la deliberazione, ne avrebbe dato comunicazione all'Ente entro 15 giorni dalla richiesta dei Consiglieri, con invito ad eliminare i vizi rilevati. In tale evenienza, qualora l’Ente avesse ritenuto di non modificare la delibera, essa avrebbe acquistato efficacia se confermata (atto consiliare confermativo che non si sostituiva a quello oggetto di controllo) con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti il Consiglio.

Qualora la richiesta di sottoposizione al controllo preventivo di legittimità dell’Organo regionale di controllo fosse stata presentata di propria iniziativa (controllo eventuale o spontaneo) dalla Giunta, il procedimento avrebbe seguito il percorso previsto e disciplinato dall’articolo 133, di cui si dirà in seguito.

Gli articoli 128 e 130 fissavano i criteri per l’istituzione dei comitati regionali di controllo e la loro composizione, mentre l’articolo 129 disponevano in ordine ai servizi di consulenza (audizione dei rappresentanti dell’Ente), che potevano essere attivati presso i suddetti comitati regionali di controllo. Gli articoli 133 e 134 regolavano le procedure per il funzionamento dei Comitati, fissavano i criteri per il procedimento del controllo sugli atti e all’esecutività delle deliberazioni a seguito dell’esito del controllo.

Per i bilanci e rendiconti il Comitato regionale (Co.Re.Co.) esercitava il controllo sui dati che emergevano dagli stessi, con riferimento non solo alla legittimità dell’atto, ma anche alla correttezza contabile dei dati negli stessi contenuti o ad essi allegati.

Per il rendiconto il controllo si estendeva non solo alla legittimità o elementi di non coerenza dei dati contabili, ma poteva indicare le modifiche da apportare, assegnando all’Ente un termine non superiore a 30 giorni per procedere. Nel caso di non osservanza delle modifiche rappresentate dal Co.Re.Co., lo stesso comitato nominava un commissario ad acta, per l’elaborazione del rendiconto.

Le novità più salienti potevano essere così riassunte:

  1. introduzione del controllo interno;
  2. conferma del controllo preventivo di legittimità riguardanti le seguenti deliberazioni; statuti, regolamenti di competenza consiliare, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni (solo sulle deliberazioni di variazione adottate dal Consiglio e su quelle di ratifica delle variazioni adottate dalla Giunta), rendiconto della gestione;
  3. conferma del controllo eventuale delle deliberazioni su istanza del previsto numero dei consiglieri o su iniziativa della Giunta;
  4. fissazione dei criteri per l'istituzione dei comitati regionali di controllo e la loro composizione;
  5. introduzione dei servizi di consulenza dei comitati di controllo;
  6. intervento del Prefetto per un controllo eventuale riguardanti deliberazioni in materia di acquisti, appalti, concessioni, subappalti, ecc., ove vi sia il sospetto di operazioni illecite o per infiltrazione mafiosa;
  7. comunicazione dell'Ente locale al Prefetto, contestualmente all'affissione all'albo pretorio, delle deliberazioni a contenuto contrattuale;
  8. conferma dei controlli sostitutivi, per omissione o ritardo di atti obbligatori, esercitati dal Difensore civico regionale, ove costituito, ovvero dal Comitato regionale di controllo;
  9. controllo sostitutivo sugli atti, esercitato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia.

Il particolare controllo di cui punto 7) aveva carattere repressivo se fosse intervenuto su un atto già efficace oppure sospensivo, nel caso di un atto non ancora esecutivo. In quest'ultimo caso, ossia richiesta di controllo da parte del Comitato di controllo o del Prefetto, la sospensione della efficacia dell'atto operava dall'affissione all'albo pretorio, ad eccezione di deliberazioni già soggette di per sé al controllo necessario, nel qual caso si seguiva il procedimento ordinario, ossia attendere l'esito del controllo.

Il procedimento di controllo era il seguente:

  1. le deliberazioni soggette al controllo preventivo di legittimità obbligatorio dovevano essere inviate al Comitato regionale di controllo entro il quinto giorno successivo all’adozione, a pena di decadenza ope legis;
  2. il Comitato regionale controllo doveva procedere al controllo entro 30 giorni dalla trasmissione (non ricezione) del provvedimento;
  3. entro 10 giorni dalla ricezione dell’atto deliberativo, il Comitato di controllo aveva facoltà di ascoltare i rappresentanti dell’Ente, oppure chiedere formalmente chiarimenti o elementi integrativi di giudizio. Detta opzione poteva essere esercitata solo una volta, allo scopo di non espandere il tempo necessario per esercitare il controllo. In detta ultima ipotesi, il termine per l’esercizio del controllo del Co.Re.Co. era sospeso e, contrariamente a quanto avveniva per l’interruzione, riprendeva a decorrere dalla data della trasmissione dei chiarimenti o degli elementi integrativi di giudizio o dalla data dell’audizione dei rappresentanti;
  4. se il controllo non avesse evidenziato vizi di legittimità, l’atto avrebbe acquistato esecutività: a) per decorrenza del termine di 30 giorni senza la necessità che il Co.Re.Co. adottasse un motivato provvedimento di annullamento; b) prima del decorso del termine dei 30 giorni, qualora il Comitato avesse comunicato di non aver riscontrato vizi di legittimità;
  5. riscontro di vizi di legittimità: in questo caso il Co.Re.Co. doveva adottare motivato provvedimento di annullamento entro il termine di 30 giorni, previsto dalla legge, indicando le norme violate su cui si fondava il provvedimento di annullamento, anche al fine di dare la possibilità all’Ente di proporre eventuale ricorso giurisdizionale.

Sia le delibere soggette al controllo necessario preventivo di legittimità sia quelle che la Giunta sottoponeva spontaneamente al controllo dovevano essere inviate (non ricezione) al Co.Re.Co. entro il quinto giorno successivo all’adozione, a pena di decadenza ex lege; per l’inoltro al controllo eventuale su richiesta dei consiglieri non era previsto alcun termine per l’invio al Comitato di controllo: vi era un rimando alla legislazione regionale a stabilire i termini.

Le deliberazioni diventavano esecutive: a) per decorrenza del termine dei 30 giorni (silenzio-approvazione) senza che il Co.Re.Co. o del difensore civico, nel caso trattasi di richieste di controllo provenienti dai consiglieri, avesse comunicato motivato provvedimento di annullamento dell’atto sottoposto al controllo; b) se, prima del decorso del predetto termine dei 30 giorni, il comitato regionale di controllo avesse comunicato di non aver riscontrato vizi di legittimità.

Per le deliberazioni soggette al controllo preventivo di legittimità eventuale, l’esecutività era sospesa e diventavano esecutive a seguito del previsto esito positivo di controllo da parte del Comitato regionale di controllo o del Difensore civico.

Le deliberazioni non soggette al controllo preventivo necessario o non sottoposte al controllo eventuale, diventavano esecutive dopo il decimo giorno successivo dalla loro pubblicazione all’albo pretorio dell’Ente.

Per le deliberazioni dichiarate immediatamente eseguibili era richiesta una situazione di urgenza da inserire nel provvedimento ed approvate con separata votazione e con il voto favorevole della maggioranza della metà più uno dei componenti il collegio. In questa ipotesi, se l’atto fosse stato sottoposto al controllo eventuale e qualora l’organo tutorio lo avrebbe annullato, il provvedimento era considerato come se non avesse mai prodotto conseguenze, fatti salvi quegli effetti prodottisi e ormai consolidati “medio tempore”. Si ritiene evidenziare che, per la maggioranza dei giuristi, la deliberazione dichiarata immediatamente eseguibile, poteva essere eseguita anche prima dei seguenti adempimenti: a) dell’annotazione nel verbale della deliberazione, con la sua sottoscrizione da parte del presidente dell’organo deliberante e del segretario; b) la pubblicazione all’albo pretorio; c) il decorso del tempo previsto per la pubblicazione.

Si ribadisce che il Comitato regionale di controllo non poteva riesaminare un provvedimento sottoposto al controllo nel caso di annullamento dello stesso in sede giurisdizionale avverso una decisione negativa di controllo.

Comunicazioni delle deliberazioni al Prefetto. L’articolo 135, tutt’ora in vigore, chiarisce che sussiste l’obbligo per gli enti locali di trasmettere al Prefetto le deliberazioni riguardanti in generale tutti i contratti, in conformità al parere del Consiglio di Stato n. 1539/97, il quale, per altro, con parere dell’8 giugno 2000 ha evidenziato che oltre alle deliberazioni, vi fossero incluse anche le determinazioni adottate nella predetta materia.

Potere di annullamento Governativo. Mantenimento. Il vigente articolo 138 del Testo Unico n. 267/2000 mantiene in vita l’istituto dell’annullamento straordinario di atti amministrativi affetti dai classici tre vizi di legittimità tipici, ossia: l’incompetenza relativa, l’eccesso di potere e la violazione di legge, di natura repressiva, strumentale a garantire sia il rispetto del principio di legalità che scongiurare il pericolo che possa essere pregiudicata in qualche modo l’unitarietà dell’azione amministrativa nel suo insieme.

Trattasi in sostanza, di rimedio atto ad evitare che il decentramento istituzionale possa portare gli Enti locali ad adottare atti contrari al carattere unitario dell’ordinamento giuridico italiano.

Per i giudici di Palazzo Spada, su richiesta di parere del Ministero dell’Interno (Consiglio di Stato, Sez. I, 7 aprile 2020), l’annullamento straordinario è necessario per realizzare una gestione unitaria di una crisi ed evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione di una emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali. L’istituto dell’annullamento straordinario, chiarisce il parere, è ancora in vigore pur dopo la riforma del titolo V della Costituzione introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto compatibile con le prerogative riconosciute agli enti locali dal nuovo Titolo V, se applicate nelle materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato. Per quanto riguarda la natura giuridica, tale potere viene ricondotto all’attività di “alta amministrazione” o di “indirizzo politico”. In realtà nello stesso potere convivono elementi propri dell’ordinario controllo di legittimità insieme ad elementi di straordinarietà della misura che si pone su un piano di alta amministrazione e richiede, per il suo esercizio, che gli elementi di illegittimità che viziano l’atto assumano una connotazione e una rilevanza tali da costituire una lesione concreta e attuale all’unitarietà dell’ordinamento giuridico nazionale (Corte cost., sentenza n. 229 del 1989). A livello sistematico l’istituto deve mantenere il carattere unitario dell’ordinamento della pubblica Amministrazione nonostante la molteplicità dell’articolazione di questo in una pluralità di organismi dotati di varia autonomia, e in ciò si collega alle norme sull’unità dell’indirizzo amministrativo nell’azione del Governo (articolo 95 Costituzione) e il ricorso straordinario al Capo dello Stato. Del resto, sempre secondo la risalente pronuncia della Corte Costituzionale n. 23/1959, a meno che urti con altri precetti, l’annullamento straordinario non può ledere le autonomie, se realizza il ripristino da parte dello Stato della legalità turbata da atti degli enti pubblici.

 

7. Riflessioni conclusive

Nella travagliata storia della legislazione sull’ordinamento degli enti locali, il Testo Unico, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, ha rappresentato un punto di arrivo di un percorso durato circa centoquarantanni, durante il quale si sono registrati cambiamenti, innovazioni ed aggiornamenti normativi che hanno spesso stravolto vari istituti, costringendo studiosi del settore, commentatori, esperti ed operatori del diritto a enormi sforzi per capirne contenuti e significati, per trovare metodi giusti per applicare e ristudiare le nuove norme.

L’evoluzione normativa ha poi favorito interpretazioni contrastanti fra loro e non costanti nel tempo, alimentando dubbi e difficoltà applicative per tutti coloro che a vario titolo sono quotidianamente impegnati nel difficile compito di applicazione delle norme che condizionano e incidono sui diritti ed interessi della comunità amministrata.

La storia, diceva Cicerone, è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell’antichità.

Conoscere la storia ripercorrendo i vari periodi storici dei controlli sugli atti amministrativi degli Enti locali, è stato non solo interessante dal punto di vista storico-scientifico, ma ci ha dato consapevolezza di chi siamo e ci ha indicato, grazie al confronto con l’esperienza del passato, la via da seguire nel definire il futuro.

Le leggi emanate fin dall’Unità d’Italia, l’istituzione della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, il regolamento del 1911, i testi unici del 1915 e 1934, passando poi alle leggi n. 530/1947, n. 62/1953 fino ad arrivare alla n. 142 dell’8 giugno 1990, tanto per citarne le principali che hanno arricchito ed innovato la materia, hanno segnato il tempo nel solco di uno sviluppo di una materia in continua evoluzione ma mai arrivata ad un sistema organico di leggi ben definito facile da consultare sia per gli studiosi che per gli operatori del diritto che quotidianamente sono deputati alla loro applicazione.

La presente dissertazione, necessariamente contenuta per lo spazio consentito, ma che avrebbe sicuramente meritato più ampia ed estesa trattazione, ha proposto una sintesi del percorso storico-evolutivo del sistema dei controlli sugli atti degli Enti locali, dall’Unità d’Italia fino alla riforma Costituzionale del 2001.

Lo scopo è quello di fornire sinteticamente e rapidamente un “colpo d’occhio” sul processo evolutivo dei controlli sugli atti degli Enti locali in Italia.

Ad oggi, ai classici controlli così come li abbiamo conosciuti a partire dall’Unità d’Italia per arrivare al Testo Unico n. 267/2000, si sono sostituiti forme diverse interne di controllo degli Enti locali previste dall’articolo 147, quali: a) parere di regolarità tecnica rilasciato dal responsabile del servizio ratione materiae in ordine alla legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa e della sua conformità alla vigente normativa comunitaria, nazionale, regionale, statutaria e regolamentare (articoli 49, comma 1, 147 bis del decreto legislativo n. 267/2000): b) parere e/o visto di regolarità contabile con attestazione della copertura finanziaria della spesa, rilasciato dal responsabile del servizio finanziario (articoli 49, comma 1, 153, comma 4, 147 bis del decreto legislativo n. 267/2000): c) parere di legittimità del segretario comunale, ove previsto in sede regolamentare; d) controllo di gestione; controllo strategico; e) controllo degli equilibri finanziari della gestione.

Detti controlli interni risultano rafforzati dall’articolo 3 del decreto-legge n. 174/2012 del 10 ottobre 2012, convertito in legge 7 dicembre 2012, n. 213, il quale ha riscritto il sistema dei controlli interni, tanto preventivi quanto successivi sugli atti degli enti locali, che in tal modo ne sono usciti potenziati.

  1. Raffaele Maria de Lipsis – Il controllo sugli atti degli enti locali ai sensi della legge n. 142/90
  2. L. Vandelli – Ordinamento delle autonomie locali – Rimini 1991
  3. L. Giovenco – A. Romano – L’Ordinamento Comunale – Giuffré Editore – 1994
  4. AA.VV. - Lo snellimento dell’attività amministrativa – Giuffré Editore - 1998
  5. AA.VV. – Commento al Testo Unico in materia di Ordinamento degli Enti Locali – Maggioli Editore – 2001
  6. P. Virga – Diritto Amministrativo, vol. III, Amministrazione locale – Guffré Editore – Milano - 1998
  7. C. Silvestro – Storia della Pubblica Amministrazione – Edizione Simone - 2004
  8. F. Balli – Co.Re.Co., da guardiano a consulente – Filodiritto – 23 Aprile 2006
  9. F. Balli – Quali controlli nel nuovo ordinamento costituzionale? – Filodiritto - 08 Luglio 2006