Omicidio Calabresi: il regolamento di conti tra Renato Curcio e Adriano Sofri
Omicidio Calabresi: il regolamento di conti tra Renato Curcio e Adriano Sofri
Sono trascorsi 50 anni, era il 17 maggio 1972, erano esattamente le 9 e 15 quando il commissario Luigi Calabresi venne colpito alla schiena e per buona misura il sicario esplose anche un colpo alla nuca.
Romano, 35 anni quando venne ucciso, Calabresi era il vice-direttore dell’Ufficio politico della Questura di Milano, dove prevalentemente si occupava dell’attività dei gruppi estremisti. Nella quiete di una giornata di maggio provo a raccontare una brutta storia che ancora oggi genera divisioni e dure polemiche.
La vicenda processuale di Adriano Sofri si è conclusa da anni e i tentativi di procedere alla revisione della sentenza di condanna sono tutti falliti.
Il processo nei confronti di Sofri, Bompressi e Pietrostefani ha avuto come protagonista Leonardo Marino che con le sue rivelazioni ha permesso di scoprire e giudicare i responsabili dell’assassinio del commissario Calabresi.
La rivisitazione della storia di Lotta Continua e degli avvenimenti intercorsi negli anni 1971-72 inizia dopo il luglio del 1988, quando Leonardo Marino, ex militante lottacontinuista (un uomo libero, incensurato, insospettato e insospettabile) si accusa dell’omicidio Calabresi ed indica come suoi complici Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Sergio Pietrostefani.
Il “mentitore” Marino subirà nel corso degli anni seguenti alla confessione un fuoco di sbarramento da parte della stampa amica degli accusati (Sabato, Manifesto, l’Unità e Repubblica), mi scuso se ho dimenticato qualcuno ma l’età avanza.
Nell’oblio dei ricordi ripeschiamo le conferme delle parole di Marino da parte di Renato Curcio, certamente non uno “sbirro infiltrato dai servizi deviati”.
In un libro-intervista dal titolo evocativo “A viso aperto”, scritto da Mario Scialoja, l’ex capo delle Br dichiara: “Capimmo subito che si trattava di un gesto compiuto da appartenenti a un’area della sinistra molto vicina alla nostra. Un atto giustizialista che raccoglieva tutte le tensioni espresse nelle manifestazioni di piazza e nelle campagne di stampa contro Calabresi <<assassino di Pinelli>>; <<Calabresi Boia>>, <<Calabresi fascista sei il primo della lista>> <<Calabresi sarai suicidato>>; in quei giorni erano stati decine di migliaia i giovani del movimento, di Lotta Continua, di Potere Operaio e di tutti i vari altri gruppuscoli extraparlamentari a sfilare per le strade di Milano chiedendo la testa del commissario. E tutti i fogli dell’estrema sinistra, Lotta Continua in testa, avevano pubblicato violenti attacchi contro Calabresi assunto a simbolo della violenza poliziesca…”.
Per Curcio e compagni sapere chi aveva organizzato l’assassinio del commissario “era molto importante per capire se si stava organizzando un’altra formazione armata parallela alla nostra, di cui non avevamo saputo niente. Una formazione, per di più, che aveva l’aria di concepire la lotta armata in modo radicalmente diverso da noi: partendo subito da un’operazione ad altissimo livello e senza rivendicarla. Gli accertamenti apparvero subito difficili. Cercammo di raccogliere informazioni negli ambienti di Lotta Continua, di Potere Operaio, dei gruppetti marxisti-leninisti e anarchici. Il tipo di atteggiamento di fronte al quale ci trovammo fu più o meno di questo tipo: E’ un’azione che viene dall’interno dei gruppi e del movimento”, ci venne detto: “Sappiamo di chi si tratta … Ma visto che non è stata rivendicata, è meglio lasciar perdere…”.
Prosegue Curcio: “Avevamo capito quello che più ci interessava: cioè che non si stava organizzando nessun gruppo stabile di lotta armata parallelo alle Brigate Rosse. L’uccisione di Calabresi era stata un gesto giustizialista occasionale, nato nel clima di mobilitazione generale di quel momento. D’altra parte bisogna ricordare che nel 1972 mezza sinistra extraparlamentare milanese aveva delle armi e si finanziava con le rapine. Non solo noi delle BR. I servizi d’ordine dei gruppi come Lotta Continua e Potere Operaio, per esempio, avevano dei militanti che si muovevano anche nella illegalità armata. La decisione di passare dalle rapine in banca alla esecuzione del boia Calabresi poteva essere stata presa da una qualsiasi di quelle frange estreme”.
Quindi per Curcio gli organizzatori dell’assassinio Calabresi appartenevano ad un ben identificata “frangia estrema”. D’altronde, prosegue Curcio, “quei gruppi come Potere Operaio e Lotta Continua avevano i loro “bracci armati” separati dalle organizzazioni politiche”.
Le affermazioni di Curcio in riguardo all’occulto (ma non troppo) braccio armato di Lotta Continua non si fermano qui.
A proposito degli eventuali contatti tra le Br e i “servizi d’ordine” dei gruppi extraparlamentari, Curcio racconta: “proprio sulla questione del servizio d’ordine, con Lotta Continua ci fu una specie di incontro-scontro. Nel 1971, quando avevamo da poco cominciato le nostre azioni contro i capetti della Pirelli e della Sit-Siemens, molti compagni di Lotta Continua – che allora era il gruppo più attivo nelle fabbriche di Milano – si avvicinarono a noi e qualcuno entrò nella nostra organizzazione. Un travaso che impensierì parecchio i dirigenti della formazione extraparlamentare. Tanto che, a un certo punto, da parte loro ci arrivò la richiesta di un colloquio per discutere lo sviluppo dei nostri rapporti. Mi incontrai con due loro dirigenti Giorgio Pietrostefani, responsabile del servizio d’ordine, e Ettore Camuffo, un compagno di Trento che avevo conosciuto all’epoca dell’Università. Volevano sondare le possibilità di un’eventuale ipotesi di fusione”.
Continua Curcio: “O meglio, la nostra disponibilità a confluire nel loro gruppo. Lotta Continua è un’organizzazione politica forte a livello nazionale, mi dissero in sostanza, mentre le Br sono un gruppetto senza grandi possibilità di sviluppo. Venite con noi e fate quello che sapere fare meglio: organizzate il nostro servizio d’ordine”. Si trattava in pratica della proposta di diventare il loro braccio armato”.
All’epoca dell’uscita del libro venne chiesto ad Adriano Sofri di commentare le dichiarazioni di Curcio, l’ex leader di Lotta Continua scelse la strada del silenzio e si limito a dire: “Non ho intenzione di discutere le cose che dice” (La Repubblica del 5 aprile 1993).
Sono trascorsi circa trent’anni dalle dichiarazioni di Curcio che smentiscono clamorosamente le dichiarazioni di Sofri davanti alla Corte d’Assise del 19 gennaio 1990 quando disse: “La cosa per cui è stata nota Lotta Continua era esattamente l’indisponibilità al ricorso alla nomenklatura, alle gerarchie. Una indisponibilità che chiamerei somatica prima che politica”.
Lotta Continua sarà stato pure un “movimento magmatico” ma le parole di Curcio raccontano un’altra storia e avrebbero meritato una risposta articolata invece che un no comment.