Omicidio del ladro: esclusa la legittima difesa del derubato che agisce per difendere il patrimonio
Omicidio del ladro: esclusa la legittima difesa del derubato che agisce per difendere il patrimonio
Omicidio del ladro e legittima difesa: la Cassazione, Sez. Prima Penale, con la sentenza n. 23977 del 2022 conferma la condanna a nove anni per omicidio a carico di un meccanico campano che, nel 2016, dopo un blitz notturno nella sua casa, sparò a uno dei ladri che stava fuggendo con la sua auto.
Omicidio del ladro e legittima difesa: l’iter processuale e la vicenda
L'imputato veniva dichiarato colpevole del delitto lui ascritto in quanto, per impedire il furto della propria autovettura Audi A6, sparava più colpi di pistola cal. 7,65 parabellum, in direzione della stessa, mentre quest'ultima si stava allontanando dal cortile della sua abitazione, condotta dal ladro, colpendolo e cagionandogli lesioni che ne determinavano il decesso.
In particolare, l'imputato, dopo essere uscito dalla propria abitazione, raggiungeva la predetta auto mentre questa si trovava già fuori dal cortile e ponendosi davanti al veicolo, esplodeva contro il conducente un colpo a distanza ravvicinata, ossia circa a due metri dal parabrezza. Il proiettile sparato attingeva la vittima alla base del collo, perforando l'arteria succlavia destra e la scapola destra, nonché lacerando i vasi intracorporei e l'arteria scapolare dorsale destra, così determinando un'emorragia che causava il decesso di quest'ultimo.
Da questa prima ricostruzione, emerge già con lapalissiana evidenza la sproporzione dell’azione perpetrata dall’imputato che, trova -altresì- giustificazione in una serie di dichiarazioni discordanti tra esse, adducendo prima come scusante di essersi impanicato, atteso che aveva percepito che l’uomo potesse essere potenzialmente in possesso di un’arma, con la quale avrebbe potuto minare l’incolumità sua e della propria famiglia e vieppiù, in ultimo, perpetrando un maldestro tentativo di approcciare ad una strategia difensiva realizzando, di fatto, un inquinamento probatorio.
In effetti, l’imputato in un primo momento dichiarava alla P.G. di aver visto che il ladro fosse disarmato e che, dopo i primi colpi, fosse repentinamente sceso dall’auto e si fosse dato alla fuga.
Tuttavia, in un secondo momento, aveva detto di aver sparato perché impaurito dalla presenza dello straniero nella sua proprietà, di aver percepito che fosse in possesso di un’arma e che, avesse sparato alla cieca e non, come emergeva dalle CTU e dagli esami balistici ad altezza uomo, con la precisa volontà di colpire il soggetto.
Circostanza, questa, presto smentita dalla videosorveglianza posta dinanzi alla sua abitazione che vedeva l’uomo intento ad occultare i bossoli dei proiettili, sparati in strada, consegnati agli investigatori adducendo di aver sfatto fuoco dal balcone della sua abitazione.
Dunque, un chiaro tentativo di depistaggio che suffraga l’ipotesi dei Giudici della Suprema Corte dell’inattendibilità delle sue dichiarazioni.
Orbene, tali risultanze sarebbero da sole necessarie e sufficienti a giustificare la condanna per omicidio comminata al meccanico ed a respingere le eccezioni della difesa in ordine alla riconoscibilità dell’esimente della legittima difesa.
Omicidio del ladro e legittima difesa: la legge n. 36 del 2019 e la giurisprudenza di legittimità
Per i giudici di legittimità il caso fornisce l’occasione per sgombrare il campo dall’equivoco che il legislatore con la legge 36 del 2019 e, in particolare con il nuovo articolo 52 del Codice penale, abbia inteso introdurre una necessità presunta della legittima difesa nei furti nell’abitazione o nei luoghi assimilati.
Nessuna legge consente, infatti, l’applicazione della scriminante in assenza dei requisiti dell’attualità del pericolo, dell’inevitabilità della reazione e della sua proporzionalità.
Vieppiù, nel caso de quo, da cui emerge con lapalissiana evidenza la volontà omicidiaria dell’autore che, si ribadisce, agiva in maniera totalmente sproporzionata ed ingiustificata al solo fine di poter recuperare la propria auto.
In primo luogo, pur dovendosi ammettere che l'imputato abbia subito una violazione di domicilio, la sua reazione armata si sarebbe consumata all'esterno dei luoghi presi in considerazioni dai commi 2 e 3 dell'art. 52 cod. pen. e al solo scopo di mettere in fuga gli intrusi o di interrompere l'azione predatoria: l'ambito domiciliare costituisce il presupposto ineludibile, per espressa previsione normativa e pacifica interpretazione giurisprudenziale, per l'applicazione della nuova scriminante.
Ciononostante, il colpo mortale fu esploso nei confronti di un ladro in fuga, cioè in una situazione in cui l'azione criminosa era del tutto esaurita e non vi era neppure un pericolo concreto di aggressione alla persona.
Ben avrebbero potuto essere poste in essere adottate alternative meno lesive ma parimenti efficaci.
La Cassazione riteneva di dover escludere la legittima difesa anche nella forma putativa di cui all'art. 59, comma 4 cod. pen.
La scriminante putativa può trovare applicazione solo qualora l'erronea opinione circa la necessità di difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a creare un pericolo attuale, ma tali da giustificare nell'animo dell'agente, la ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo.
Nel caso di specie, l’imputato sarebbe stato ben consapevole di agire al di fuori di un ambito domiciliare, bensì per strada, al di là del cancello di ingresso posto a protezione della proprietà privata.
Pertanto, neppure potrebbe discutersi di legittima difesa c.d. “domiciliare” atteso che, come da disposizioni di legge n. 36 2019, la legittima difesa sussiste sempre allorquando si sostanzi in una violazione di domicilio ai sensi dell’art. 614 comma quarto del cod. pen. e l’aggredito, ivi legittimamente presente, usi un’arma parimenti legittimamente detenuta per salvaguardare la propria od altrui incolumità da un pericolo esterno e sopravvenuto ma assolutamente concreto ed attuale (Cass. Pen. Sez. I nn. 13191/2020; 21794/2020).
L'imputato non potrebbe invocare a propria discolpa un'erronea percezione della realtà, posto che chiunque sarebbe stato in grado di apprezzare le caratteristiche dei luoghi in cui si svolgeva l'azione difensiva e rendersi conto che il ladro si trovava ormai in fuga.
Per i giudici di legittimità, si tratta dell’unica interpretazione in linea con la Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.
Una diversa lettura sarebbe in contrasto con l’articolo 117 della Carta, comma 2 lettera h, che riconosce la legittima difesa come facoltà eccezionale e che garantisce i diritti fondamentali di tutte le persone, compresa la vita e l’integrità fisica degli autori di furti
Pertanto, neppure si può ritenere un tale atteggiamento conforme all’ id quod plerumque accidit.
Parimenti non configurabile sarebbe l'eccesso colposo, poiché – come affermato costantemente dalla giurisprudenza - laddove non sia giuridicamente prospettabile la legittima difesa, non sarebbe concettualmente ipotizzabile l'eccesso colposo di cui all'art. 55 cod. pen., posto che quest'ultimo presuppone la sussistenza dei presupposti della scriminante e il conseguente superamento dei limiti ad essa immanenti.
Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che anche la nuova causa di non punibilità presuppone la sussistenza, effettiva o putativa della scriminante.
Pertanto, l'esclusione di un qualificato profilo di necessità dell'azione precluderebbe ogni valutazione in termini di eccesso.
Sul punto basti richiamare l'orientamento secondo cui, in tema di cause di giustificazione, la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non accompagnata dall'allegazione di precisi elementi idonei ad orientare l'accertamento del giudice, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen. risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo (Cass. Sez.V , n. 22040 del 21/2/2020).
Orbene, lo stato di grave turbamento, che funge da presupposto, in alternativa alla minorata difesa, per l'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 55, comma secondo, cod. pen, come introdotto dalla legge 26 aprile 2019, n. 36, richiede che esso sia prodotto dalla situazione di pericolo in atto, rendendo, di conseguenza, irrilevanti stati d'animo che abbiano cause preesistenti o diverse e necessario, invece, da parte del giudice, un esame di tutti gli elementi della situazione di specie, per accertare se la concretezza e gravità del pericolo in atto possa avere ingenerato un turbamento così grave da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull'eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa (Cass. Sez. IV, n. 34345 del 10/11/2020).
La causa di non punibilità prevista dall'art. 55, comma secondo, cod. pen, come introdotto dalla legge n. 36 del 2019, per chi abbia agito in condizioni di minorata difesa o in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto, è configurabile quando l'azione difensiva illecita, ascrivibile a titolo di eccesso colposo, sia determinata dall'intento di salvaguardare la propria o altrui incolumità o, nel caso di cui all'art. 52, comma secondo, lett. b), cod. pen., sia comunque ipotizzabile il pericolo di aggressione personale (Cass. Sez. III, n. 49883 del 10/10/2019).