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Le sassaiole delle monache nella Napoli del XVII secolo

particolare con il convento benedettino di San Potito
particolare con il convento benedettino di San Potito

Le sassaiole delle monache nella Napoli del XVII secolo


La notte tra sabato 19 e domenica 20 ottobre dell’anno 1693, i residenti della zona cosiddetta della Conigliera nella città di Napoli vennero risvegliati dal rumore e dai danni provocati dalla caduta di diversi massi provenienti dalla sovrastante collina. Quello che poteva sembrare un fenomeno pernicioso ma naturale, si rivelò subito essere invece la reazione esasperata delle monache benedettine del monastero di San Potito ai continui lavori di elevazione ed espansione del palazzo dei Muscettola, principi di Leporano.

particolare con il convento benedettino di San Potito
Alessandro Baratta, Fidellissimae Urbis Neapolitanae…, 1670, particolare con il convento benedettino di San Potito e con la cosiddetta “Conigliera” e confronto con palazzo dei principi di Leporano

Come mostra la pianta della città di Napoli di Alessandro Baratta, infatti, il palazzo detto “la Conigliera” sorgeva proprio nel cavone ai piedi della collina della Costigliola e addossato a un costone tufaceo che cingeva i terreni di proprietà delle monache. Edificato nel XV secolo all’esterno delle mura cittadine, in origine veniva utilizzato da Alfonso d’Aragona come casino di caccia, dove allevava conigli. La fabbrica quattrocentesca a soli due livelli, con la facciata di impianto toscano, i capitelli scanalati, le trabeazioni alle finestre e gli archi a tutto sesto su pilastri, era continuamente oggetto di lavori di espansione da parte dei proprietari che vi succedevano.

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Albero genealogico della famiglia Muscettola

Grazie ai documenti dell’archivio privato della famiglia, conservati nell’Archivio di Stato di Napoli, è possibile ricostruire i tentativi di espansione della fabbrica, a volte temporaneamente bloccati dalle tenaci monache di clausura, le quali, proprio nel secondo decennio del Seicento, erano state costrette a lasciare la loro originaria sede all’Anticaglia, all’interno delle mura cittadine, e a far edificare un nuovo monastero sulla collina della Costigliola.

Il rapporto di vicinato tra la nobile famiglia del seggio di Montagna e le benedettine risultò da subito difficile. Nel 1639, il principe di Leporano si rivolse al Tribunale della Sommaria per ottenere l’autorizzazione a elevare il proprio palazzo, nonostante i divieti imposti dalle prammatiche sanzioni. Da alcune relazioni, sappiamo che Sergio Muscettola riuscì a realizzare solo in parte il suo progetto a causa dell’opposizione delle monache.

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Relazione sui lavori da realizzare a palazzo Muscettola di Leporano

Nel 1646, anche il figlio Francesco tornò sul progetto paterno, chiedendo il permesso di completare la realizzazione dell’appartamento al secondo piano e di edificare una loggia scoperta. Ancora nel 1693, Nicolò Sergio, col pretesto di dover riparare la copertura fatta realizzare dal padre nel quinto decennio, tentò un’ulteriore espansione. A questo punto, le monache, evidentemente preoccupate dall’ascesa verso l’alto della fabbrica, presentarono istanza al Sacro Regio Consiglio per fermare i lavori. Non ottenendo il risultato atteso, nottetempo “dalla sommità del muro della clausura buttarono alla pubblica vista dell’abitatori di detto quartiere una gran quantità di pietre, con la quale devastarono buona parte del tetto, che s’era fatto prima dell’inibizione del loro delegato; e poi il dì [manca data] continuarono a scagliare tanta quantità di pietre, che non solo fracassarono quasi tutto il resto di detto tetto, ma caddero anche nelle case attaccate al suddetto palazzo”.

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Il palazzo Muscettola di Leporano oggi

La reazione che, oggi giudicheremmo spropositata, venne giustificata dalle monache come salvaguardia della loro clausura. Il timore dichiarato dalle monache, infatti, era quello che qualcuno potesse utilizzare l’altezza del palazzo per introdursi all’interno del monastero o di spiare la vita ritirata all’interno delle mura impenetrabili del convento di clausura. La lettura più autentica è che le monache, non solo quelle di San Potito, erano attente amministratrici di beni e proprietà. Tutte erano di origini nobiliari ed erano costrette dalla famiglia alla scelta conventuale perché non aveva la possibilità di dotare tutte le figlie femmine in maniera congrua per un matrimonio di pari lignaggio. Esse conducevano una vita di fasti: uscivano dalle mura del convento, ricevevano ospiti, svolgevano attività commerciali. Insomma, autogestivano la propria vita e le sostanze economiche del convento.

Per saperne di più:

Documenti

  • ASNa, Archivio privato Giudice Caracciolo, b. 202

Libri

  • Le monache ribelli, raccontate da suor Fulvia Caracciolo, (a cura di Candida Carrino), Napoli, 2013
  • Giuseppe Fiengo, Luigi Guerriero, La residenza aragonese della Conigliera in Napoli, in «Napoli nobilissima», VI s., LXVII, fascc. III-VI, 2010, pp. 81-102
  • Italo Ferraro, Napoli. Atlante della città storica. dallo Spirito Santo a Materdei, Napoli 2006, pp. 128-129; 142150
  • Giuliana Boccadamo, Donne e clausura in età moderna. Strategie familiari ed economia in alcune pubblicazioni recenti, in «Sapienza. Rivista di filosofia e teologia», Napoli, 1994, vol. 47, pp. 211-226
  • Carla Russo, I monasteri femminili di clausura a Napoli nel secolo XVII, Napoli, 1970