L’Ordine dell’ Aquila Estense

Croce da cavaliere con trofeo d’armi, destinata ai sudditi militari (Archivio fotografico del Museo Civico di Modena/Raccolte del Museo civico del Risorgimento, immagine tratta da Wikipedia).
Croce da cavaliere con trofeo d’armi, destinata ai sudditi militari (Archivio fotografico del Museo Civico di Modena/Raccolte del Museo civico del Risorgimento, immagine tratta da Wikipedia).

L’Ordine dell’ Aquila Estense

 

Alla Restaurazione il Ducato di Modena si presentava come l’unico Stato italiano privo di un proprio Ordine cavalleresco. L’Ordine della Trivella d’oro, istituito da Francesco I il 30 aprile 1658, infatti, funzionò come un Consiglio di Stato per appena poco più di un anno, sopravvivendo solo alcuni mesi al suo fondatore. I successivi tentativi di crearne uno, posti in essere verso la fine del Seicento, non ebbero esito. Nel Settecento si pensò ad altro e neppure Francesco IV istituì alcun Ordine.

Fu suo figlio Francesco V a fondarne uno. Scrisse in proposito Teodoro Bayard de Volo: «Mai fuvvi cotanta abbondanza di Ordini Militari e Civili quanta nell’epoca nostra in cui dessi hanno perduto il significato, e sono venuti meno allo scopo onde furono nell’antichità istituiti. [Il riferimento è agli Ordini medievali militari e religiosi, ndr] Né mai fu più agognato il titolo di Cavaliere, se non quando la fiumana democratica aveva dilavate o coperte di melma le preesistenti distinzioni nobiliari. Forse per questo riflesso il Duca Francesco IV, al cui animo essenzialmente positivo consimili contraddizioni non erano sfuggite, si astenne dal secondarle coll’imitare l’esempio della maggior parte dei Sovrani del suo tempo, che non solo riattivarono gli ordini antichi illanguidendone gli statuti, ma ne fondarono di nuovi accomodati alle moderne ambizioni; e così ridussero e gli uni e gli altri a ciò che effettivamente ed appropriatamente prese il nome di decorazioni. Consimile astenimento del Duca Francesco IV non poté essere seguito dal figlio e successore di lui Francesco V, il quale nella maggiore necessità di pur tener conto anche di questo mezzo, con cui appagare le aspirazioni dell’epoca sua in oggetto scevro da riprovevoli tendenze, accondiscese ad approfittarne colla Istituzione di apposito Ordine (...)».

Ruolo dei Cavalieri Commendatori di numero (Archivio di Stato di Modena, Archivio Austro Estense, R. Ordine dell’Aquila Estense, b. 4, fasc. 14 / 3).
Ruolo dei Cavalieri Commendatori di numero (Archivio di Stato di Modena, Archivio Austro Estense, R. Ordine dell’Aquila Estense, b. 4, fasc. 14 / 3).

Il 1 marzo 1851 il conte Giovanni Galvani trasmetteva le prime bozze delle norme relative al nuovo Ordine, che si sarebbe chiamato dell’Aquila Guelfa posto sotto l’invocazione di san Contardo d’Este, membro della Casata. Veniva destinato a militari, civili ed ecclesiastici, sudditi o esteri, che si fossero resi particolarmente benemeriti nel «difendere apertamente la santa causa dell’Altare e del Trono», concetto espresso tre volte solo nelle prime righe e successivamente richiamato nell’articolo dedicato ai doveri dell’insignito. Si prevedevano tre classi: cavalieri di gran croce, commendatori e cavalieri, senza limite al numero di essi. L’insegna ideata consisteva in una croce biforcata azzurra listata di bianco, pomellata (cioè terminante con piccoli globi) in smalto bianco; i bracci sarebbero stati uniti da lettere formanti il nome Este. Al centro della croce era uno scudetto tondo recante al recto l’aquila bianca con uno scudo raffigurante San Contardo, al verso il simbolo ufficioso dei legittimisti, rappresentato da uno scoglio percosso dal mare in tempesta con il motto «non commovebitur». Era vietato impreziosire le decorazioni con gemme o altre modifiche (prassi molto in voga all’epoca) e le stesse decorazioni si sarebbero dovute restituite al duca alla morte dell’insignito.

Un successivo progetto, molto più articolato, vedeva già una prima modifica nel nome, che diveniva Reale Ordine Estense dell’Aquila Bianca, mantenendo l’invocazione a San Contardo. Tra i requisiti per l’ottenimento, oltre ai servizi resi alla causa dell’altare e del trono, trovavano posto anche le benemerenze verso lo Stato, sempre richiamate tra i doveri. Per gli insigniti esteri sarebbe stato necessario un beneplacito rilasciato dalle loro autorità statali. Pur restando ferma l’articolazione in tre classi, si suddividevano le stesse tra decorati al merito militare e civile e si ponevano limiti numerici agli insigniti, fissando il totale dei cavalieri di gran croce in venti, dei commendatori in quaranta e dei cavalieri in duecento. Sarebbero rimasti esclusi da tale computo sovrani e principi di Case reali, oltre che i cosiddetti cavalieri «fuor di numero». L’essere insigniti di numero avrebbe comportato la nobiltà ereditaria per i cavalieri di gran croce, personale per commendatori e cavalieri (sarebbe potuta diventare ereditaria qualora rispettivamente due o tre generazioni successive in linea retta avessero meritato l’Ordine). La foggia della decorazione mutava con l’inversione dei colori (la croce diventava bianca listata d’azzurro) e negli scudetti, dedicati ora all’aquila estense in campo azzurro con il motto «proxima soli» e a san Contardo, la cui effige sarebbe stata in oro su campo bianco con la legenda «S. Contardus Atestinus». Alla croce si sarebbe sovrapposto un trofeo d’armi in oro per i militari, una ghirlanda di quercia smaltata in verde per i civili e una corona arciducale per i fuor di numero. Ribaditi il divieto di modifiche e l’obbligo di restituzione alla morte, si introducevano alcune novità. La parrocchia di Corte sarebbe divenuta chiesa dell’Ordine. In occasione delle funzioni religiose si sarebbe dovuto indossare sull’uniforme (civile, militare o nobiliare) propria dell’insignito un mantello in lana bianca foderato di celeste con l’insegna dell’Ordine - di dimensioni variabili a seconda della classe - ricamata sulla spalla sinistra. Si sarebbe inoltre istituita una medaglia di benemerenza, intitolata Reale Medaglia Estense del Merito. Suddivisa in due classi, argento e bronzo, avrebbe dovuto presentare al dritto l’aquila estense e al rovescio contenere la dedicazione «benemerenti». Nel silenzio dei documenti, se ne può ipotizzare una duplice destinazione: ricompensa a coloro che non fossero stati ammessi nell’Ordine (potendo vantare meriti di minore importanza) o decorazione slegata dall’Ordine, destinata a ricompensa generici meriti dei civili (all’epoca non era ancora stata istituita la medaglia al merito civile).

Ci si avviava ormai alla stesura definitiva e nel 1854 si stabilì che il nome sarebbe stato Reale Ordine dell’Aquila Estense, in quanto non si voleva ingenerare confusione con l’Ordine russo dell’Aquila Bianca.

Il motuproprio istitutivo venne finalmente licenziato il 27 dicembre 1855, il giorno seguente fu la volta dello statuto e il 29 del regolamento. In primo luogo si può notare l’attenuazione della polemica legata al momento politico contingente e la destinazione dell’Ordine a quanti avessero ben meritato solo verso il duca, principalmente con servizi resi alla sua persona o alla Casa d’Este, oppure verso lo Stato. Il sovrano restava l’unico «estimatore dei meriti» dei candidati e a lui spettava la decisione sull’ammissione, concetto ribadito in ben due articoli dello statuto. Ai decorati era fatto obbligo di condotta ispirata ai principi di moralità e onore, di fedeltà al legittimo sovrano e di promozione di questi valori. Ai sudditi era richiesto anche il «palese ossequio» a Dio e alla Chiesa cattolica. Un comportamento indegno, valutabile come tale a discrezione del sovrano, avrebbe causato l’esclusione dell’insignito. L’Ordine veniva suddiviso nelle tre classi già viste, con ulteriori distinzioni interne tra militari e civili, cui potevano essere aggiunti dei fuor di numero esteri. Si ribadì il numero chiuso, fissato per i sudditi in dieci cavalieri di gran croce, venti commendatori, sessanta cavalieri, cui andavano sommati altrettanti insigniti esteri. L’Ordine restava nobilitante, per i cavalieri di numero, ad personam. Conferiva nobiltà ereditaria nei casi già esposti nel progetto precedentemente illustrato, ma perdendo l’automatismo: il verificarsi delle condizioni poste non era più sufficiente per la trasmissione dello status, occorrendo anche un esplicito provvedimento del duca. Restavano pressoché immutate le decorazioni: croce biforcata in smalto bianco listata d’azzurro oltremare e pomellata d’oro, avente nel centro uno scudetto circolare, al dritto azzurro con l’aquila d’Este in argento circondata da una striscia bianca in cui era la legenda «proxima soli mdccclv», al rovescio bianco listato d’azzurro con l’effige in oro di San Contardo a figura intera e la legenda «S. Contardus Atestinus». Fra i bracci della croce erano degli ornamenti in oro tra i quali erano poste le quattro lettere E S T E in smalto bianco, visibili solo al dritto. Il nastro era bianco listato d’azzurro. Le decorazioni di tutte le classi erano sormontate da un trofeo d’armi in oro per i sudditi militari, da una ghirlanda di quercia smaltata in verde per i sudditi civili, da una corona reale in oro per gli esteri e vennero realizzate dalla ditta Halley di Parigi, che provvide anche a fornire nastri, astucci e miniature delle insegne. All’atto della nomina si ricevevano insegne e diploma. Cadeva la progettata medaglia al merito, al pari dell’idea di istituire un mantello per le funzioni religiose. Si ribadiva il divieto di impreziosire le decorazioni, essendo un privilegio riservato al sovrano, e si sanciva l’obbligo degli eredi di restituirle alla morte dell’insignito. Chiesa dell’Ordine restava la parrocchia di Corte (San Domenico), presso la quale si sarebbero svolte ogni anno almeno due funzioni: una il 16 aprile, giorno dedicato a san Contardo, l’altra - in data variabile - in suffragio dei cavalieri defunti. La carica di gran cancelliere dell’Ordine veniva attribuita come compito ordinario al ministro degli Esteri, cui spettava dirigere un ufficio composto da un cancelliere incaricato degli archivi, un segretario e uno scrivano, individuati tra il personale del medesimo dicastero. A carico dell’insignito erano previste due tasse, di ammissione (destinata a coprire le spese dell’Ordine) e di spedizione (destinata a costituire un fondo «per le gratificazioni che si vogliono accordare agl’Impiegati subalterni addetti alla Cancelleria»), il cui importo variava a seconda della classe. In linea di massima, potendo il sovrano accordare esenzioni, esse erano entrambe a carico degli insigniti esteri, mentre per i sudditi si limitavano solo a quelle di spedizione.

Litografia riproducente le decorazioni relative ai vari gradi (Archivio di Stato di Modena, Archivio Austro Estense, R. Ordine dell’Aquila Estense, b. 4, fasc. 13).
Litografia riproducente le decorazioni relative ai vari gradi (Archivio di Stato di Modena, Archivio Austro Estense, R. Ordine dell’Aquila Estense, b. 4, fasc. 13).

Commenta sempre il Bayard de Volo: «Nei primi tre anni della sua esistenza ossia al principio del 1858 l’Ordine dell’Aquila d’Este, oltre ai primi e più meritevoli funzionari dello Stato, contava distintissimi Personaggi (...). Negli anni successivi al 1858 il Duca Francesco V fece altre nomine in ciascheduna Classe del suo Ordine, e promosse a Classi superiori alcuni Cavalieri già nominati in antecedenza. Egli esercitava così un diritto che nessuno poteva contendergli; e di fatti le Corti non soggette all’alito rivoluzionario non misero ostacolo a riconoscere gli insigniti e ad autorizzarli a fregiarsi dei distintivi loro accordati».

Con la morte del duca cessò ogni conferimento. Ciò è stato interpretato da alcuni come prova e conseguenza del fatto che l’Ordine fosse per sua natura statale e quindi conferibile solo da chi avesse ed esercitasse la sovranità sul Ducato di Modena (se avesse natura dinastica, sarebbe ancor oggi conferibile dal Capo del ramo Austro-Estense). Questa tesi non appare condivisibile per più motivi. Innanzitutto in quanto la cessazione dei conferimenti potrebbe trovare interpretazione differente alla luce del contesto storico. Francesco V morì nel 1875 senza eredi diretti e il passaggio dei diritti dinastici a membri della famiglia asburgica, privi dello stretto vincolo di sangue e del diretto coinvolgimento emotivo propri della filiazione, indubbiamente, poté contribuire all’accantonamento di un Ordine legato a una terra lontana, la cui continuazione non sembrava consigliabile neppure da ragioni politiche e diplomatiche, potendo anche significare una più o meno implicita rivendicazione di sovranità. Secondariamente, facendo nostro il ragionamento dello studioso Conforti su altro Ordine, perché la rigida distinzione fra Ordini di Stato e Ordini dinastici non è applicabile a un contesto, come quello modenese, nel quale Stato e dinastia erano legati da interdipendenza, compendiandosi nella figura del sovrano, che governava effettivamente in maniera paternalistica.

Lo scopo dell’Ordine dell’Aquila Estense, non dichiarato ma facilmente intuibile, era l’ampliamento del consenso sociale, il rafforzamento dei legami esistenti tra la dinastia da un lato e i militari, i funzionari e i sudditi in genere dall’altro. In questo senso si può ben cogliere l’importanza della nobilitazione dell’insignito, inquadrata in un contesto reazionario che fondava l’assetto sociale sul blasone. Del resto Ordini variamente nobilitanti erano presenti in molti altri Stati reazionari: in Austria con l’Ordine di Leopoldo, nel Granducato di Toscana con l’Ordine del Merito Civile e Militare sotto il titolo di San Giuseppe, nel Ducato di Parma con l’Ordine di San Lodovico, nello Stato Pontificio con l’Ordine Piano. Si ricordi, infine, che era stato nobilitante perfino l’Ordine della Corona di Ferro dell’Impero napoleonico. Conformemente al diverso orientamento politico, nel liberale Regno di Sardegna si fece il percorso opposto con l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, originariamente suddiviso in classi di giustizia (riservate agli aristocratici) e di grazia, che conferivano la nobiltà personale, ed ereditaria a determinate condizioni, all’insignito che ne fosse privo. Con le riforme poste in essere tra il 1849 e il 1851 furono soppresse le classi di giustizia, la nobilitazione e la professione religiosa.

Ulteriore ruolo dell’Ordine era una funzione che potremmo definire diplomatica. Scorrendo gli Almanacchi ducali si può notare come molte personalità di primo piano dell’amministrazione fossero insignite con decorazioni estere concesse da Stati alleati o comunque politicamente affini: era dunque questione di prestigio che anche il Duca di Modena avesse il suo Ordine da conferire in occasione di visite di ufficiali, firme di trattati o altre cerimonie pubbliche. Era quindi uno strumento del potere. Esaminando la storia personale dei suoi membri si ha l’impressione di trovarsi di fronte a una sorta di Gotha della reazione, con personalità di proscenio e oscuri funzionari, la quasi totalità dei quali è accomunata dal contegno di fiero rifiuto al nuovo ordine politico che si venne a creare in Europa. In quest’ottica si può affermare che, se non riuscì a salvare la corona ducale, l’Ordine dell’Aquila Estense ebbe successo nel suo fine di formare e compattare un’élite attorno al suo fondatore e ai suoi ideali.

Fonti e Bibliografia citata nel testo:

 

Archivio di Stato di Modena, Archivio Austro-Estense, R. Ordine dell’Aquila Estense;

Archivio di Stato di Modena, Archivio Austro-Estense, Ministero degli affari esteri, Atti riservati.

T. Bayard de Volo, Vita di Francesco V Duca di Modena (1819-1875), IV, Modena, Tipografia dell’Immacolata Concezione, 1885; ed. anast. Modena, Aedes Muratoriana, 1983 [Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, Biblioteca, Nuova serie, 75], pp. 549-551;

P. R. Conforti, Il patrimonio araldico della Real Casa Borbone Parma. L’Ordine di San Lodovico, Parma, Silva, 1998, pp 209-212.