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Lettera alla madre dal carcere di Pianosa

Il giuramento di Pertini, 9 luglio 1978
Il giuramento di Pertini, 9 luglio 1978

Il 25 settembre 1890 a Stella (Sv) nasceva Sandro Pertini.

Il Presidente che non sarà mai dimenticato per l’umanità il cipiglio e la sua schiettezza. Vi propongo la lettera che scrisse da Pianosa il 23 febbraio 1933 alla madre dopo aver saputo che era stata presentata domanda di grazia.

Una lettera intrisa di valori. Forse il punto più alto mai raggiunto dalla libertà di pensiero in quel periodo storico.

Un uomo liberorecluso per quasi quattro anni nel carcere dell’isola di Pianosa dal 13 novembre 1931 al 6 settembre 1935, colpevole di essere antifascista.

Lettera alla madre: il presidente Sandro Pertini scrive alla madre dal carcere di Pianosa.

 

“Mamma, con quale animo hai potuto fare questo? Non ho più pace da quando mi hanno comunicato, che tu hai presentato domanda di grazia per me. Se tu potessi immaginare tutto il male che mi hai fatto ti pentiresti amaramente di aver scritto una simile domanda.

Debbo frenare lo sdegno del mio animo, perché sei mia madre e questo non debba mai dimenticarlo. Dimmi mamma, perché hai voluto offendere la mia fede? Lo sai bene, che è tutto per me, questa mia fede, che ho sempre amato tanto. Tutto me stesso ho offerto ad essa e per essa con anima lieto ho accettato la condanna e serenamente ho sempre sopportato la prigione. È l’unica cosa di veramente grande e puro, che io porti in me e tu, proprio tu, hai voluto offenderla così? Perché mamma, perché? Qui nella mia cella di nascosto, ho pianto lacrime di amarezza e di vergogna – quale smarrimento ti ha sorpreso, perché tu abbia potuto compiere un simile atto di debolezza?

E mi sento umiliato al pensiero che tu, sia pure per un solo istante, abbia potuto supporre che io potessi abiurare la mia fede politica pur di riacquistare la libertà. Tu che mi hai sempre compreso, che tanto andavi orgogliosa di me, come hai potuto pensare questo? Ma, dunque, ti sei improvvisamente cosi allontanata da me, da non intendere più l’amore, che io sento per la mia idea?

Come si può pensare, che io, pur di tornare libero, sarei pronto a rinnegare la mia fede? E privo della mia fede, cosa può importarmene della libertà? La libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio, straccio da gettar via, acquistato al prezzo di questo tradimento, che si è osato proporre a me.

Nulla può giustificare questo tuo imperdonabile atto.

Lo so, più di te sono colpevoli coloro che ti hanno consigliata di compierlo. Vi sono stati spinti dall’amicizia che per me sentono e dalla pietà che provano per le mie condizioni di salute?
Ma pietà ed amicizia diventano sentimenti falsi e disprezzabili, quando fanno compiere simili azioni. Mi si lasci in pace, con la mia condanna, che è il mio orgoglio e con la mia fede, che è tutta la mia vita. Non ho chiesto mai pietà a nessuno e non ne voglio. Mai mi sono lagnato di essere in carcere e perché, dunque, propormi un cosi vergognoso mercato? E tu povera mamma ti sei lasciata persuadere, perché troppo ti tormenta il pensiero, che io non ti trovi più al mio ritorno. Ma dimmi, mamma, come potresti abbracciare tuo figlio, se a te tornasse macchiato di un così basso tradimento? Come potrei vivere vicino, dopo aver venduto la mia fede, che tu hai sempre tanto ammirata?

No mamma, meglio che tu continui a pensarlo qui in carcere, ma puro d’ogni macchia, questo tuo figliuolo, che vederlo vicino colpevole, però, d’una vergognosa viltà.

Che male ho fatto per meritarmi questa offesa?

Forse ho peccato di orgoglio, quando andavo superbo di te, che con fiera rassegnazione sopportavi il dolore di sapermi in carcere. E ne parlavo con orgoglio ai miei compagni. E adesso non posso più pensarti, come sempre ti ho pensata: qualche cosa hai distrutto in me, mamma, e per sempre. È bene che tu conosca la dichiarazione da me scritta all’ invito se mi associavo alla domanda da te presentata. Eccola: “La comunicazione, che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore, mi umilia profondamente. 
Non mi associo, quindi, ad una simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni altra cosa, della mia stessa vita, mi preme”. 

Per questo mio reciso rifiuto, la tua domanda sarà respinta. Ed adesso non mi rimane che chiudermi in questo amore, che porto alla mia fede e vivere di esso. Lo sento più forte di me, dopo questo tuo atto.

E mi auguro di soffrire pene maggiori di quelle sofferte fino ad aggi, di fare altri sacrifici, per scontare io questo male che tu hai fatto. Solo così riparata sarà l’offesa, che è stata recata alla mia fede ed il mio spirito ritroverà finalmente la sua pace.

Ti bacio tuo Sandro.

P.S. Non ti preoccupare della mia salute, se starai molto priva di mie lettere”.
 

Pianosa, 23 febbraio 1933

Lettere di Sandro Pertini al Presidente del Tribunale Speciale

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