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Negoziare un contratto internazionale di distribuzione: la centralità della legge applicabile

Contratto internazionale di distribuzione
Contratto internazionale di distribuzione

Prof. Marco Mastracci - Ospite della rubrica MondoVisione a cura di Angelo Lucarella.

 

Il contratto di distribuzione può essere descritto come l’accordo in forza del quale una parte si impegna a vendere all’altra determinati beni, affinché quest’ultima ne curi la commercializzazione e rivendita, in nome proprio e per proprio conto, all’interno di un determinato mercato.

Le parti del contratto di distribuzione sono essenzialmente il fornitore, che mira a giovarsi dell’attività  di  un  altro  soggetto  al  fine  di  ampliare  la  platea  dei  potenziali  consumatori  di determinati beni, e il distributore, che, mosso dall’intento di trarre profitto dalla rivendita di detti beni, aderisce alle politiche commerciali della rete di distribuzione nel cui ambito assumerà il ruolo di intermediario, operando nel segmento di congiunzione tra il produttore e il consumatore.

Si tratta di una combinazione di obbligazioni il cui schema si è ripetuto nella prassi commerciale sino ad acquisire un’identità propria, alla quale tuttavia raramente corrisponde una specifica e organica disciplina legislativa.

Ad esempio, nell’ordinamento italiano il contratto di distribuzione rappresenta uno schema contrattuale atipico, con la conseguenza che, non soltanto in riferimento all’individuazione della disciplina ad esso applicabile, ma anche per quanto riguarda la stessa identificazione degli elementi che lo caratterizzano, un ruolo essenziale è svolto dalla giurisprudenza, la quale tende a qualificarlo come un accordo quadro che si distingue per: (i) la sua funzione di scambio; (ii) la contestuale instaurazione di una forma di collaborazione tra le parti; e (iii) il rischio assunto dal distributore, il quale non agisce per conto di un preponente, bensì in piena indipendenza, sia pure nel rispetto dei requisiti e deli vincoli stabiliti nell’ accordo.

In un tale contesto, in cui la legge non predispone specifici requisiti autorizzativi per lo svolgimento di detta attività né tutele in favore del distributore, il contratto di distribuzione soggiace alle norme applicabili alla generalità dei contratti, nonché alle previsioni che regolano le singole obbligazioni in cui l’operazione complessiva è scomponibile, incluse le norme che regolano la concorrenza.

In generale, negli Stati europei in cui il contratto di distribuzione rappresenta uno schema negoziale non tipizzato, la giurisprudenza è orientata in modi diversi, talvolta enfatizzando l’affinità tra questo e il contratto di agenzia (così ad esempio in Austria, Francia, Grecia e, in presenza di determinati elementi, anche in Germania) o il contratto di mandato (posizione assunta dall’ordinamento greco fino alla riforma del 2007), talaltra puntando il focus sulla funzione di scambio, e dunque richiamando le norme che regolano i contratti di vendita e/o fornitura (Bulgaria, Danimarca).

Altri Stati, come l’Ungheria, dispongono di una disciplina specifica per il contratto di distribuzione, che ne detta gli elementi naturali, liberamente derogabili dalle parti.

Una posizione più rigida è invece assunta dal Belgio, che pone una speciale disciplina inderogabile a protezione dei concessionari per mezzo della legge 27 luglio 1961 sul recesso unilaterale dalle concessioni di vendita esclusiva a durata indeterminata, la quale contiene anche un’espressa e specifica descrizione degli elementi caratterizzanti la fattispecie qualificata come contratto di distribuzione.

Al di fuori del continente europeo, si registra una diffusione dell’approccio protezionistico nei confronti del distributore in diversi Stati dell’America Latina: Argentina, Costa Rica, Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Panama, Paraguay, Porto Rico sono accomunati dalla predisposizione, al livello normativo, di una particolare forma di tutela del concessionario, al quale è riconosciuto il diritto a percepire un’indennità in caso di cessazione del rapporto; in Brasile, in considerazione del rilievo economico e della complessità dei rapporti che si instaurano all'interno della rete di distribuzione dei motoveicoli, è stata emanata la Legge n. 6729/79, successivamente modificata dalla Legge n. 8132/90, nota anche come "Lei Ferrari”, il cui ambito di applicazione include le relazioni di distribuzione che si istaurano nell’ambito di questo specifico settore.

Anche in alcuni Stati del Medio Oriente è possibile rilevare disposizioni che riconoscono una tutela indennitaria al distributore in caso di cessazione del rapporto. In particolare, gli ordinamenti di Qatar, Kuwait, Yemen, Bahrein, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, che tendono ad equiparare la disciplina della distribuzione a quella dell’agenzia, in aggiunta alla menzionata forma di protezione del distributore riservano l’attività ai cittadini dello Stato.

Un simile panorama, in cui è possibile osservare il contratto di distribuzione declinarsi in modalità varie e diverse all’interno dei singoli sistemi giuridici, non rappresenta terreno fertile per i processi di unificazione, armonizzazione o comunque avvicinamento delle diverse posizioni sul piano normativo al livello internazionale.

La carenza di forme di coordinamento tra le discipline nazionali dei contratti di distribuzione (e più in generale dei contratti commerciali) pone l’interprete e i soggetti interessati dall’accordo internazionale nella posizione di doversi interfacciare con ordinamenti diversi dal proprio sin dalle prime fasi della negoziazione.

Le maggiori difficoltà che di regola si pongono all’attenzione dei soggetti coinvolti nella negoziazione, esecuzione e interpretazione del contratto internazionale di distribuzione riguardano essenzialmente la qualificazione del rapporto e dei suoi elementi, nonché i canoni interpretativi dell’accordo: in mancanza di strumenti transnazionali dedicati, questi devono essere analizzati alla luce  della  legge  applicabile,  tenendo  debito  conto  della  eventuale  ingerenza  di  norme  di applicazione necessaria o di limiti relativi all’ordine pubblico.

A questo fine, val la pena rimarcare che, malgrado il generale principio della libertà delle forme in tema di contratti commerciali, è sempre opportuno e consigliabile fissare per iscritto la volontà dei contraenti, ponendo in luce i tratti caratterizzanti dello schema contrattuale che le parti intendono attuare, al fine di richiamare l’applicazione della relativa disciplina.

Un documento contrattuale chiaro, completo, coerente e dettagliato si rivela infatti lo strumento eletto per la creazione di un rapporto stabile e duraturo tra le parti, riducendo il rischio di equivoci e contrasti sul piano dell’interpretazione.

Naturalmente, uno dei primi aspetti a cui è opportuno che le parti dedichino particolare attenzione è quello riguardante la legge applicabile: val la pena evidenziare, infatti, che neppure un contratto estremamente dettagliato può realisticamente essere considerato del tutto autonomo e immune da qualunque tipo di etero-integrazione.

Ogni accordo è infatti regolato da un sistema di leggi, siano esse individuate dalla volontà delle parti  -  facoltà  ad  oggi  riconosciuta  dalla  maggior  parte  dei  Paesi  del  mondo  -  o  attraverso l’applicazione delle norme che regolano il conflitto di leggi. Ad esempio, in assenza di diversa scelta operata dalle parti, il contratto di distribuzione internazionale concluso tra parti aventi sede all’interno dell’Unione Europea sarà regolato dalla legge del Paese di residenza del distributore. L’esame della legge regolatrice dell’accordo consente di chiarire sin dall’inizio quale sia il contesto normativo  in  cui  occorre  inserire  il  contratto,  fornendo  un  parametro  chiaro  per  misurare  le previsioni in  esso  contenute, sia  in  termini  di  validità  che  di  interpretazione, e  al  contempo esaminare anticipatamente l’operatività di eventuali “implied terms”.

Si è già menzionato che le parti di un contratto internazionale hanno - normalmente - la facoltà di stabilire  congiuntamente  quale  sia  la  legge  regolatrice  del  contratto  e  che,  in  mancanza, quest’ultima è identificata attraverso l’applicazione delle “conflict rules”.

L’applicazione dei canoni del diritto internazionale privato dedicati all’individuazione della legge regolatrice del contratto non dovrebbe però essere considerata come un’operazione alternativa rispetto alla scelta della legge applicabile, bensì come un suo presupposto: il raggiungimento di un risultato concreto verso il superamento delle incertezze relative ai contenuti di un accordo internazionale inserito in un contesto normativo fumoso - come quello in cui si muove il contratto di distribuzione - può essere infatti attuato solo attraverso un’attenta disanima delle leggi considerate applicabili secondo il diritto internazionale privato, al fine di evidenziare l’eventuale operatività di norme di applicazione necessaria, destinate a produrre un impatto non trascurabile anche nel caso in cui il regolamento del rapporto sia affidato ad un sistema giuridico diverso.

Individuata la legge applicabile in base al diritto internazionale privato, e valutati gli effetti che detta legge può dispiegare sui contenuti in negoziazione, le parti sono nella condizione di approcciare con maggiore consapevolezza una discussione sulla eventuale scelta di inserire il regolamento contrattuale in  un  ordinamento diverso: un  quadro tendenzialmente esaustivo del

contenuto risultante dalla combinazione tra le pattuizioni negoziate e le leggi destinate a regolarle, infatti, consente anche di  valutare in  termini di  opportunità quali benefici o  ostacoli possano derivare da ciascuna delle possibilità. In proposito, val la pena rimarcare che, quando il sistema giuridico individuato in mancanza di scelta comprende norme inderogabili, l’operatività di queste ultime non può essere inibita attraverso la scelta di affidare il regolamento contrattuale ad un diverso sistema normativo.

Il  ventaglio  di  opzioni  a  disposizione  delle  parti  in  tema  di  legge  applicabile non  si  limita, comunque, all’alternativa tra l’operatività in toto della legge individuata dalle norme di conflitto e disporre  che  il  contratto  sia  regolato  dalle  leggi  di  un  altro  Stato:  infatti,  il  problema  del superamento  della  frammentazione delle  discipline  nazionali  riguardanti  i  contratti  inerenti  a rapporti commerciali, non avendo trovato soluzioni percorribili in termini di armonizzazione sul piano del diritto internazionale, ha favorito lo sviluppo di una terza via, la lex mercatoria.

La lex mercatoria rappresenta un sistema di norme transnazionali, extra-statali, considerate “neutre” e tendenzialmente universali, in quanto consolidatesi attraverso la ripetizione di prassi sul piano dei rapporti transnazionali afferenti la sfera commerciale: le regole che formano la lex mercatoria nascono dunque dalla pratica relativa uno specifico settore e codificate in autorevoli raccolte, quali i Principi Unidroit relativi ai contratti commerciali internazionali o i Principi del diritto europeo dei contratti. I caratteri di neutralità ed extra-territorialità della lex mercatoria, ad ogni modo, possono essere considerati come efficacemente operanti solo se l’indipendenza da qualsiasi sistema giuridico nazionale è assicurata anche nella fase patologica del rapporto, attraverso l’inserimento nell’accordo di una apposita clausola arbitrale.

Al pari di quanto osservato con riferimento alla scelta della legge nazionale applicabile, neppure optando per l’applicazione della lex mercatoria le parti possono essere certe di operare un completo distacco da qualunque legge nazionale: l’applicabilità della lex mercatoria all’intero contratto rappresenta, infatti, un argomento assai dibattuto in dottrina e giurisprudenza, registrandosi in proposito molte posizioni di grande entusiasmo per la tendenziale universalità del sistema, ma anche impostazioni fortemente diffidenti, le quali, pur riconoscendo l’autorevolezza della fonte in argomento e della nutrita giurisprudenza arbitrale internazionale espressa in favore della stessa, continuano a percepire come necessaria l’applicazione generale di un diritto nazionale al contratto nel suo insieme.

Un ragionevole grado di certezza riguardo al contenuto complessivo del contratto sembra dunque raggiungibile solo attraverso un’analisi della legge applicabile, da eseguirsi preferibilmente sin dalle prime fasi di negoziazione dell’accordo, in modo da poter valutare ogni pattuizione alla luce del suo contesto normativo di riferimento, prestando particolare attenzione all’individuazione delle norme di applicazione necessaria eventualmente presenti nell’ordinamento cui appartiene la legge che risulterebbe applicabile in mancanza di scelta.

Da  questi  brevi  cenni,  sembra  opportuno  concludere  che  la  atipicità  e  frammentarietà  della disciplina relativa al contratto di distribuzione possano essere superate solo attraverso l’adozione, in sede di negoziazione, di specifiche cautele orientate nel senso della chiarezza e precisione.

Più in dettaglio, al fine di    instaurare in sicurezza un rapporto di distribuzione, tali accortezze dovrebbero essere applicate in una duplice direzione: non solo appare imprescindibile un’analisi della legge applicabile e dell’opportunità di inserire il rapporto in un quadro normativo alternativo - le quali in ogni caso dovrebbero essere accompagnate da un’indagine dell’impatto che ciascuna delle ipotesi è in grado di produrre sul regolamento contrattuale - ma il contratto nel suo insieme dovrebbe essere ispirato ad una chiarezza espositiva tale da consentire l’individuazione esatta delle prestazioni richieste  alle  parti.  Quest’ultimo  passaggio,  molto  spesso  trascurato  a  causa  della velocità dei traffici commerciali che non di rado induce a prediligere le forme dell’oralità, assume un’autonoma rilevanza nel contesto del contratto internazionale di distribuzione, soprattutto in considerazione della sua atipicità ed affinità con altri contratti commerciali: occorre dunque che siano evidenziati tutti quegli elementi che le norme destinate a regolare l’accordo considerano distintivi, avendo riguardo - se del caso - anche agli orientamenti giurisprudenziali rilevanti.