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Salvatore Todaro: l’eroismo italiano

Salvatore Todaro
Salvatore Todaro

Salvatore Todaro: l’eroismo italiano

 

Il 14 dicembre 1942, ottant’anni fa, al largo dell’arcipelago tunisino di “La Galite”, ci anticipava il Capitano di Corvetta Salvatore Bruno Todaro, Ufficiale sommergibilista della Regia Marina, pluridecorato al Valor Militare.

È una figura epica della nostra Storia militare, che, con i fatti, è diventato un simbolo dell’ardimento italiano, un eroismo connotato da intelligenza e da profonda umanità.

Salvatore Todaro, nato a Messina nel 1908, era cresciuto a Sottomarina, oggi frazione di Chioggia (Venezia), dove la sua famiglia, di chiare origini siciliane, si era trasferita dopo il noto terremoto che colpì la città dello stretto, per seguire il padre, sottufficiale del Regio Esercito.

Percorrendo le orme paterne, si era arruolato giovanissimo nel 1923, quando veniva ammesso all’Accademia Navale di Livorno, completando poi gli studi nel 1927 con la nomina a guardiamarina. Nel famoso istituto di formazione, aveva conosciuto altri Eroi della nostra Marina, che, come lui, sarebbero stati decorati con la Medaglia d’Oro al Valor Militare (su tutti, qui ricordo il Capitano di Fregata Carlo Fecia di Cossato).

Da sottotenente di vascello, nel 1928, era riuscito a frequentare il corso da osservatore aereo, riuscendo a coniugare due sue passioni: l’amore per il mare e quello per l’aria. In una mirabile sintesi di questi due elementi, nella sua carriera avrebbe sempre cercato di andare oltre i suoi limiti. Avrebbe sempre tentato di vincere il mare per elevarsi verso l’alto, risollevandosi come Messina, dopo il tremendo terremoto, in una continua sfida con le acque, come avveniva nella sua Sottomarina.

L’ardimento nel volo sarebbe, però, definitivamente tramontato nel 1933 a causa di un incidente aereo, che, a soli 25 anni, l’avrebbe costretto a portare il busto per il resto della vita, a causa di una frattura alla colonna vertebrale. Non sarebbe, però, stato questo un limite per il giovane Comandante Todaro, che, da sommergibilista, avrebbe scritto pagine epiche nei primi anni del secondo conflitto mondiale. Dal punto di vista tattico, era un sommergibilista “sui generis”, poiché preferiva il contatto in superficie con l’avversario, prediligendo l’uso del cannoncino dalla torretta piuttosto che l’impiego dei siluri in profondità. Era, poi, un vero idolo per tutti i suoi marinai, ai quali aveva donato un pugnale, come arma da combattimento, per poter guardare sempre negli occhi l’avversario. In quegli anni, i giovani arruolati facevano a gara per essere imbarcati col Comandante Todaro, arrivando a pregarlo in ginocchio pur di essere presi a bordo. Era inoltre ammirato come uomo di profonda e originale cultura: conosceva testi antichi e rari di letteratura e scienze, e soprattutto aveva una vera passione per la nascente psicanalisi, fino a sperimentare sul suo equipaggio le teorie di Freud e di Jung, allora poco conosciuto in Italia, soffermandosi a lungo sulla teoria dell’inconscio collettivo. Per questo i suoi lo chiamavano “Mago Bakù”. Molti dei suoi collaboratori, poi, gli davano addirittura del “Tu”, una vera anomalia nel mondo militare. Erano tutti quelli che il Comandante Todaro aveva decorato sul campo con la frase: “Da oggi tu mi darai del Tu”. Questa “onorificenza del Tu” valeva tantissimo per i suoi fedeli marinai, che lo adoravano come un semidio, tale era il suo carisma. Dalla sua persona promanava un grande senso di sicurezza, quasi la percezione di invulnerabilità. Era un Capo che dava sempre l’esempio per ardimento e spirito di sacrificio: era il primo ad esporsi ai pericoli, a soccorrere o incoraggiare i suoi uomini, ai quali trasmetteva autorevolezza e fiducia. Dava ordini con un tono pacato di voce, ordini che erano percepiti come profezie soprannaturali. La sua figura di Comandante, con quel pizzetto di barba nerissima e con quello sguardo magnetico, generava subito emulazione. Era, in tutta la Regia Marina, un personaggio molto noto, sul quale nel tempo erano sorti tanti aneddoti.

Questo scritto, però, intende indicare al lettore del terzo millennio Salvatore Todaro, come un Esempio di Valore. Per questo motivo, ben oltre i racconti sul Comandante, dobbiamo ricordare il fatto d’arme che, su tutti, ha unito il suo ardimento militare ad un profondo senso di umanità.

Era l’ottobre 1940 e l’Italia era da pochi mesi entrata con la quinta Marina del mondo per numero di unità e loro dimensione. Era, però, una flotta senza radar, senza un adeguato coordinamento con l’Aeronautica e senza flottiglie di aerosiluranti, ma aveva Uomini con tanto coraggio e tanto patriottismo, che oggi dobbiamo ricordare.

Nella notte del 16 ottobre 1940, al largo delle Canarie, Todaro, a capo del sommergibile “Comandante Cappellini”, affondava il cargo belga Kabalo (5.186 tonnellate), che trasportava pezzi di ricambio dell’aeronautica inglese. Per quell’azione, sarebbe stato decorato in vita con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare, ma sarebbe rimasto nella Storia per quanto avrebbe compiuto dopo l’affondamento. Infatti, Todaro decideva di raccogliere tutti i ventisei naufraghi della nave belga e di rimorchiarli su una zattera per quattro giorni nell’oceano Atlantico. Quando si spezzò il cavo che tirava quella scialuppa, Todaro non esitò ad ospitare i naufraghi a bordo fino a sbarcarli, incolumi, in un porto neutrale alle Azzorre. Nel salutare l’incredulo comandante belga, l’Italiano gli diceva: "Sono un uomo di mare come lei. Sono convinto che al mio posto lei avrebbe fatto come me". Lo salutava, poi, militarmente portando la mano alla visiera, ma, notando che il belga rimaneva a guardarlo, gli chiedeva: "Ha dimenticato qualcosa?", "Sì" - gli rispose il belga con le lacrime agli occhi -"Ho dimenticato di dirle che ho quattro bambini: se non vuole dirmi il suo nome per mia soddisfazione personale, accetti di dirmelo perché i miei bambini la possano ricordare nelle loro preghiere". "Dica ai suoi bambini di ricordare nelle loro preghiere Salvatore Todaro".

Il salvataggio di naufraghi nemici non era una novità per la Regia Marina italiana, ove si consideri che, due mesi prima, il 12 agosto 1940, anche il sommergibile “Alessandro Malaspina” del comandante Mario Leoni aveva rimorchiato i 45 uomini dell’equipaggio della petroliera britannica “British Fame” verso il primo porto sicuro nell’Atlantico. Ciò che avrebbe reso ancor più particolare il caso del Cappellini era che, come visto, a causa della rottura del cavo, il Comandante Todaro decideva di imbarcare i 26 nemici naufraghi nel suo sommergibile. Qualcun’altro avrebbe detto che la sua Umanità avrebbe posto a rischio affondamento il sommergibile con tutti i suoi uomini, ma, per Todaro, quel gesto rientrava nel Codice d’Onore del Mare.

Lo straordinario comportamento di Salvatore Todaro non sarebbe, però, stato apprezzato dal comandante in capo dei sommergibilisti tedeschi, l'ammiraglio Karl Dönitz, che lo avrebbe criticato aspramente: “Signori, – disse rivolgendosi ai colleghi italiani – io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”. Todaro rispose alle critiche mosse, con una frase lapidaria, riportata da molte fonti e mai smentita, rimasta celebre, da allora in poi, nella storia della nostra Marina: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle!”.

Il Comandante Todaro avrebbe continuato le sue azioni epiche nell’Atlantico: il 5 gennaio 1941, tra le Canarie e l’Africa, il Cappellini affondava, sempre utilizzando il cannone della torretta, il piroscafo armato inglese “Shakespeare” (5.029 tonnellate). Anche in questo caso il Comandante raccoglieva 22 nemici superstiti, alcuni gravemente feriti, ponendoli in salvo sull’isola di Capo Verde. Amava dire “Io combatto una guerra contro le macchine, non contro gli uomini”.

Proseguendo la crociera, il sommergibile giungeva a largo di Freetown (Sierra Leone), dove riusciva ad affondare con due siluri e utilizzando il cannone la nave britannica Emmaus (7.472 tonnellate). Durante la battaglia un aereo inglese arrivava in zona, riuscendo a colpire con due bombe il Cappellini prima che si riuscisse ad immergere, così causando gravi danni, morti e feriti. Ciò nonostante Todaro riusciva a portare il sommergibile fino al porto neutrale spagnolo di Gran Canaria, che giungeva il 20 gennaio 1941. Grazie all'aiuto spagnolo, Todaro riuscì a sbarcare i feriti e a riparare il battello per riprendere il mare, il 23 gennaio 1941, e raggiungere con successo il porto di Bordeaux, sede del Comando BETASOM, dove i sommergibili italiani combattevano con gli U-Boot tedeschi quella che sarebbe stata ricordata come la “Battaglia dell’Atlantico”. Per queste missioni, sarebbe stato decorato in vita con la sua prima Medaglia d'Argento al Valor Militare (durante la sua carriera gli sarebbero state concesse in vita tre Medaglie d’Argento e due di Bronzo al Valor Militare). Todaro avrebbe partecipato successivamente ad altre due sfortunate crociere atlantiche. Il Cappellini era, però, malridotto, rimanendo fuori uso per diversi mesi. A terra, il Comandante Todaro dovette affrontare diversi problemi: con i superiori (con Supermarina, il comando generale della Marina), con gli alleati tedeschi (che, pure ammirandolo, tanto da conferirgli due croci di ferro, lo ritenevano troppo umanitario), con la sua salute e con la sua coscienza. Vedendo tanti naufraghi, che chiedevano disperatamente aiuto, vedendo il sangue dei suoi marinai caduti, forse comprendeva che il male non era il nemico, ma la guerra stessa. Ripeteva, infatti, “Sì, il male è la guerra”. Forse per tutti questi motivi, il Comandante Todaro, preferiva chiedere di essere sbarcato.

Nel novembre 1941 veniva trasferito alla Xª Flottiglia MAS, un'unità speciale della Regia Marina italiana, il cui nome sarebbe rimasto legato a numerose imprese belliche di assalto e incursione, come quello della Baia di Suda (25-26 marzo 1941) o dell'impresa di Alessandria d’Egitto del 19 dicembre 1941, che privò, per un lungo periodo, la Royal Navy delle sue navi da battaglia nel Mediterraneo.

Salvatore Todaro, con il grado di capitano di corvetta, veniva assegnato all' "autocolonna Moccagatta", con la quale avrebbe partecipato dal maggio 1942 al blocco navale della città di Sebastopoli, sul Mar Nero. In queste ardite operazioni si distingueva nuovamente, tanto da meritare la terza Medaglia d'Argento al Valor Militare.

Nel novembre 1942 Todaro era destinato alla base dell’arcipelago di “La Galite” in Tunisia, al comando del motopeschereccio armato “Cefalo”, con l’obiettivo di condurre una serie di attacchi al porto di Bona, importante base avversaria. Nel dicembre 1942, un aereo inglese, uno “Spitfire” scendendo a volo radente, mitragliava il peschereccio. La contraerea riusciva a mettere in fuga l’aereo e, subito dopo, alcuni marinai italiani si precipitavano a bordo del Cefalo, cercando Todaro. Lo chiamavano, ma non rispondeva. Giunti nella sua cuccetta, lo trovarono con gli occhi chiusi, come se dormisse. In tutto quel fracasso non s’è neppure mosso. Ma guardandolo meglio si notava una piccola scheggia che gli aveva trapassato la tempia. Gli erano già a fianco le sirene del mare per trasportare la sua anima tra gli abissi insondabili. “Il Comandante Todaro è morto”, gridò un marinaio piangendo.

Era il 14 dicembre 1942. Aveva 34 anni e la sua memoria è onorata con la Medaglia d'Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione: “Ufficiale superiore di elette virtù militari e civili. Capacissimo, volitivo, tenace, aggressivo, arditissimo, al comando di un sommergibile prima e di reparto d'assalto poi, affrontava innumerevoli volte armi enormemente più potenti e numerose delle sue, e dimostrava al nemico come sanno combattere e vincere i marinai d'Italia. Assertore convinto della potenza dello spirito, malato ma non esausto, mai piegato da difficoltà materiali, da considerazioni personali, da logoramento fisico, ha sempre conservato intatte volontà aggressiva e fede e mistica dedizione al dovere intesa nel senso più alto e più vasto. Mai pago di gloria e di successi, non sollecito di sé. ma solo della vittoria, riusciva ad ottenere il comando di sempre più rischiose imprese finché, nel corso di una di esse, mitragliato da aerei nemici, immolava la sua preziosa esistenza alla sempre maggiore grandezza della Patria. Purissima figura di uomo e combattente, esempio fulgidissimo di sereno, intelligente coraggio e di assoluta dedizione.”

Nei prossimi mesi, fortunatamente sentiremo parlare di Salvatore Todaro, questo guerriero del mare che, come letto, aveva sempre combattuto “a viso scoperto”, sparando con il cannone e non con i siluri, molto meno prevedibili. Uscirà, infatti, un film, coprodotto da Rai Cinema, con la regia di Edoardo De Angelis, che lo ha scritto con il Premio Strega Sandro Veronesi, interamente dedicato a Salvatore Todaro, interpretato dal bravo Pierfrancesco Favino.

Rivedremo l'epopea del soccorso ai naufraghi del Kabalo, un gesto che è rimasto nel Libro d'Oro della nostra marineria. Rimorchiare le loro zattere per salvarli dal mare e poi addirittura ospitarli nello spazio claustrofobico del battello non era solo una prova di generosità, ma significava mettere a rischio la propria vita e quella del suo equipaggio. Non ebbe mai dubbi, il Comandante Todaro, che combatteva con coraggio e spirito da cavaliere antico, con lealtà e generosità, senza mai odiare il nemico.

Nell’attesa di vedere il film di De Angelis, che si preannuncia avvincente, per chi volesse immergersi nell'atmosfera vissuta da Todaro consiglierei di andare nella cineteca gratuita di “YouTube” per vedere "Uomini sul fondo", il film girato nel 1940 da Francesco De Robertis con assistente Roberto Rossellini: un'opera che, sebbene voluta dalla propaganda dell’epoca, anticipa la forza del neorealismo. In rete è inoltre disponibile gratuitamente anche il film italiano del 1954 intitolato «La grande speranza» del regista Duilio Coletti. Tratta, in forma romanzata, le vicende del sottomarino Cappellini, comandato da Salvatore Todaro, durante la Battaglia dell’Atlantico ed in particolare del salvataggio dei naufraghi del Kabala.

Questo mio scritto intende ricordare un Uomo, che non sognava un mondo senza confini o identità. Gli Esempi come Salvatore Todaro e gli altri Militari che ho ricordato in questa mia rubrica erano Uomini, che non sognavano un mondo senza armi e senza guerra. Sono Uomini morti, al contrario, per una Nazione, per difendere Valori, per ideali che oggi in tanti sono liberi di ritenere superflui o retrogradi. L’auspicio è che il lettore che ha avuto la pazienza di leggere tutto questo mio articolo, così come lo spettatore che vedrà il film sul Comandante Todaro, possa riappropriarsi, al di là dei revisionismi, di una Storia fatta di eroismo italiano – militare oltre che umanitario – purtroppo spesso rimosso. Mi auguro che il film possa restituire alla Nazione il Comandante Todaro nella sua autenticità, anche nelle sue apparenti contraddizioni, ma senza polemiche e senza che nessuno se ne serva per sbandierare “concetti ideologici” moderni che i nostri Eroi non avrebbero mai condiviso.