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Se uccidere sia prima peccato o prima reato e altre domande insignificanti

Se uccidere sia prima peccato o prima reato e altre domande insignificanti
Se uccidere sia prima peccato o prima reato e altre domande insignificanti

Bologna, 6 giugno 2016

 

Se uccidere sia prima peccato o prima reato e altre domande insignificanti

Il web marketer penserà: ennesima prova del masochismo di Zama, che escogita editoriali autolesionisti sin dal titolo, avanti così non resta neppure un lettore. La domanda mi è venuta senza un perché e non me la tolgo dalla testa. Me ne sono innamorato, la giudico tutt’altro che onanistica (del tipo è nato prima l’uovo o la gallina?): compendia secoli di storia e di dispute filosofiche (del resto, non sono certo io il primo a pormela). Con un’iperbole direi che oggi è la domanda delle domande.

Mi cimento con qualche ricamo.

Risposta sbrigativa: tutti e due contemporaneamente, non c’è un prima né un dopo, uccidere è peccato – per chi ha anche una visione della vita in prospettiva ultraterrenae reato – per chi non ha quella prospettiva o comunque è ancorato alla legge positiva e, eccezionalmente, se proprio si vuole complicare il discorso, al diritto naturale.  

Così rispondendo siamo armonizzati all’attuale concezione dello Stato laico, che rivendica la prevalenza del diritto positivo, del reato, ed espelle il peccato dall’orizzonte pubblico, relegandolo ad ambiti rigorosamente privati. Oggi siamo allo stadio finale del processo iniziato con l’ostilità, proseguito, con fasi alterne, con la separazione, la protezione e l’indifferenza e giunto al rifiuto della religione (cristiana s’intende, perché nel resto del mondo questo processo è sconosciuto).

Per questo abbiamo un osservatorio speciale, dato dall’esperienza. E possiamo permetterci di porci delle domande partendo da una constatazione: il sostantivo laico per secoli si riferiva al credente che non apparteneva allo stato clericale o comunque a quello sacerdotale, in ogni caso all’interno del mondo, della vita e dell’orizzonte cristiani. Dunque, proviamo a smuovere le acque del pensiero stagnante: Stato e società (più la seconda del primo) si possono permettere di escludere la religione dall’orizzonte pubblico? o, per dirla diversamente: Stato e società hanno interesse alla permanenza della religione (cristiana)?

Ecco allora una possibile risposta alternativa alla domanda: uccidere è prima peccato e poi reato. Oltre alle ragioni intime di ciascuno (religiose, filosofiche e morali) ci sono ragioni pubbliche che militano a supporto della conservazione del peccato nel nostro orizzonte. Se la punizione terrena (peraltro incerta) costituisce l’unico deterrente alla commissione del reato perché il peccato è relegato in ambiti privati e soprattutto svilito nel suo rilievo sociale, allora non ci sono paracadute.

Come giocare una partita con una squadra senza difensori ma solo il portiere: facile prendere goal.

Teorizzo un ritorno al passato pre-rivoluzionario, un rinnovato fondamentalismo, una teocrazia? no, invito solo a maneggiare nozioni come laicità e laicismo con scetticismo, senza farle diventare idee-valore, metterle sul piedistallo del politicamente corretto e renderle così indiscutibili.

Bologna, 6 giugno 2016

 

Se uccidere sia prima peccato o prima reato e altre domande insignificanti

Il web marketer penserà: ennesima prova del masochismo di Zama, che escogita editoriali autolesionisti sin dal titolo, avanti così non resta neppure un lettore. La domanda mi è venuta senza un perché e non me la tolgo dalla testa. Me ne sono innamorato, la giudico tutt’altro che onanistica (del tipo è nato prima l’uovo o la gallina?): compendia secoli di storia e di dispute filosofiche (del resto, non sono certo io il primo a pormela). Con un’iperbole direi che oggi è la domanda delle domande.

Mi cimento con qualche ricamo.

Risposta sbrigativa: tutti e due contemporaneamente, non c’è un prima né un dopo, uccidere è peccato – per chi ha anche una visione della vita in prospettiva ultraterrenae reato – per chi non ha quella prospettiva o comunque è ancorato alla legge positiva e, eccezionalmente, se proprio si vuole complicare il discorso, al diritto naturale.  

Così rispondendo siamo armonizzati all’attuale concezione dello Stato laico, che rivendica la prevalenza del diritto positivo, del reato, ed espelle il peccato dall’orizzonte pubblico, relegandolo ad ambiti rigorosamente privati. Oggi siamo allo stadio finale del processo iniziato con l’ostilità, proseguito, con fasi alterne, con la separazione, la protezione e l’indifferenza e giunto al rifiuto della religione (cristiana s’intende, perché nel resto del mondo questo processo è sconosciuto).

Per questo abbiamo un osservatorio speciale, dato dall’esperienza. E possiamo permetterci di porci delle domande partendo da una constatazione: il sostantivo laico per secoli si riferiva al credente che non apparteneva allo stato clericale o comunque a quello sacerdotale, in ogni caso all’interno del mondo, della vita e dell’orizzonte cristiani. Dunque, proviamo a smuovere le acque del pensiero stagnante: Stato e società (più la seconda del primo) si possono permettere di escludere la religione dall’orizzonte pubblico? o, per dirla diversamente: Stato e società hanno interesse alla permanenza della religione (cristiana)?

Ecco allora una possibile risposta alternativa alla domanda: uccidere è prima peccato e poi reato. Oltre alle ragioni intime di ciascuno (religiose, filosofiche e morali) ci sono ragioni pubbliche che militano a supporto della conservazione del peccato nel nostro orizzonte. Se la punizione terrena (peraltro incerta) costituisce l’unico deterrente alla commissione del reato perché il peccato è relegato in ambiti privati e soprattutto svilito nel suo rilievo sociale, allora non ci sono paracadute.

Come giocare una partita con una squadra senza difensori ma solo il portiere: facile prendere goal.

Teorizzo un ritorno al passato pre-rivoluzionario, un rinnovato fondamentalismo, una teocrazia? no, invito solo a maneggiare nozioni come laicità e laicismo con scetticismo, senza farle diventare idee-valore, metterle sul piedistallo del politicamente corretto e renderle così indiscutibili.