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Christo, l’artista del pacco

Christo a Berlino
Christo a Berlino

Anno dopo anno, il signor Christo Javacheff, bulgaro di nascita e naturalizzato americano, ha impacchettato decine di monumenti e paesaggi.

[La notizia della concessione da parte dello Stato Francese di impacchettare l’arco di Trionfo a Parigi, ci riporta a un articolo di Sigfrido Bartolini che nel 1994 così scriveva]

Arco di Trionfo a Parigi impacchettato

Non ce lo saremmo mai aspettato! La notizia ci è capitata tra capo e collo come una doccia fredda, una amarissima delusione, qualcosa ha urtato penosamente quella che era una nostra convinzione radicata: l’idea che una pagliacciata del genere in Germania non sarebbe stata permessa. Invece, quel penoso clown che risponde assurdamente al nome di Christo, ha avuto dal parlamento tedesco il permesso di impacchettare il Reichstag, quel Reichstag da poco sdoganato, recuperato all’intera nazione tedesca con la riunificazione.

Quando due o tre di questi demenziali impacchettamenti avvennero in Italia, a Milano e a Roma, ci sembrarono una ennesima riprova dell’abisso di stupidità e di leggerezza nel quale il nostro paese era caduto. Se è vero che Dio toglie il senno a chi vuol perdere, non ci sono dubbi al fatto che il nostro vecchio Creatore ce l’ha proprio con noi e che ci restano ben poche speranze.

Il sottoscritto venne in contatto con un’opera di Christo esattamente venticinque anni fa: in una galleria d’arte moderna a Roma mi fu chiesto se desideravo vedere un Cristo, pensai a un crocefisso chissà come ridotto, e quando mi trovai davanti un pacchetto di nylon, legato con lo spago, dentro al quale si intravedevano dei trucioli di legno: <Lasci stare – dissi – non stia a scartare, credo di aver capito>.

Pont Neuf impacchettato

Non avevo capito niente, mi aspettavo un Cristo ed era invece un Christo, e l’opera consisteva appunto nel pacchettino così confezionato. C’era poco da ridere e meno da piangere, certo è che non potevo prevedere che quello che considerai allora in quell’occasione uno dei tanti mentecatti al pascolo nel campo sempre più permissivo dell’arte, avrebbe ingigantito i suoi pacchettini di nylon fino a impacchettare mezzo mondo con il permesso che viene accordato ormai a qualunque deficiente in grado di imbonire, con parole auliche e fatti demenziali, un’umanità alla deriva.

Così, anno dopo anno, il signor Christo Javacheff, bulgaro di nascita e naturalizzato americano, ha impacchettato il Pont Neuf di Parigi, ha steso una cartina alta sei metri per ventiquattro miglia in una vallata californiana, ha circondato le undici isole di Key Biscayne a Miami ed ora eccolo a incartare il Reichstag con centomila metri quadrati di tessuto argentato.

In queste sue esemplari americanate il signor Christo non ha limiti: impiega centinaia di operai, migliaia di metri di corda e altrettanti di nylon, spende miliardi tutti suoi, di questo gli va dato atto, e il tutto per la durata di una o due settimane, poi fa rismontare tutto e arrivederci: <La fragilità è la mia estetica – prendo in affitto lo spazio per poco tempo e per farne della poesia – si giustifica il nostro e con l’impacchettamento del grandioso palazzo edificato dall’impero  prussiano è convinto di offrire al popolo tedesco: <una drammatica esperienza di grande bellezza>.

Diciamo la verità, ciò che ci stupisce all’idea che Christo da ben ventitrè anni chiede di poter impacchettare il Reichstag è che ancora nessuno abbia pensato che l’unico da impacchettare e conservare in luogo fresco e asciutto era lui, no! Si acconsente al geniale desiderio e un onorevole socialdemocratico ha invitato l’aula a sdrammatizzare dicendo a un collega: <Si rilassi, presteremo a Christo questo gigantesco simbolo per due sole settimane, poi ci reinsedieremo e riprenderemo il lavoro per cui siamo stati eletti>. L’elettore tedesco è servito, si tratta soltanto di un prestito; il palazzo, oltretutto, sarà difeso per due settimane da questo argenteo preservativo e chissà dagli sfizi dell’incartatore folle.

Arco di Trionfo ancora non impacchettato

Un po’ in ogni campo, ma particolarmente in quello dell’arte non possiamo ormai stupirci di nulla, siamo abituati a qualsiasi stravaganza, per demenziale che sia e da chiunque venga, ma ciò che ci colpisce è constatare la perdita degli istinti anche in coloro che un tempo ritenevamo corazzati contro le chiacchiere interessate dei battitori stipendiati e dei loro sciocchi seguaci.

Spariti gli istinti nel popolo, scomparso il popolo, lo stupore, la ripulsa, la sana risata di fronte a manifestazioni che sono esclusivamente delle masturbazioni mentali, sono venute meno, ha vinto il martellante imbonimento, si ha paura di passare per ignoranti, per superati e di essere esclusi dal banchetto della modernità che pure offre cibi non commestibili, finti e illusori.

Si dice che in politica ha vinto la guerra delle parole, ma non è capitato solo in politica, nell’arte si è andati anche oltre. Su lo sprovveduto, su lo sradicato, su chi non ha più un punto di riferimento al quale rifarsi hanno buon gioco le parole. Con le parole si dimostra ciò che si vuole, si fa colpo, in particolare, sulle fragili menti già provate da ogni sorta di bombardamento dialettico e si commette così uno stupro collettivo senza che chi lo subisce se ne renda conto.

Una scatola di cartone schiacciata non è che un cartone da macero, ma immaginatela firmata da Rauschenberg e lasciatevi stordire da una critica che vi dimostrerà l’invenzione, la fantasia, la poesia e perfino la trascendenza insita in quella scelta dell’artista, in quel cartone che, vi diranno, si fa tramite tra voi e l’assoluto, tra voi e Dio.

Entrati nel regno delle chiacchiere, accettata l’impostura come rivelazione e la menzogna come buona novella, tutto diviene possibile, anche il prendere in considerazione le avvilenti trovate del signor Christo che si conquista così una fama interamente a buon mercato, finisce nel guinness dei primati, stupendo con l’ampiezza dei progetti intesi a far dimenticare la nullità e la stoltezza dell’invenzione.

Ma che vi sia uno stravagante in cerca di notorietà con mezzi di dubbio gusto, nel nostro tempo di divismo esasperato e di protagonismo da luna park, non può stupire più che tanto, sconvolge invece il dover constatare che a dar retta, e prendere sul serio il ciarlatano di piazza siano proprio coloro che dovrebbero rappresentare la misura, che sono preposti al giudizio, addirittura a legiferare al vertice di uno Stato.

“Il Giornale”, 1994