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Art. 527 - Atti osceni

[1. Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000 (1).]

2. Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano (2).

[3. Se il fatto avviene per colpa, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309.] (3).

(1) Comma così modificato (e fattispecie conseguentemente depenalizzata) dall’art. 2, comma 1, lett. a), DLGS 8/2016.

(2) Comma aggiunto dal comma 22 dell’art. 3, L. 94/2009 e, successivamente, così modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b), DLGS 8/2016.

(3) Articolo così modificato dall’art. 44, DLGS 507/1999.

Rassegna di giurisprudenza

L’art. 527, comma 2 prevede, ai fini della rilevanza penale della condotta, che essa sia tenuta “all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva pericolo che essi vi assistano”. Secondo il chiaro tenore letterale della norma non è sufficiente che i luoghi siano frequentati da minori, occorre che lo siano “abitualmente”.

La fattispecie, dunque, individua l’ambito spaziale all’interno del quale il compimento di atti osceni conserva penale rilevanza affidandosi al dato fattuale dell’esperienza storica, mutabile come solo possono esserle le abitudini dei giovani minori di età, secondo la ricostruzione che di volta in volta è chiamato a compiere il giudice di merito.

Al di fuori di tipizzazioni o numeri chiusi di sorta (si veda, al contrario, quanto prevedono gli artt. 61, n. 11-ter, cod. pen., e 80, comma 1, lett. g, DPR 309/1990), tali luoghi possono essere costituiti da giardini pubblici, parchi oppure un bar, una discoteca, una biblioteca, una piazza, una strada. Il criterio funzionale del pericolo concreto che i minori possano assistere all’atto osceno, si salda a quello spaziale concorrendo da un lato ad evidenziarne la “ratio”, dall’altro ad evitare eccessive dilatazioni dell’ambito applicativo della norma.

“Abitualmente” è sinonimo di “normalmente, comunemente, ordinariamente, usualmente” ed esprime un concetto contrario a “occasionalmente, raramente, eccezionalmente, straordinariamente”. La frequenza abituale deve necessariamente preesistere all’azione, è un predicato del luogo; la necessità che il pericolo derivi “da ciò” (così la norma) è il segnale di una corrispondenza biunivoca che esprime il senso della persistente rilevanza penale della condotta. Luogo abitualmente frequentato e pericolo di essere notato, in quanto elementi costitutivi del reato, si saldano e si riflettono nella consapevolezza che l’autore del gesto deve necessariamente avere, pena la configurazione colposa dell’illecito e la sua rilevanza esclusivamente amministrativa.

Ai fini della sussistenza del reato non è perciò sufficiente che il minore assista (o via sia pericolo che assista) all’atto se il teatro dell’azione non è abitualmente frequentato da minori. Qualsiasi interpretazione estensiva andrebbe oltre la lettera della legge e sarebbe ispirata più a criteri sostanzialistici che ossequiosi del principio di stretta legalità e riserva di legge. L’accertamento dell’abituale frequentazione del luogo teatro dell’azione ha natura fattuale e compete al giudice di merito il quale a tal fine può utilizzare qualsiasi prova (diretta o anche solo logica) (Sez. 3, 17912/2017).

Il delitto di atti osceni è stato depenalizzato dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del DLGS 8/2016, limitatamente all’ipotesi base prevista dal primo comma dell’articolo 527, residuando come fattispecie autonoma di reato nel caso previsto dal secondo comma, ossia quando “il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano”.

Va subito precisato che, a seguito della depenalizzazione dell’illecito penale in illecito amministrativo della ipotesi base di reato (comma 1 dell’articolo 527), all’articolo 527, comma 2, le parole “La pena è aumentata da un terzo alla metà” sono state sostituite dalle seguenti: “si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi”. La conseguenza è che l’ipotesi aggravata è stata trasformata in fattispecie autonoma di reato ed il fatto tipico è costituito dalla necessaria fusione tra il primo ed il secondo comma dell’articolo 527, avendo il secondo comma perso l’originaria qualifica accessoria e circostanziale ed essendo diventato elemento costitutivo del fatto, espressamente richiamato, tipizzato nel primo comma dell’articolo 527.

Ciò precisato, nel caso in esame, è stata contestata ed è stata ritenuta (ratione temporis) dai giudici del merito l’originaria circostanza aggravante, sul rilievo che la condotta è stata realizzata dall’imputato nell’immediata vicinanza di minori, che vi avevano assistito, tant’è che il ricorrente aveva espressamente attirato l’attenzione di uno di essi, desumendosi da ciò che in tale luogo i minori si trattenevano e stazionavano. Il secondo comma dell’articolo 527 è stato introdotto dall’articolo 3, comma 22, della L. 94/2009 ed il legislatore, nel configurare quella che originariamente costituiva una circostanza aggravante, non ha indicato - a differenza di altre fattispecie (art. 61, comma 1.1.-ter, art. 609-ter, comma 1, n. 5-bis, art. 609-nonies, art. 80, comma 1, lett. g) DPR 309/1990) - quali debbano essere detti luoghi avendoli deliberatamente non determinati (nel corso dei lavori parlamentari, un emendamento soppressivo della disposizione in parola ne denunciava l’illegittimità costituzionale per difetto di tipicità).

Ne consegue che è stata lasciata appositamente aperta la loro individuazione, sebbene la ricognizione vada, a maggior ragione oggi che il sintagma normativo assurge ad elemento costitutivo del reato, eseguita nei rigorosi limiti disegnati dagli elementi descrittivi della fattispecie, circostanza che esclude che possano essere mossi rilievi di incostituzionalità per violazione del principio di precisione della norma penale anche in considerazione dell’ulteriore condizione posta per l’operatività della fattispecie stessa, ossia che ne derivi il pericolo che i minori vi assistano.

Rientrano nella nozione di luoghi abitualmente frequentati da minori, tutti i luoghi dove ordinariamente si svolge la socialità di essi, sul rilievo che la ratio che sostiene la disposizione è ravvisabile nell’esigenza di tutelare, oltre che il comune senso del pudore, l’integrità morale dei minori in tutti i luoghi ove gli stessi abitualmente, non solo prevalentemente, si trovino. Tali luoghi sono prima di tutto quelli specificamente destinati alla frequentazione dei minori (ossia a titolo esemplificativo, gli asili, le scuole, i luoghi di formazione fisica e culturale, i luoghi prossimi agli edifici scolastici, i recinti ricreativi all’interno dei parchi, gli impianti sportivi, gli oratori, le ludoteche e simili) cioè i luoghi immediatamente riconoscibili come tali e dove i minori assiduamente si recano. Del resto, proprio l’uso differenziato degli avverbi “abitualmente” e “prevalentemente” riscontrabili in diverse disposizioni penali concernenti la tutela dei minori rende chiaro come non occorra che il luogo sia in massima parte frequentato da minori, quanto che un determinato luogo sia da questi ultimi abitualmente frequentato.

È dunque la frequentazione abituale che rende un determinato luogo sensibile al raggio della fattispecie incriminatrice (ex circostanza aggravante), con la quale il legislatore ha tipizzato un evento di pericolo che deve conseguire alla consumazione della condotta tipica negli ambienti specificamente descritti dal secondo comma dell’art. 527. Siccome il delitto di atti osceni, con riferimento all’ipotesi base, era già di per sé considerato un reato di pericolo, non essendo necessario per la sua consumazione che qualcuno effettivamente assista al comportamento tenuto dal suo, il fatto, tipizzato nel secondo comma dell’articolo 527, si qualifica allora per la specificazione che tale pericolo non riguardi l’indistinta collettività, ma un suo sottoinsieme determinato dai soggetti minori, sulla base del presupposto che il luogo in cui la condotta viene consumata è abitualmente frequentato dagli stessi.

Ciò porta ad escludere che la fattispecie si atteggi a ricomprendere qualsiasi luogo dove si possa registrare la presenza di un minore, ossia in particolare i luoghi pubblici in quanto tali (come, nel caso in esame, una pubblica via perché, se questa fosse la portata del sintagma normativo che contrassegna il fatto tipico, lo stesso risulterebbe in definitiva inutile per inattitudine selettiva a qualificare una specifica e necessaria modalità di integrazione della fattispecie, atteso che residua una porzione di fatto (coincidente con l’originario reato-base) che già esige che gli atti osceni siano compiuti in luogo pubblico, aperto o esposto al pubblico.

Tutto questo porta a ritenere che occorra un quid pluris che segni la cifra di riconoscimento della residua porzione di fatto tipizzata nel secondo comma dell’articolo 527 del codice penale, secondo cui i luoghi interessati dalla previsione normativa sono solo quelli specificamente destinati alla frequentazione dei minori e cioè sia quelli riconoscibili come tali per vocazione strutturale (come, ad esempio, gli asili, le scuole, i luoghi di formazione fisica e culturale, i luoghi prossimi agli edifici scolastici, i recinti ricreativi all’interno dei parchi, gli impianti sportivi, gli oratori, le ludoteche e simili), sia quelli che siano tali per elezione specifica. ossia che, di volta in volta, costituiscono un punto di incontro nel quale i minori assiduamente si recano, ivi trattenendosi reiteratamente per un lasso di tempo non breve (muretto su una pubblica via, piazzali, pubblica via trasformata abitualmente in luogo ludico, cortile condominiale ove i minori si recano per socializzare e simili).

In altri termini, il fatto di reato sussiste non perché accidentalmente agli atti osceni abbia assistito un minore, ma perché nel luogo prescelto dal suo autore per realizzarli è prevedibile (e non solo possibile), con giudizio prognostico ex ante, che siano presenti persone minori in quanto “abituate” a frequentarlo perché assiduamente ed appositamente in quel posto si recano o si incontrano. L’accertamento circa la qualificazione di un luogo come abitualmente frequentato da minori, che deve essere seguito con giudizio prognostico ex ante, costituisce giudizio di fatto che, se adeguatamente motivato e privo di vizi di manifesta illogicità, non è sindacabile in sede di controllo di legittimità (Sez. 3, 29239/2017).

In forza dell’art. 2, comma primo, DLGS 8/2016, il delitto di atti osceni di cui al comma primo dell’art. 527 è stato depenalizzato; è stata, invece, mantenuta la rilevanza penale dei fatti, originariamente previsti al comma secondo quali aggravanti del reato, di commissione del fatto all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

Quanto alla disciplina transitoria, l’art. 8, del citato DLGS stabilisce che le disposizioni del decreto si applichino anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso. Nel caso in cui il procedimento sia pendente, l’AG è tenuta a disporre la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa. Nel caso in cui l’azione penale non sia stata ancora esercitata, è il PM a dover disporre la trasmissione degli atti; nel caso di avvenuto esercizio dell’azione penale il giudice deve pronunciare, ai sensi dell’art. 129 CPP, sentenza inappellabile di proscioglimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e procedere alla trasmissione degli atti.

Nel caso in cui sia stata pronunciata sentenza di condanna non definitiva, il giudice dell’impugnazione deve dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato e decidere sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza concernenti gli interessi civili (art. 9, commi 1 a 3, DLGS 8/20016) (Sez. 7, 37561/2017).