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Art. 528 - Pubblicazioni e spettacoli osceni

[1. Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente , fabbrica, introduce nel territorio dello Stato , acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000(1).

2. Alla stessa sanzione soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente (2).]

3. Si applicano la reclusione da tre mesi a tre anni e la multa non inferiore a euro 103 a chi (3):

1) adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte di questo articolo;

2) dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità.

4. Nel caso preveduto dal n. 2, la pena è aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell’autorità.

(1) Comma così modificato (con conseguente depenalizzazione della fattispecie ivi descritta) ai sensi dell’art. 113, L. 689/1981 e, successivamente, dall’art. 2, comma 2, lett. a), DLGS 8/2016, a decorrere dal 6 febbraio 2016.

(2) Comma così modificato (con conseguente depenalizzazione della fattispecie ivi descritta) dall’art. 2, comma 2, lett. b), DLGS 8/2016.

(3) Alinea così modificato dall’art. 2, comma 2, lett. c), DLGS 8/2016.

Rassegna di giurisprudenza

Non costituisce violazione dell’art. 528 l’esposizione e la messa in commercio di oggetti di forma fallica quando il contenuto palesemente ironico e canzonatorio degli oggetti stessi ne escluda il carattere di oscenità (Sez. 3, 3027/1996).

In tema di pubblicazioni e spettacoli osceni, di cui all’art. 528, la messa in circolazione può attuarsi anche in relazione ad un unico oggetto, stante la distinzione tra distribuzione, che presuppone una pluralità di oggetti o frammenti di un unico oggetto, e messa in circolazione, che si attua allorché gli oggetti, o l’oggetto, vengono fatti uscire dalla sfera di custodia del detentore per farli entrare nella disponibilità di altri. Conseguentemente l’invio a mezzo fax di una pubblicazione oscena rientra nella nozione di messa in distribuzione, atteso che trattasi di espressione ricomprendente tutte le possibili modalità di diffusione (Sez. 3, 26608/2002).

Integra il reato di spettacolo osceno, ai sensi dell’art. 528, lo spettacolo osceno non presentato come tale ed avvenuto senza alcuna riservatezza, venendo così a concretarsi l’offensività criminosa della condotta. Infatti la capacità offensiva dell’osceno è condizionata dal contesto ambientale in cui è presentato; conseguentemente lo spettacolo osceno che si svolga con particolari modalità di riservatezza e di cautela in presenza di sole persone adulte non integra il reato in questione, ove il giudice di merito accerti, in relazione a dette modalità, che il comune senso del pudore non risulti offeso (Sez. 3, 135/1998).

Il commercio dell’osceno, se realizzato con particolari modalità di riservatezza e di cautela, idonee a prevenire la lesione reale o potenziale del pubblico pudore, non integra l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 528 (SU, 7/1995).

La rappresentazione di pellicole cinematografiche, a contenuto intrinsecamente osceno, in speciali sale a ciò destinate (cosiddette a luce rossa) non concretizza il reato di cui all’art. 528. Infatti la società attuale parallelamente alla evoluzione dei concetti di pudore e di osceno, riconosce che specifiche manifestazioni in particolari circostanze (luoghi aperti al pubblico, e non pubblici, sicuramente identificabili, nei quali possa essere impedito l’accesso a taluni soggetti) possano essere realizzate senza provocare lesione dei comuni sentimenti di riservatezza, decoro, pudore (Sez. 3, 14018/1987).

La figura delittuosa di cui al capoverso dell’art. 528, relativa alla pubblica esposizione di pubblicazioni oscene (nella specie: manifesti pubblicitari di film) è punita a titolo di dolo generico (Sez. 3, 756/1986).

In tema di spettacoli osceni, le riprese di un’opera cinematografica non possono in alcun modo costituire, prima del montaggio, l’elemento materiale del reato previsto dall’art. 528, in quanto ancora è ignoto se il regista le utilizzerà nella pellicola cinematografica e ancor più se saranno sinallagmaticamente funzionali ad una più lata significazione artistica, che sia idonea a scolorirne l’eventuale oscenità.

Pertanto va assegnato al montaggio il momento creativo dell’opera tanto sotto il profilo sostanziale che sotto quello delle realizzazioni artistiche, onde il momento consumativo del reato va correlato al montaggio e non alla ripresa.

Esso rileva ancor più sotto il profilo artistico, perché rappresenta il momento delle scelte, il momento in cui l’ideazione diventa creazione, in cui le scene girate sono accettate o respinte e, comunque, il momento in cui le riprese, divenute sequenze, manifestano la loro attitudine ad esprimere compiutamente il discorso voluto dal suo autore (ella specie, relativa al film «Caligola», la Suprema Corte ha annullato la sentenza del giudice d’appello, avendo ritenuto non ascrivibile al regista il fatto-reato, previsto dalla prima parte dell’art. 528, per avere realizzato le riprese oggettivamente oscene. Ed invero l’elemento psichico dell’ipotesi in questione consiste, oltreché nell’ipotesi di riprendere le immagini oscene (dolo generico), anche nello scopo di farne distinzione e, nel campo cinematografico, di farne oggetto di pubblica proiezione (dolo specifico) (Sez. 3, 5308/1984).