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Francesco De Gregori, un eroico alpino

francesco de gregori
francesco de gregori

Francesco De Gregori, un eroico alpino

 

Il 7 febbraio 1945, sulle prealpi friulane, presso le malghe di Porzûs nel piccolo comune di Faedis (Udine), iniziò una serie di esecuzioni sommarie che si concluse solo il successivo 18 febbraio. In undici giorni, furono uccisi 17 appartenenti alle Brigate Osoppo, formazioni di orientamento cattolico, laico e socialista. Quei 17 combattenti per la libertà furono uccisi da altri italiani, partigiani garibaldini. L’eccidio di Porzûs, come oggi chiamiamo quella tragedia, è uno degli eventi più controversi della resistenza, fonte di polemiche sui mandanti e sulle motivazioni.

Questo articolo non intende ripercorre quei fatti, che oggi, dopo quasi ottant’anni, sono diventati un argomento di studio più disteso, principalmente dopo la visita del Presidente della Repubblica nel 2012 a Faedis. In quell’occasione il Presidente Napolitano ha definito l'eccidio di Porzûs “tra le più pesanti ombre che siano gravate sulla (…) resistenza”, individuandone le radici in un “torbido groviglio [di] feroci ideologismi di una parte, con calcoli e pretese di dominio di una potenza straniera a danno dell'Italia, in una zona martoriata come quella del confine orientale del nostro Paese”.

Questo scritto intende ricordare una vittima di quell’eccidio, il Capitano degli Alpini Francesco De Gregori, che, con il nome di battaglia “Bolla”, era il Comandante del Gruppo delle Brigate Est della Divisione Osoppo. Il suo comando aveva sede presso alcune malghe in località Topli Uorch, nel comune di Faedis. In seguito la zona divenne nota col toponimo Porzûs, dal nome di una vicina frazione del comune di Attimis.

Francesco De Gregori era nato a Roma il 4 febbraio 1910. Oggi quel nome è noto per i successi musicali di suo nipote, l’omonimo cantautore romano. Nell’anniversario della morte, intendo ricordare lo zio del noto artista nato nel 1951, che è stato chiamato Francesco, proprio in memoria dello fratello del padre.

Era un apprezzato Ufficiale degli Alpini, che aveva frequentato l’Accademia Militare di Modena. Da Tenente dell’8° Alpini, aveva combattuto nel Regio Esercito sino dall’inizio della guerra. In particolare, sul fronte greco-albanese, si era posto subito in evidenza tanto da meritare sul campo una Medaglia di Bronzo e di una Croce di Guerra al Valor Militare. Nell’inverno 1940/41, sul fronte greco, a Mali Topoianit, quale Comandante di Compagnia, “in un momento critico del combattimento, contrattaccava animosamente il nemico con pochi elementi disponibili, riusciva a contenerlo ed a facilitare il compito ad altri reparti”, come recita la motivazione della Medaglia di Bronzo al Valor Militare concessagli.

Rimpatriato a causa di una ferita al ginocchio avuta in combattimento, per un breve periodo ricoprì un incarico da insegnante nella Scuola militare di Bassano del Grappa (Vicenza), col grado di capitano. Successivamente tornò al fronte in Albania, come addetto allo stato maggiore dell'VIII Corpo d'armata.

Alla proclamazione dell’armistizio, l'8 settembre, era in Friuli. In un clima di crescente tensione, non esitò a schierarsi contro l’oppressione nazista. Entrò nelle Brigate Osoppo-Friuli, i cosiddetti “fazzoletti verdi”. Nel multiforme panorama della resistenza, che meriterebbe un’analisi meno politicizzata, le brigate Osoppo erano formazioni autonome fondate nel Seminario Arcivescovile di Udine il 24 dicembre 1943, la vigilia di Natale. Erano volontari di ispirazione laica, socialista e cattolica, appartenenti a gruppi già attivi nella Carnia e nel Friuli. Scelsero il nome Osoppo come collegamento simbolico con il risorgimento friulano, che nel 1848 vide la città di Osoppo resistere all'assedio austriaco in una impari lotta per sette mesi. Questa formazione intendeva cooperare in autonomia con i gruppi garibaldini comunisti, per contribuire alla lotta antinazista contro gli occupanti tedeschi. A causa della complessa situazione politico-militare presente in quella regione, al centro di opposti nazionalismi e di secolari rivalità etnico-territoriali, la Osoppo ebbe rapporti conflittuali con i garibaldini, entrando in contrasto con le forze jugoslave.

Anche per la sua esperienza militare, il nostro Francesco De Gregori, prendendo il nome "Bolla", era diventato il Comandante nella Gruppo delle Brigate Est della Divisione Osoppo. In tale veste, il 24 settembre 1944 avrebbe partecipato ai colloqui intercorsi tra i combattenti della Osoppo (gli osovani), i partigiani comunisti delle brigate Garibaldi e un ufficiale jugoslavo che chiedeva il passaggio delle formazioni italiane sotto il comando slavo, con l'annessione del Friuli Orientale (dal confine al fiume Tagliamento) alla Jugoslavia. Bolla e gli osovani furono contrari, a differenza dei garibaldini che, dopo un primo tentennamento, accettarono la proposta slava. Le trattative continuarono l'11 ottobre, quando i capi garibaldini formalizzarono il passaggio sotto il comando slavo, mentre Bolla espresse un nuovo rifiuto, abbandonando le trattative. De Gregori scrisse allora un rapporto al "Comando militare Triveneto", in cui denunciò le mire annessionistiche su un ampio territorio italiano (provincia di Udine compresa, che allora includeva quella di Pordenone) da parte jugoslava, con la sostanziale acquiescenza dei comunisti italiani. Il 22 novembre 1944, avvenne un nuovo incontro tra gli osovani e gli ex garibaldini (ormai inquadrati nell'esercito jugoslavo). Gli ex-garibaldini, per bocca del commissario politico Giovanni Padoan, detto "Vanni", ribadirono la necessità che anche le formazioni osovane passassero alle dipendenze jugoslave. Come scrisse "Bolla" in un rapporto del 23 novembre, “Vanni” fece comprendere ai responsabili della Osoppo che avrebbero dovuto seguire le loro direttive e che un atteggiamento diverso sarebbe stato interpretato quale palese intenzione di indebolire il fronte comune e quindi, come tale, represso. La situazione precipitò con diversi incidenti ai danni degli osovani. In particolare il 16 gennaio 1945 tre di loro furono sequestrati e uccisi da partigiani slavi. Bolla aveva contro due nemici: i tedeschi nazisti e gli slavi comunisti. Scriveva superiormente: “Se la situazione politica esige che, malgrado tutto quello che è avvenuto, i reparti garibaldini e sloveni debbano essere ancora considerati amici, (…) i nostri reparti, nei disagi considerevoli imposti dalla stagione, vedono intorno a sé ovunque nemici”. Non avrebbe mai immaginato quello che sarebbe avvenuto a febbraio, quando gli italiani della Osoppo rimasero vittime di un folle attacco da parte di altri italiani. Infatti, il 7 febbraio 1945 un centinaio di partigiani italiani appartenenti ai battaglioni GAP "Ardito", "Amor" e "Tremenda", capeggiati da Mario Toffanin “Giacca", raggiunse Porzûs, per poi dividersi in gruppi, che raggiunsero le malghe di Topli Uorch in momenti diversi. Per superare i posti di guardia, i gappisti affermarono d'essere in parte dei partigiani sbandati a seguito di un rastrellamento, in parte civili fuggiti da un treno che li portava in Germania, attaccato dall'aviazione alleata. Giunti a contatto con gli osovani, ignari di ciò che stava per accadere, fu inviato presso di loro il partigiano Fortunato Pagnutti "Dinamite", un partigiano del quale gli osovani si fidavano, avendo già svolto l’incarico di staffetta fra i due reparti. "Dinamite" riferì di essere alla guida di un gruppo di sbandati intenzionati ad arruolarsi con i partigiani. Chiese di incontrare "Bolla". Fu così inviata una staffetta ad avvertire il comandante De Gregori, ma quando questa si fu allontanata, il gruppo degli osovani, inferiore di numero, fu fatto prigioniero. La stessa sorte toccò a "Bolla" quando giunse a sua volta sul posto. Il giovane Giovanni Comin "Gruaro", accortosi della situazione, tentò la fuga, ma fu ucciso dopo pochi passi. Catturati i restanti osovani, questi furono radunati. "Giacca" interrogò "Bolla" per farsi dire dove erano depositate armi e munizioni. Come raccontato poi dai testimoni, caricato il materiale saccheggiato sulle spalle dei prigionieri, fu formata una colonna per scendere a valle L'operazione non era finita. "Giacca", alla testa di una ventina garibaldini, rimase alla malga con Francesco De Gregori e Gastone Valente "Enea" (commissario politico delle Brigate Giustizia e Libertà). Dopo poco furono udite delle raffiche. Era la fine di "Bolla" ed "Enea". I loro corpi furono poi trasfigurati, pugnalati e sputacchiati. Così veniva ucciso, a 45 anni appena compiuti, il Capitano degli Alpini Francesco De Gregori “Bolla”.

Altri 15 partigiani della Osoppo furono fucilati fino al 18 febbraio 1945 in quella zona: tra questi Guido Pasolini "Ermes", fratello di Pier Paolo.

Alla memoria di Francesco De Gregori è stata concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: «Soldato fedele e deciso, animato da vivo amor di Patria, dopo lo armistizio prodigava ogni sua attività alla lotta di liberazione organizzando, animando e guidando da posti di responsabilità e di comando il movimento partigiano nella Carnia e nella zona montana ad est del Tagliamento. Comandante capace e soldato valoroso, dopo essersi ripetutamente affermato in numerosi combattimenti, si distingueva particolarmente durante la dura offensiva condotta da preponderanti forze tedesche alla fine di settembre 1944 nella zona montana del Torre Natisone. In condizioni particolarmente difficili di tempo e di ambiente, fermo, deciso e coraggioso riaffermava l’italianità della regione e la intangibilità dei confini della Patria. Cadeva vittima della tragica situazione creata dal fascismo ed alimentata dall’oppressore tedesco in quel martoriato lembo d’Italia dove il comune spirito patriottico non sempre riusciva a fondere in un sol blocco le forze della Resistenza

Nei giorni seguenti all'eccidio, scoperto da alcuni abitanti del luogo, le notizie si accavallarono confuse: la federazione del PCI di Udine fece circolare la voce secondo la quale l'attacco fosse opera di forze tedesche. Il 10 febbraio Toffanin “Giacca” stilò una relazione indirizzata alla federazione comunista di Udine e al comando del IX Korpus sloveno, in cui sostenne che l'esecuzione aveva avuto «pieno consenso della federazione del partito», accusando i partigiani della Osoppo di essere traditori venduti ai tedeschi.

L'eccidio ebbe seguiti giudiziari con un lungo processo, che si concluse con pesanti pene, peraltro in grandissima parte non scontate per i vari provvedimenti di amnistia e indulto che si susseguirono dopo la guerra. Gli imputati furono 51, ma 18 erano da tempo fuggiti in Jugoslavia o in Cecoslovacchia: fra questi Mario Toffanin "Giacca".

Dopo vari trasferimenti di sede, la Corte d’assise di Lucca il 6 aprile 1952 emise la prima sentenza con dure condanne per i garibaldini. In totale, oltre ai tre ergastoli, furono irrogati più di 704 anni di reclusione. Il processo di secondo grado si svolse presso la corte d'assise d'appello di Firenze. La sentenza del 30 aprile 1954 decretò che «la strage (…) fu un atto tendente a porre una parte del territorio italiano sotto la sovranità jugoslava». La corte si pronunciò anche in merito alle accuse di collaborazionismo mosse alla Osoppo da Toffanin, concludendo che non esistesse alcuna prova in tal senso e rimarcando non solo l'inesistenza di accordi con tedeschi e fascisti, ma anche la «profonda avversione verso il nazifascismo» di Bolla. Furono confermate le pene inflitte a Lucca. La sentenza fu poi confermata nel 1957 in Cassazione.

L’11 luglio 1959 fu emanato un decreto presidenziale di amnistia che coprì anche i reati di natura politica, intendendo con ciò anche ogni delitto comune determinato– in tutto o in parte– da motivi politici. Pur avendone titolo ai sensi dell'art. 14 del citato decreto, nessun condannato esercitò il diritto alla rinuncia al beneficio al fine di farsi giudicare. Fu l'ultimo della lunga catena di atti processuali relativi alle vicende legate all'eccidio di Porzûs.

Ad ormai quasi 80 anni da quei fatti, ricordiamo il Capitano Francesco De Gregori, uno dei tanti militari morti nella guerra di liberazione, con l’auspicio che il lettore che ha avuto la pazienza di leggere tutto questo mio articolo, possa riappropriarsi, al di là dei revisionismi, di una Storia fatta di eroismo italiano, purtroppo spesso rimosso. Gli Esempi come Francesco De Gregori e gli altri Militari che ho ricordato in questa mia rubrica erano Uomini, che non sognavano un mondo senza armi e senza guerra. Sono Uomini morti, al contrario, per una Nazione, per difendere Valori, per ideali che oggi in tanti sono liberi di ritenere superflui o retrogradi. Mi auguro che questo articolo possa restituire il Comandante “Bolla” nella sua autenticità, senza polemiche e senza che nessuno se ne serva per sbandierare “concetti ideologici” appartenuti a totalitarismi, fortunatamente condannati dalla Storia.