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Operazioni soggettivamente inesistenti

Tramonto a Venezia, Monet, Bridgestone museum of art Tokyo, 1908
Tramonto a Venezia, Monet, Bridgestone museum of art Tokyo, 1908

I costi delle operazioni soggettivamente inesistenti sono sempre deducibili per il solo fatto di essere stati sostenuti, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. Ai fini IVA, invece, per il recupero della detrazione, l’Amministrazione ha l’onere di provare, la fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario.

 

1. Premessa

2. Operazioni soggettivamente inesistenti 

3. Deducibilità dei costi e detraibilità dell’Iva

4. Ordinanza della corte di cassazione, 14 novembre 2018, n. 29319

 

 

1. Premessa

Le fatture per operazioni inesistenti possono riguardare diversi aspetti e, in particolare, occorre distinguere tra la falsità oggettiva (operazione mai posta in essere, che non esiste in rerum natura) e la falsità soggettiva, relativa a operazioni effettuate da soggetti diversi rispetto a quelli che hanno emesso il documento fiscale.

Orbene, con il presente elaborato si analizzeranno più specificamente le problematiche connesse alle operazioni soggettivamente inesistenti.

 

2. Operazioni soggettivamente inesistenti 

Con la nozione di operazioni soggettivamente inesistenti si fa riferimento ai casi in cui la transazione commerciale sia stata effettivamente effettuata, ma il fornitore reale risulta essere differente da quello che appare e che ha emesso la fattura.

Di fatto, alla prova documentale che attesta che la prestazione sia stata svolta dal soggetto che ha emesso la fattura, si sovrappone il fatto che la prestazione sia stata realmente effettuata, ma da altro soggetto tanto da determinare una vera e propria divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.

La falsità delle fatture ha, dunque, carattere soggettivo quando l’operazione è stata effettivamente posta in essere, ma tra soggetti diversi da quelli figuranti cartolarmente come parti del rapporto. Ciò, in quanto anche la falsa indicazione dell’emittente e/o del destinatario della fattura va ad inficiare la veridicità dell’attestazione documentale della transazione, permettendo all’utilizzatore di portare in deduzione costi effettivamente sostenuti e, tuttavia, non documentati o non documentabili ufficialmente per varie ragioni.

 

3. Deducibilità dei costi e detraibilità dell’Iva

In tema di operazioni soggettivamente inesistenti occorre rilevare come, a seguito del Decreto Legge n. 16/2012, il legislatore abbia riconosciuto la piena deducibilità dei costi sostenuti.

Nello specifico, l’articolo 8, primo comma, del D.L. n. 16/2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44/2012), il quale ha modificato l’articolo 14, co. 4-bis, della legge n. 537/1993, ha ristretto l’area di indeducibilità dei “costi da reato” ai soli costi “direttamente utilizzati” per il compimento di atti qualificabili come delitto non colposo e alla condizione che per tale fattispecie il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale con l’espressa attribuzione di efficacia retroattiva alla intervenuta modifica normativa, di talché la citata disposizione ha lo specifico effetto di escludere l’indeducibilità dei costi esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, salvo aggiungere, cripticamente, che “ove del caso” l’indeducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente false può comunque discendere dall’applicabilità di altre disposizioni normative “inerenti i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinabilità” con evidente richiamo ai requisiti previsti per i componenti negativi o positivi del reddito di impresa dall’articolo 109, primo comma, del T.U.I.R.

Di conseguenza, si può sostenere che sono sempre deducibili i costi relativi a fatture emesse da un soggetto diverso da quello che ha realmente effettuato la prestazione o la cessione del bene, a condizione, però, che ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal T.U.I.R. (articolo 109).

Pertanto, sebbene i costi rappresentati da fatture soggettivamente inesistenti non siano, per ciò stesso, riconducibili a quelli direttamente utilizzati per il compimento dei delitti e, quindi, non ricadano, di regola, nel campo di applicazione della disposizione in esame, la loro deducibilità è comunque subordinata all’esistenza dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità previsti dal T.U.I.R..

Con specifico riferimento alla detraibilità dell’Iva, invece, si rileva che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, si è giunti a ritenere che l’Amministrazione ha sempre l’obbligo di provare l’inesistenza soggettiva di un’operazione e la conoscenza (o conoscibilità) da parte del cessionario della frode; l’acquirente, invece, dal canto suo, per detrarre l’Iva assolta sugli acquisti, ha l’onere di provare l’incolpevole affidamento e quindi la propria buona fede.

 

4. Ordinanza della corte di cassazione, 14 novembre 2018, n. 29319

Nonostante l’introduzione della modifica legislativa al co. 4 bis dell’articolo14 cit., da parte dell’articolo 8 D.L. n.16/2012, non è stato sopito il contrasto tra contribuente e Fisco sulla questione relativa alla deducibilità dei costi e detraibilità dell’Iva nelle operazioni soggettivamente inesistenti.

In tal senso, la Corte di Cassazione (in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale), con l’Ordinanza n. 29319 del 14/11/2018, ha chiarito quali sono i presupposti connessi alla possibile deducibilità dei costi e la modalità di ripartizione dell’onere probatorio in caso di detraibilità dell’Iva, nelle ipotesi di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti.

Orbene, con specifico riferimento alla deducibilità dei costi, i giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, hanno inteso chiarire che: “(…), in tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 24 dicembre 1993, n. 537, articolo 14, comma 4 bis, (nella formulazione introdotta con il Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, articolo 8, comma 1, convertito in L. 26 aprile 2012, n. 44), che opera, in ragione del precedente comma 3, quale jus superveniens con efficacia retroattiva in bonam partem, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (Cassazione 17 dicembre 2014, n. 26461).

In sostanza, a parere del Supremo Consesso, i costi relativi a operazioni commerciali inesistenti relativi a beni acquistati a fini di commercializzazione (non già per commettere reato) possono essere sempre portati in deduzione dall'acquirente anche quando quest'ultimo sia a conoscenza del carattere fraudolento delle operazioni in contestazione, purchè tali costi siano stati effettivamente sostenuti e correttamente imputati al conto economico dell’esercizio di competenza, a prescindere dall’eventuale falsità ideologica delle relative fatture.

In tema di detraibilità dell’iva, invece, i giudici di legittimità hanno confermato il principio secondo cui se viene contestata l’inesistenza soggettiva dell’operazione grava preliminarmente sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, l’interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa. Spetta, invece, al contribuente che intende esercitare la detrazione, dimostrare l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale ingenerato dalla condotta del cedente.

In altre parole, l’Ufficio deve dimostrare che il contribuente “sapeva o avrebbe dovuto sapere” che con il proprio acquisto partecipava ad una frode. A tal fine, occorre dare prova che il soggetto era direttamente coinvolto nel fatto illecito ovvero fornendo prova della consapevolezza circa le violazioni commesse dal cedente. Solo una volta assolto tale onere probatorio, si riversa sul contribuente dimostrare che, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, era impossibile scoprire la frode.

Sul punto, la Suprema Corte ha, infatti, sancito che: “in tema d'Iva, l'Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell'ambito di una frode carosello, ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cassazione 18 maggio 2018, n. 12258; Cassazione 9 settembre 2016, n. 17818; Cassazione 5 dicembre 2014, n. 25778); che ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cassazione 20 aprile 2018, n. 9851) (…) che l'onere dell'Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario va ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obiettivi e specifici, che spetta all'Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l'operazione si inseriva in una evasione all'Iva e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell'ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell'affare e afferenti alla sua sfera di azione (Cassazione 20 aprile 2018, n. 9851)”;

In definitiva, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, la Suprema Corte di Cassazione, ha chiarito che i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti sono sempre deducibili per il solo fatto di essere stati sostenuti, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. Ai fini IVA, invece, per il recupero della detrazione, l’Amministrazione ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario; solo successivamente, si sposta sul contribuente l’onere di dimostrare di aver adoperato tutti gli strumenti necessari per non essere coinvolto in un disegno fraudolento.