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Simone Weil

Per un pensiero delle radici
Simone Weil
Simone Weil

Da più parti,  grazie alla maggiore presa di coscienza delle nuove sfide sempre più globali che ci attendono, si avverte prepotentemente il bisogno di pensare e di agire in base a nuovi criteri che abbandonino le illusioni di certa modernità orientata a trovare per questioni  che sono sempre di per sé complesse soluzioni ad una dimensione; di fronte al sistematico fallimento delle diverse impalcature concettuali di vario ordine costruite, da quella più propriamente concettuale a quella socio-economica, non potevano non sorgere derive di natura nichilistica che hanno investito l’uomo nel suo complesso col portarlo ad essere, come affermava negli anni ’30 quella singolare figura che è stata Simone Weil (1909-1943), ad essere “una cosa” tra le cose per il fatto  che  vengono a stabilirsi dei “rapporti al di fuori dello spirito” donde la necessità di “mettersi alla ricerca, non della tecnica che dà maggior rendimento, ma della tecnica che dà maggiore libertà”.

Per evitare che il pensiero e con esso il soggetto che lo produce continuino a inaridirsi smarrendosi nelle sabbie molli dei nuovi problemi che emergono in ogni contesto, occorre avere il coraggio di immettere nel mercato delle idee, che poi a dirla con Karl Popper camminano nelle teste degli uomini dovunque essi operano, visioni del mondo o Weltanschauungen, nel senso tedesco del termine; esse si possono valutare in funzione delle capacità che hanno nel tenere conto il più possibile delle molteplici ragioni del reale, delle sue “rugosità o contraddizioni”, come le chiamava Simone Weil che invitava ad “abitarle” in prima persona per irrobustire le nostre difese razionali e per mettere in campo tecniche di libertà che partono dalla coscienza individuale (come i problemi ambientali) e che spesso il pensiero collettivo che si impone tende a renderle innocue passando nelle stesse “cose” in uso col renderle dei puri fini quando sono solo dei mezzi (macchine, robot, computer, ecc.).

Per evitare la dittature delle cose, quel paradosso a cui ha condotto certa modernità che “la cosa pensa, e l’uomo  è ridotto allo stato di cosa”, e che ha infettato le stesse democrazie  occidentali col renderle sempre più fragili come ha denunciato già negli anni ’50 il mass-mediologo Herbert M. McLuhan, è necessario lavorare nelle pieghe nascoste, non facilmente percepibili, dei fatti umani e nella loro stretta interdipendenza per la Weil che ha tratto tutte queste sue considerazioni da una spietata analisi delle cause che hanno portato alla crisi economica del ’29 e al sorgere di una delle prime forme di capitalismo finanziario e del taylorismo, all’ascesa dei regimi totalitari,  alla degenerazione burocratica della Rivoluzione d’ottobre e di altre istituzioni secolari;

in più, ed è ciò che rende il percorso weiliano ancora vivo ed interessante per l’oggi, è il fatto che quella che Albert Camus chiamava “follia di verità” in esso implicita, si trasforma in vita: una verità faticosamente colta dentro le contraddizioni, appunto perché si salda con le radici del reale, viene “trasformata in vita, diventa vita”.

Se riusciamo  a dare ascolto alle diverse voci del reale che ci circonda senza ‘mentire’ su di esso, agiamo più responsabilmente sia individualmente che collettivamente, ma questo processo di riforma del pensiero o meglio di sua rigenerazione in quanto investe chi lo produce ha bisogno di trovare ‘nuove radici’ a cui oggi più che mai è invitata l’intera umanità a farsi carico in quanto per la prima volta nella storia essa viene a scontrarsi con quelle che Michel Serres, studioso della Weil, ha chiamato recentemente “totalità viventi”, come la terra, la vita, il clima, l’ambiente ed oggi anche il cosmo che stanno per entrare nelle Costituzioni o meglio in una Costituzione mondiale come portatori e soggetti di diritto; e questo perché se sino a qualche decennio fa abbiamo coniugato  solo il verbo ‘potere’ grazie alla tecnica e alla visione antropocentrica che la sorregge, oggi è arrivato il tempo di coniugare tale verbo col verbo ‘dovere’ nei confronti di tali reali col rispettarne l’integrità. Ritorna ancora una volta in tutta la sua cogenza il mito greco di Prometeo che per amore verso gli uomini dà loro sì il fuoco, ma anche la norma, la legge per tenerlo sotto controllo e per riorientare tale strategica tecnica, aspetto questo che spesso viene dimenticato.

Simone Weil, grande lettrice ed interprete del mondo greco e coniugato con le tragiche vicende del primo Novecento, negli ultimi mesi della sua vita a Londra e su invito degli appartenenti alla Resistenza francese, porta a termine il suo lavoro più organico dal significativo titolo L’Enracinement, dove da una parte si dà voce a tutti coloro che sono state vittime delle varie forme di oppressione e dall’altra si offrono le basi di una rifondazione morale e spirituale dei paesi europei e non solo; in tale opera, quasi un testamento come massima coscienza delle “verità trasformate in vita” per gli altri, vengono enucleati principi e norme a cui si devono attenere le diverse istituzioni, dai singoli stati agli organismi internazionali, che hanno il primario obbligo di progettare politiche di ampio raggio in grado di prevenire futuri disastri e di offrire una più giusta distribuzione delle risorse a disposizione col rispettare ogni “totalità vivente” e le sue logiche.  

Pertanto, è ritenuto necessario lavorare a trovare “nuove radici” nel campo dell’intero umano che deve s’enraciner in ogni contesto, nessuno escluso da quello religioso a quello economico, da quello sociale a quello politico con la coscienza critica che solo in tal modo possono venire fuori progetti alternativi e nello stesso tempo innovativi;

non sarà dunque un caso se prima Adriano Olivetti e poi il futuro Giovanni XXIII si siano abbeverati alla sua fonte col portare avanti nei rispettivi campi dei significativi cambiamenti strutturali.

Ciò che chiaramente emerge dall’engagement a largo raggio di Simone Weil è questo bisogno oggi da più parti avvertito di ridisegnare i contorni dell’umano, di offrirci delle visioni del mondo che, forti del non comune possesso razionale delle plurilogiche del reale, possano incidere sul nostro destino col farci capire che non siamo solo responsabili di noi stessi ma di tutto ciò che ci circonda; ecco perché nei suoi scritti si ripete spesso che più conosciamo, che prima di tutto è un ‘dovere’ a cui non possiamo sottrarci, più diventiamo responsabili e nel creare e coltivare le necessarie condizioni etico-conoscitive, più siamo aperti alla speranza di cambiare le cose di questo mondo con la coscienza di essere sulla “stessa barca” a dirla con Papa Francesco, speranza che senza di esse si riduce ad essere un mero utopismo col creare le premesse di ulteriori illusioni e invitabili conflitti che questa volta possono rivelarsi più distruttivi rispetto al passato. Simone Weil molto umilmente ci conduce quasi per mano e con pazienza ad entrare in questa mondovisione ed ‘abitarla’ con rinnovato spirito cosmopolita, ci invita a ivi installarci con le uniche armi che abbiamo, quelle della ragione cosciente però dei suoi limiti, e a gestirne le inevitabili contraddizioni, che poi sono il perno della vita e non solo del pensiero.