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Circle

Dalla parola alla pratica, anche nel contesto lavorativo
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Circle”: vocabolo inglese che può essere tradotto in italiano, letteralmente, con cerchio o circolo.

Cominciamo con l’esplorare il significato di circle a partire proprio dalla traduzione nella lingua italiana. Il cerchio richiama l’idea della figura geometrica in cui non c’è inizio né fine ma movimento perenne: da un qualunque punto di partenza vi è ritorno al punto iniziale. Analogo significato, con connotazioni anche metaforiche, è veicolato dalla parola circolo: assenza di opposizioni o cesure e quindi unità e coesione, date da comunanza di interessi, attività o forme di riconoscimento reciproco.

Nel contesto della giustizia riparativa circle è parola che si fa termine: indica una modalità ancestrale di conduzione del dialogo nella comunità per la gestione di conflitti interpersonali o tra gruppi, in ottica riconciliativa o riparativa.

È modalità dialogica che implica una precisa organizzazione dello spazio e dei tempi per la parola e per l’ascolto. Si è seduti in cerchio secondo un approccio “sinodale” di interazione; c’è un “circle keeper” (in sostanza, un facilitatore) che assicura il rispetto delle regole minime atte a promuovere un dialogo generativo e onesto tra i partecipanti. Normalmente, coloro che partecipano a un circle fanno ricorso al “talking peace”: un oggetto simbolico che viene passato di mano in mano affinché ciascuno abbia garantito uno spazio di parola e di ascolto. Il talking peace ricevuto avvia idealmente il tempo per poter parlare: non un tempo infinito ma ragionevole (indicato inizialmente dal facilitatore), “protetto” da interruzioni e libero perché in quel tempo è consentito di restare in silenzio, di offrire un sorriso, di lasciare che parlino le mani, gli occhi o le lacrime.

I facilitatori conoscono bene la forza comunicativa ed emozionale che si attiva in un circle, anche solo grazie alla organizzazione spaziale del dialogo. Mentre il tavolo o la scrivania richiamano confronti oppositivi, secondo la logica io/tu, noi/voi, il circle consente di creare un nuovo “noi” composto dalle persone che scelgono di parlarsi, accettando i valori etici sottesi a tale modalità dialogica.

Per tutte queste ragioni, “circle” è tra quelle parole parzialmente intraducibili in italiano: cerchio o circolo hanno infatti proiezioni di significato inapplicabili al dialogo comunitario. Chi si occupa di gestione dei conflitti ricorre per lo più al prestito linguistico – lasciando circle tal quale – oppure procede a un adattamento linguistico attraverso la locuzione “dialogo riparativo”.

La tecnica del circle chiede attenzioni e cautele, formazione e sensibilità: non basta sedersi in cerchio per fare un circle.

Non c’è circle se manca la disposizione d’animo giusta all’incontro, se il facilitatore è improvvisato o inadeguato, se qualcuno non sta alle regole dell’ascolto rispettoso e della parola generativa, se c’è chi interrompe, prevarica, grida o fa in modo che le parole vengano dette per coprire altre parole.

Il circle chiede una preparazione dello spazio semplice e attenta, in cui i valori del dialogo, del rispetto, della dignità, della trasparenza rappresentano trama e ordito dell’etica dell’agire, e richiede attenzione nell’individuazione del tempo opportuno.

 

Circle... sul posto di lavoro?

Tale metodo, sperimentato per la gestione degli effetti di conflitti gravi, anche potenzialmente distruttivi, potrebbe essere proficuamente utilizzato nei luoghi di lavoro?

Senz’altro sì, a condizione che si lavori anzitutto per creare un clima favorevole a tale modalità dialogica – cosa di per sé nient’affatto facile soprattutto in organizzazioni fortemente piramidali – e si desideri optare per soluzioni il più possibile condivise rispetto a questioni che coinvolgono più persone. Indispensabile è la previa sensibilizzazione del gruppo e la formazione di coloro che ricopriranno il ruolo di facilitatori (specie se si opera tra pari). Il circle, prima ancora che una tecnica, è infatti la capacità di abitare forme di gestione democratica di ciò che è sentito come comune e che attiene alle relazioni interpersonali, abbiano o meno una componente lavorativa

In tempi di parole urlate, di nuovi autoritarismi, di stili prevaricatori e di giudizi tranchant, il circle, pur essendo uno strumento antico e, per certi aspetti, premoderno, si rivela, in definitiva, capace di grande modernità. Ciò vale anche e forse soprattutto nella gestione delle sfide poste da dinamiche lavorative in cui il fattore umano e la componente relazionale sono fondamentali, e quando scelte decisionali o linee di policy hanno effetti su una pluralità di persone.