Distanza
Distanza
Letteralmente, distanza è lo spazio che separa fra loro due luoghi, due oggetti, due persone. Spesso è oggetto di misura e, forse proprio in virtù dell’esigenza di misurazione, la distanza è anche ciò che mette in relazione due entità, le collega e, idealmente, le unisce. Ne è una conferma l’accezione matematica del termine: la distanza tra due punti è la lunghezza del segmento di retta che li unisce.
Mai come durante la pandemia da coronavirus, è stata utilizzata la parola “distanza”, anche in diverse locuzioni: lavoro a distanza, didattica a distanza (ormai entrata nel lessico comune attraverso l’acronimo DAD), formazione a distanza (FAD), distanziamento fisico, distanziamento sociale. Vissute con fatica, con insofferenza o con disagio, le varie forme di attività “a distanza” sembrano ormai destinate a una graduale regressione applicativa. A poco più di due anni dall’inizio della pandemia, in particolare in ambito scolastico e universitario, si sente il bisogno di ritornare “in presenza”. Molti reclamano la presenza come antidoto alla distanza che, secondo la percezione comune, è stata vettore di separazione; altri desiderano semplicemente che tutto torni come prima, auspicando una piena restaurazione della didattica e del lavoro in presenza e abbandonando definitivamente la DAD.
Credo, tuttavia, che la polarità oppositiva tra distanza e presenza quali espressione, rispettivamente, di separazione e vicinanza sia un mito da sfatare.
Cominciamo con il ripensare alla funzione che hanno avuto il lavoro a distanza e la didattica a distanza negli ultimi due anni: hanno permesso di continuare a lavorare e a studiare, nonostante tutto. Gli studenti hanno potuto proseguire il percorso di studi, interloquire con i docenti, laurearsi. In breve: hanno avuto la possibilità di non avere una cesura netta nel percorso di vita a causa delle restrizioni sanitarie legate alla pandemia. I lavoratori hanno potuto continuare ad operare per il bene di tutti.
Se siamo consapevoli di tutto ciò possiamo renderci conto agevolmente come il lavoro a distanza e la didattica a distanza abbiano comunque consentito il dialogo, il mantenere una relazione lavorativa, scientifica, didattica o interpersonale, “annullando”, per il tramite della tecnologia, la distanza fisica.
A una riflessione più attenta, poter operare a distanza, almeno nella didattica universitaria, si è rivelato, forse inaspettatamente, una dinamica democratica e inclusiva. Molti studenti, durante la pandemia, hanno rivelato che proprio la modalità a distanza ha permesso loro di non interrompere il corso di studi, altri hanno dichiarato che l’abbattimento dei tempi e dei costi per raggiungere la sede universitaria ha facilitato la frequenza delle lezioni; gli studenti con disabilità motoria hanno talvolta vissuto con sollievo il non doversi recare tutti i giorni in università; quelli con disturbi specifici dell’apprendimento hanno riferito un miglioramento nell’apprendimento grazie ai materiali didattici caricati su piattaforma e-learning alla possibilità di ascoltare più volte le lezioni registrate dal docente.
Certo, è mancata la prossimità fisica, il vedersi in carne e ossa, la possibilità di relazionarsi negli spazi comuni e nell’intervallo tra le lezioni, l’abitare spazi condivisi, aule, chiostri, caffetteria, è mancato il dialogo informale in cui il non verbale predomina sulle parole.
Nonostante ciò, sono convinta che operare a distanza ci abbia permesso di continuare a vivere, il che vuol dire a lavorare, a studiare, a fare progetti, a partecipare ad eventi; in sintesi, ha consentito di riappropriarci di quelle dinamiche interpersonali e sociali che sono trama e ordito nel nostro tessuto relazionale che altrimenti ci sarebbero state negate.
La distanza, allora, può essere guardata con occhi diversi.
Ne sono diventata consapevole dialogando con gli studenti del corso di Giustizia riparativa all’Università degli Studi dell’Insubria, quando abbiamo progettato dei circle time in presenza, sia a scopo didattico (per sperimentare come si facilita il dialogo), sia per vivere insieme uno spazio di parola e di ascolto volto a condividere motivazioni, vissuti o mondi simbolici. Gli studenti impossibilitati a partecipare in presenza hanno espresso il desiderio di ritrovarsi in un apposito circle creato per loro a distanza, quasi reclamandone il “diritto”. Da questa richiesta, da me ovviamente accolta, trapelava il desiderio di essere partecipi, di sperimentare comunque uno spazio di ascolto e dialogo per sentirsi comunque in relazione.
Ho capito che lavorare a distanza può davvero rappresentare una modalità accogliente e inclusiva. E che, alla fine, non sono la distanza o la presenza a fare la differenza: lo è la nostra capacità di costruire relazioni e di abitare spazi di dialogo e incontro, non importa se fisici o virtuali.
Distanza e presenza sono una coppia di opposti più apparente che reale. Prendere posizione a favore dell’una o dell’altra modalità di lavorare o di fare didattica è talvolta puramente ideologico. La vera questione è capire come promuovere l’essere in relazione, come ascoltarsi e parlarsi, come incontrarsi “vedendosi” davvero. Senza contare che modulare saggiamente le leve della distanza aiuta in modo concreto la sostenibilità, che non è solo ambientale, o prevalentemente ambientale, ma, anche etica, democratica e relazionale.