CAPO III - ATTI SUCCESSIVI ALLA DELIBERAZIONE
Riferimenti alle norme di attuazione
Art. 154 Att: (redazione non immediata dei motivi della sentenza)
Art. 154-bis Att: (liberazione dell’imputato prosciolto)
Art. 154-ter Att: (comunicazione della sentenza)
Note introduttive
Le norme del Capo III disciplinano la sequenza delle attività da compiere dopo la decisione del giudizio.
Il presidente redige e sottoscrive il dispositivo cui segue la stesura della motivazione che può essere immediata ovvero differita entro i termini di legge (comunque ordinatori).
La sentenza deve complessivamente assicurare i requisiti prescritti dall’art. 546 ed è poi pubblicata e depositata.
Tra gli elementi che compongono la sentenza, spicca per importanza la motivazione, o meglio “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata”, come la definisce il legislatore. È per suo tramite, infatti, che si adempie l’obbligo costituzionale (art. 111 comma 6) di motivare tutti i provvedimenti giurisdizionali, consentendo così ai loro destinatari di comprendere le ragioni della decisione che li ha riguardati e, ove lo ritengano e ve ne sia ancora la possibilità, di contestarla in modo appropriato e pertinente e, ulteriormente, permettendo all’intera comunità, nel cui nome i giudici emettono le sentenze, di verificare in che modo costoro adempiono al loro mandato.
L’art. 1 comma 52 della L. 103/2017 ha modificato il comma 1 lettera e) dell’art. 546 in tema di motivazione.
Per effetto della riforma, il giudice deve esporre sinteticamente i motivi di fatto e diritto della sentenza, i risultati conoscitivi acquisiti e i criteri probatori adottati e le ragioni per le quali ritiene inattendibili le prove contrarie in riferimento ai fatti oggetto di prova come definiti dall’art. 187.
Il legislatore ha provato in tal modo a costruire un vero e proprio modello legale della motivazione cui fa da contraltare l’art. 581 che disciplina le forme dell’impugnazione e addossa un onere di uguale accuratezza a chi contesti una decisione giudiziaria.
Il successo della riforma è legato a un deciso cambio di passo della prassi giudiziaria e all’aggiornamento di consolidati indirizzi interpretativi.
Occorre cioè che il giudice avverta la motivazione non più come il “luogo” delle enunciazioni astratte e di principio ma come lo strumento che giustifica l’uso del suo potere discrezionale attraverso solidi riferimenti a ciò che è realmente avvenuto nel giudizio, al significato che ha attribuito (individualmente e nel loro complesso) alle conoscenze acquisite e ai criteri valutativi che ha adoperato a tal fine.
Occorre ancora un’attenzione ben più elevata dell’attuale al programma probatorio delle parti private, la difesa dell’imputato in primo luogo, e quindi un confronto vero e non di maniera con i risultati che quel programma ha prodotto.
Serve infine una diversa sensibilità giurisprudenziale. Si ha in più di un caso l’impressione, soprattutto per la giurisprudenza di legittimità, che esigenze funzionali (lo scopo nomofilattico) unite a bisogni concreti (l’impossibilità di far fronte all’abnorme numero di ricorsi senza ridurre l’accuratezza valutativa) stiano sopraffacendo il compito, che pure spetta alla Corte di Cassazione, di giudice del caso concreto. Non certo, ed impropriamente, come giudice di terza istanza, ma come istanza giudiziaria che non si ritrae dal confronto col giudizio e i suoi risultati, che rifugge da canoni di ammissibilità sempre più restrittivi, che non addossa al ricorrente oneri dimostrativi che vanno oltre le sue forze e, talvolta, anche oltre ciò che la stessa legge richiede.