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End of waste criteria: le nuove linee guida europee per la cessazione della qualifica di rifiuto nel report dell’Institute for perspective technological studies di Siviglia (IPTS)

Finalmente criteri precisi per individuare quando un materiale di scarto cessa di essere rifiuto. E’ questo uno dei contenuti essenziali della direttiva 2008/98/CE, adottata dal Consiglio il 20 ottobre 2008 ed entrata in vigore dal 12 dicembre dello stesso anno[1]. La necessità di questo intervento, dopo più di trent’anni di sostanziale immobilità normativa dalla prima direttiva quadro in materia di rifiuti risalente al 1975, era stata riconosciuta dalla stessa Commissione[2], in quanto l’incertezza legislativa (in particolare riguardo ad alcune definizioni chiave come quella di rifiuto, recupero e smaltimento), rimasta irrisolta anche dopo l’ultima recente novella del 2006[3], stava compromettendo il regolare funzionamento del mercato interno. Diverse interpretazioni su base nazionale (o addirittura regionale) insieme ad una giurisprudenza frammentaria e contraddittoria avevano infatti costituito un pesante disincentivo agli investimenti necessari per conseguire i più efficienti processi di produzione a ciclo chiuso e quella “società europea del riciclaggio” inserita tra gli obiettivi “manifesto” della nuova direttiva[4].

Pietra angolare di questa novella è dunque la definizione di “rifiuto”. Secondo la precedente definizione contenuta nella direttiva quadro 2006/12/CE, si considerava rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi” (art. 1, lett. a)[5]. Sulla modifica e precisazione di questa scelta normativa si è giocata una partita politica tra i sostenitori di un’interpretazione estensiva e quelli di un’interpretazione restrittiva del concetto, entrambe predicate in modo alterno da un’incerta giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (CGE). La prima soluzione è operativamente la più semplice in quanto, al fine di garantire la tutela dell’ambiente e della salute umana, include nella definizione di rifiuto (e quindi avvia allo smaltimento) anche sostanze fatte oggetto di operazioni di recupero, come stabilito ad esempio in Euro Tombesi[6] e Inter-Environnement Wallonie v Regione Wallone[7]. Un’interpretazione restrittiva, d’altra parte, promuove gli sforzi dei produttori tesi ad incrementare il ricorso al riciclaggio e al riutilizzo, riducendo gli oneri economici e burocratici necessari per riclassificare un rifiuto come prodotto[8].

La nuova definizione di rifiuto disciplina in due parti distinte l’ingresso e l’uscita di una sostanza dalla categoria dei rifiuti. La prima parte - dedicata all’origine del rifiuto - riprende sostanzialmente l’art. 1, lett. a della direttiva 2006/12/CE (ma senza il riferimento all’Allegato I) (art. 3, comma 1). La seconda parte contiene invece l’elemento più originale, affrontando per la prima volta in modo diretto la cessazione dello status di rifiuto (end of waste). L’art. 6, comma 1 stabilisce quattro requisiti generali che un rifiuto deve soddisfare al termine dell’operazione di recupero per non essere più considerato tale. In particolare il prodotto così ricavato deve:

a) offrire un utilizzo comune per determinati scopi specifici;

b) avere un mercato o una domanda;

c) soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici cui è destinato e rispettare la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e

d) non comportare con il suo utilizzo degli impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Questi criteri generali necessitano evidentemente di ulteriori specificazioni per diventare operativi. A questo scopo lo stesso art. 6 prevedeva che la Commissione sviluppasse – attraverso il procedimento della comitologia – criteri comunitari più specifici per l’end of waste (comma 2). Negli spazi lasciati vuoti dalla normativa europea, sarà invece possibile per gli Stati membri decidere “caso per caso” quando un determinato rifiuto cessi di essere tale (comma 4), sempre tenendo conto di quanto indicato dalla giurisprudenza applicabile. Un’interpretazione ragionevole della locuzione “caso per caso” è già stata autorevolmente avanzata in dottrina[9] – anche sulla base dei successivi lavori della Commissione – nel senso di riferirla a singole tipologie di rifiuti.

Per fornire il complesso supporto tecnico necessario all’elaborazione di specifici criteri end of waste riferibili a ciascuna tipologia di rifiuti, la Commissione ha conferito all’Institute for Perspective Technological Studies di Siviglia (IPTS) l’incarico di elaborare questi criteri per alcune tipologie di rifiuti il cui recupero appare particolarmente promettente su un piano ambientale ed economico. Lo scopo principale è di fornire un modello per la successiva attività di normazione comunitaria e nazionale. Il report, consegnato in bozza nell’estate del 2008, e presentato a settembre nella versione definitiva, è un testo di 300 pagine divisibili in due parti: una prima più breve destinata a proporre una metodologia generale per l’elaborazione dei criteri e la seconda riservata ai casi studio specifici[10]. Di seguito si cercherà di fornire un breve sunto della parte generale.

Il quadro normativo di riferimento è, oltre alla nuova direttiva quadro sui rifiuti 2008/98, la “strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti” elaborata dalla Commissione nel 2005[11]. L’obiettivo concreto ultimo di questi recenti interventi normativi viene individuato nell’incentivazione delle operazioni di riciclo e riutilizzo che rispondano ad un elevato standard di qualità, dimodoché ne risulti un meccanismo di recupero dei rifiuti meno formale il cui esito sia certo per i produttori e sicuro anche agli occhi dei consumatori. La fissazione di uno standard di qualità più elevato per il nuovo meccanismo di end of waste non significa però negare ai materiali che non lo soddisfino la possibilità di essere riciclati o riutilizzati rimanendo soggetti alla disciplina dei rifiuti. La novella si rivolge infatti solo ai materiali che aspirano a diventare prodotti e ad essere soggetti alla disciplina corrispondente.

L’elaborazione di qualsiasi criterio end of waste deve fondarsi su tre pilastri irrinunciabili: i requisiti generali stabiliti dall’art. 6 della direttiva quadro (v. supra); la ratio della nuova disciplina (v. supra) e i dati tecnici raccolti sul flusso di rifiuti preso in considerazione. Tenendo fermi questi punti di riferimento, la metodologia proposta individua una serie di elementi fondamentali della catena di recupero. Sulla base di questi, spetterà poi all’editore dei criteri articolare procedure che pongano l’accento sugli elementi di volta in volta più rilevanti in base alla tipologia di rifiuto considerata.

1. Materiale in ingresso: data la composizione e provenienza eterogenea di gran parte dei rifiuti, è necessario individuare subito i rifiuti pericolosi al fine di tenerli sotto costante controllo durante tutto il processo di recupero o, in alternativa, separarli dal resto del flusso per destinarli al trattamento speciale eventualmente richiesto. Stabilire preventivamente le caratteristiche di ingresso del materiale può facilitare lo svolgimento di entrambe queste funzioni essenziali.

2. Tecniche e processi di recupero: fissare parametri tecnici (come temperatura, tempistica, pH, etc.) e passaggi procedurali obbligati può aiutare a raggiungere in modo sicuro e prevedibile gli standard di qualità applicabili al prodotto finale.

3. Qualità del prodotto: ogni prodotto ha i suoi standard di qualità da rispettare. Quando il controllo sul materiale di ingresso o sui parametri tecnico-procedurali non basta a garantire il raggiungimento di questi standard, il prodotto deve essere testato. È inoltre necessario confrontare le norme riferite ai prodotti con quelle che disciplinano i rifiuti al fine di ricavarne ulteriori requisiti di qualità, traendo anche ispirazione dalle best practices disponibili.

4. Usi potenziali: un’attenta analisi degli usi potenziali del prodotto è necessaria per concludere sull’esistenza o meno di un mercato in grado di assorbirlo. In particolare, si deve valutare l’idoneità del prodotto finale a svolgere gli usi cui è preventivamente destinato senza necessità di alcun ulteriore trattamento. Sarebbe tuttavia contraddittorio con lo scopo del nuovo meccanismo di end of waste il voler imporre in questa sede condizioni di utilizzo ulteriori rispetto a quelle previste dalla legislazione sui prodotti. Tali limiti aggiuntivi, infatti, si risolverebbero in oneri analoghi se non maggiori a quelli già stabiliti per i rifiuti.

5. Procedure di controllo sulla qualità: sono la garanzia necessaria del rispetto dei requisiti dell’end of waste in tutti i passaggi fondamentali del processo di recupero. L’ISO 9000 e le linee guida del CEN sono tra i più comuni sistemi organizzativi sulla qualità di gestione.

Il primo banco di prova dei criteri specifici adottati è la valutazione del loro impatto declinato in una serie di fattori di seguito brevemente elencati:

1. Impatto sull’ambiente e la salute umana: è necessario valutare entrambe le ipotesi di applicazione o rigetto del meccanismo dell’end of waste rispetto a una determinata tipologia di prodotto al fine di stabilire dal confronto quale ipotesi garantisca meglio la salute e l’ambiente.

2. Impatto economico: comparazione di costi e benefici che possono derivare dall’applicazione o meno del meccanismo end of waste secondo i criteri individuati. Proiezione dei costi del recupero sul prezzo del prodotto finale al fine di valutarne la competitività.

3. Impatto sul mercato: valutazione di come il meccanismo end of waste può influenzare il mercato dei prodotti fungibili a quello recuperato.

4. Impatto legislativo: valutazione delle necessità di adeguamento della legislazione nazionale sui prodotti nel caso di applicazione del meccanismo end of waste secondo i criteri individuati.

5. Ulteriore impatto socio-economico: possibili cambiamenti nella percezione del prodotto oggetto di recupero da parte del consumatore.

La parte dedicata alla metodologia generale si conclude con dei suggerimenti sulla procedura operativa da adottare per la raccolta e l’analisi dei dati necessari all’elaborazione e alla valutazione dei criteri end of waste. Lo scenario ideale prevede la costituzione di un’equipe di esperti di diversa estrazione (industria, università, enti e agenzie) impegnati per uno o due anni in uno studio articolato nelle seguenti fasi:

1. Individuazione dei flussi di rifiuto più adatti al recupero, del trattamento cui sottoporli, degli usi potenziali del prodotto risultato e della disciplina ad esso applicabile.

2. Raccolta dati al fine delle valutazioni di impatto sopra descritte.

3. Consultazione del gruppo di esperti su una prima bozza ed infine sulla versione finale.



[1] Pubblicata nella GUCE il 22 novembre 2008, la direttiva è entrata in vigore venti giorni dopo (il 12 dicembre 2008), secondo quanto previsto all’art. 42. Ciascuno Stato membro dovrà curarne il recepimento entro il 12 dicembre 2010 (art. 40).

[2] v. Comunicazione del 21 dicembre 2005, COM(2005) 666 definitivo rivolta al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Portare avanti l’utilizzo sostenibile delle risorse: una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti.

[3] La direttiva 2006/12/CE.

[4] v. considerando n. 41 e l’art. 11 comma 2.

[5] Poco è cambiato dalla definizione della direttiva 75/442, poi modificata dalla direttiva 91/156, che definiva “rifiuto” (sempre all’art. 1, lett. a), come segue: “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.

[6] Tombesi e a., cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 25 giugno 1997.

[7] Inter-Environnement Wallonie v Regione Wallone, causa C-126/96, Sentenza della Corte del 18 dicembre 1997.

[8] v. in questo senso, e.g., le cause riunite ARCO Chemie Nederland Ltd v Minister van Volkshuisvesting, Ruimtelijke Ordening en Milieubeheer, C-418/97, e Vereniging Dorpsbelang Hees e a. v Directeur van de dienst Milieu en Water van de Provincie Gelderland e a., C-419/97, Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 15 giugno 2000 (interpretazione basata sull’elemento soggettivo dell’intenzione di disfarsi).

[9] David Röttgen, La fine del rifiuto (end of waste): finalmente arrivano le indicazioni di Bruxelles, Ambiente & Sviluppo IPSOA n. 11/2008, p. XXI dell’inserto rifiuti.

[10] Il testo del report è scaricabile dal link http://susproc.jrc.ec.europa.eu/activities/waste/index.html.

[11] Comunicazione della Commissione, del 21 dicembre 2005, intitolata: "Portare avanti l’utilizzo sostenibile delle risorse - Una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti"[COM (2005) 666] - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale.

Finalmente criteri precisi per individuare quando un materiale di scarto cessa di essere rifiuto. E’ questo uno dei contenuti essenziali della direttiva 2008/98/CE, adottata dal Consiglio il 20 ottobre 2008 ed entrata in vigore dal 12 dicembre dello stesso anno[1]. La necessità di questo intervento, dopo più di trent’anni di sostanziale immobilità normativa dalla prima direttiva quadro in materia di rifiuti risalente al 1975, era stata riconosciuta dalla stessa Commissione[2], in quanto l’incertezza legislativa (in particolare riguardo ad alcune definizioni chiave come quella di rifiuto, recupero e smaltimento), rimasta irrisolta anche dopo l’ultima recente novella del 2006[3], stava compromettendo il regolare funzionamento del mercato interno. Diverse interpretazioni su base nazionale (o addirittura regionale) insieme ad una giurisprudenza frammentaria e contraddittoria avevano infatti costituito un pesante disincentivo agli investimenti necessari per conseguire i più efficienti processi di produzione a ciclo chiuso e quella “società europea del riciclaggio” inserita tra gli obiettivi “manifesto” della nuova direttiva[4].

Pietra angolare di questa novella è dunque la definizione di “rifiuto”. Secondo la precedente definizione contenuta nella direttiva quadro 2006/12/CE, si considerava rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi” (art. 1, lett. a)[5]. Sulla modifica e precisazione di questa scelta normativa si è giocata una partita politica tra i sostenitori di un’interpretazione estensiva e quelli di un’interpretazione restrittiva del concetto, entrambe predicate in modo alterno da un’incerta giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (CGE). La prima soluzione è operativamente la più semplice in quanto, al fine di garantire la tutela dell’ambiente e della salute umana, include nella definizione di rifiuto (e quindi avvia allo smaltimento) anche sostanze fatte oggetto di operazioni di recupero, come stabilito ad esempio in Euro Tombesi[6] e Inter-Environnement Wallonie v Regione Wallone[7]. Un’interpretazione restrittiva, d’altra parte, promuove gli sforzi dei produttori tesi ad incrementare il ricorso al riciclaggio e al riutilizzo, riducendo gli oneri economici e burocratici necessari per riclassificare un rifiuto come prodotto[8].

La nuova definizione di rifiuto disciplina in due parti distinte l’ingresso e l’uscita di una sostanza dalla categoria dei rifiuti. La prima parte - dedicata all’origine del rifiuto - riprende sostanzialmente l’art. 1, lett. a della direttiva 2006/12/CE (ma senza il riferimento all’Allegato I) (art. 3, comma 1). La seconda parte contiene invece l’elemento più originale, affrontando per la prima volta in modo diretto la cessazione dello status di rifiuto (end of waste). L’art. 6, comma 1 stabilisce quattro requisiti generali che un rifiuto deve soddisfare al termine dell’operazione di recupero per non essere più considerato tale. In particolare il prodotto così ricavato deve:

a) offrire un utilizzo comune per determinati scopi specifici;

b) avere un mercato o una domanda;

c) soddisfare i requisiti tecnici per gli scopi specifici cui è destinato e rispettare la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e

d) non comportare con il suo utilizzo degli impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Questi criteri generali necessitano evidentemente di ulteriori specificazioni per diventare operativi. A questo scopo lo stesso art. 6 prevedeva che la Commissione sviluppasse – attraverso il procedimento della comitologia – criteri comunitari più specifici per l’end of waste (comma 2). Negli spazi lasciati vuoti dalla normativa europea, sarà invece possibile per gli Stati membri decidere “caso per caso” quando un determinato rifiuto cessi di essere tale (comma 4), sempre tenendo conto di quanto indicato dalla giurisprudenza applicabile. Un’interpretazione ragionevole della locuzione “caso per caso” è già stata autorevolmente avanzata in dottrina[9] – anche sulla base dei successivi lavori della Commissione – nel senso di riferirla a singole tipologie di rifiuti.

Per fornire il complesso supporto tecnico necessario all’elaborazione di specifici criteri end of waste riferibili a ciascuna tipologia di rifiuti, la Commissione ha conferito all’Institute for Perspective Technological Studies di Siviglia (IPTS) l’incarico di elaborare questi criteri per alcune tipologie di rifiuti il cui recupero appare particolarmente promettente su un piano ambientale ed economico. Lo scopo principale è di fornire un modello per la successiva attività di normazione comunitaria e nazionale. Il report, consegnato in bozza nell’estate del 2008, e presentato a settembre nella versione definitiva, è un testo di 300 pagine divisibili in due parti: una prima più breve destinata a proporre una metodologia generale per l’elaborazione dei criteri e la seconda riservata ai casi studio specifici[10]. Di seguito si cercherà di fornire un breve sunto della parte generale.

Il quadro normativo di riferimento è, oltre alla nuova direttiva quadro sui rifiuti 2008/98, la “strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti” elaborata dalla Commissione nel 2005[11]. L’obiettivo concreto ultimo di questi recenti interventi normativi viene individuato nell’incentivazione delle operazioni di riciclo e riutilizzo che rispondano ad un elevato standard di qualità, dimodoché ne risulti un meccanismo di recupero dei rifiuti meno formale il cui esito sia certo per i produttori e sicuro anche agli occhi dei consumatori. La fissazione di uno standard di qualità più elevato per il nuovo meccanismo di end of waste non significa però negare ai materiali che non lo soddisfino la possibilità di essere riciclati o riutilizzati rimanendo soggetti alla disciplina dei rifiuti. La novella si rivolge infatti solo ai materiali che aspirano a diventare prodotti e ad essere soggetti alla disciplina corrispondente.

L’elaborazione di qualsiasi criterio end of waste deve fondarsi su tre pilastri irrinunciabili: i requisiti generali stabiliti dall’art. 6 della direttiva quadro (v. supra); la ratio della nuova disciplina (v. supra) e i dati tecnici raccolti sul flusso di rifiuti preso in considerazione. Tenendo fermi questi punti di riferimento, la metodologia proposta individua una serie di elementi fondamentali della catena di recupero. Sulla base di questi, spetterà poi all’editore dei criteri articolare procedure che pongano l’accento sugli elementi di volta in volta più rilevanti in base alla tipologia di rifiuto considerata.

1. Materiale in ingresso: data la composizione e provenienza eterogenea di gran parte dei rifiuti, è necessario individuare subito i rifiuti pericolosi al fine di tenerli sotto costante controllo durante tutto il processo di recupero o, in alternativa, separarli dal resto del flusso per destinarli al trattamento speciale eventualmente richiesto. Stabilire preventivamente le caratteristiche di ingresso del materiale può facilitare lo svolgimento di entrambe queste funzioni essenziali.

2. Tecniche e processi di recupero: fissare parametri tecnici (come temperatura, tempistica, pH, etc.) e passaggi procedurali obbligati può aiutare a raggiungere in modo sicuro e prevedibile gli standard di qualità applicabili al prodotto finale.

3. Qualità del prodotto: ogni prodotto ha i suoi standard di qualità da rispettare. Quando il controllo sul materiale di ingresso o sui parametri tecnico-procedurali non basta a garantire il raggiungimento di questi standard, il prodotto deve essere testato. È inoltre necessario confrontare le norme riferite ai prodotti con quelle che disciplinano i rifiuti al fine di ricavarne ulteriori requisiti di qualità, traendo anche ispirazione dalle best practices disponibili.

4. Usi potenziali: un’attenta analisi degli usi potenziali del prodotto è necessaria per concludere sull’esistenza o meno di un mercato in grado di assorbirlo. In particolare, si deve valutare l’idoneità del prodotto finale a svolgere gli usi cui è preventivamente destinato senza necessità di alcun ulteriore trattamento. Sarebbe tuttavia contraddittorio con lo scopo del nuovo meccanismo di end of waste il voler imporre in questa sede condizioni di utilizzo ulteriori rispetto a quelle previste dalla legislazione sui prodotti. Tali limiti aggiuntivi, infatti, si risolverebbero in oneri analoghi se non maggiori a quelli già stabiliti per i rifiuti.

5. Procedure di controllo sulla qualità: sono la garanzia necessaria del rispetto dei requisiti dell’end of waste in tutti i passaggi fondamentali del processo di recupero. L’ISO 9000 e le linee guida del CEN sono tra i più comuni sistemi organizzativi sulla qualità di gestione.

Il primo banco di prova dei criteri specifici adottati è la valutazione del loro impatto declinato in una serie di fattori di seguito brevemente elencati:

1. Impatto sull’ambiente e la salute umana: è necessario valutare entrambe le ipotesi di applicazione o rigetto del meccanismo dell’end of waste rispetto a una determinata tipologia di prodotto al fine di stabilire dal confronto quale ipotesi garantisca meglio la salute e l’ambiente.

2. Impatto economico: comparazione di costi e benefici che possono derivare dall’applicazione o meno del meccanismo end of waste secondo i criteri individuati. Proiezione dei costi del recupero sul prezzo del prodotto finale al fine di valutarne la competitività.

3. Impatto sul mercato: valutazione di come il meccanismo end of waste può influenzare il mercato dei prodotti fungibili a quello recuperato.

4. Impatto legislativo: valutazione delle necessità di adeguamento della legislazione nazionale sui prodotti nel caso di applicazione del meccanismo end of waste secondo i criteri individuati.

5. Ulteriore impatto socio-economico: possibili cambiamenti nella percezione del prodotto oggetto di recupero da parte del consumatore.

La parte dedicata alla metodologia generale si conclude con dei suggerimenti sulla procedura operativa da adottare per la raccolta e l’analisi dei dati necessari all’elaborazione e alla valutazione dei criteri end of waste. Lo scenario ideale prevede la costituzione di un’equipe di esperti di diversa estrazione (industria, università, enti e agenzie) impegnati per uno o due anni in uno studio articolato nelle seguenti fasi:

1. Individuazione dei flussi di rifiuto più adatti al recupero, del trattamento cui sottoporli, degli usi potenziali del prodotto risultato e della disciplina ad esso applicabile.

2. Raccolta dati al fine delle valutazioni di impatto sopra descritte.

3. Consultazione del gruppo di esperti su una prima bozza ed infine sulla versione finale.



[1] Pubblicata nella GUCE il 22 novembre 2008, la direttiva è entrata in vigore venti giorni dopo (il 12 dicembre 2008), secondo quanto previsto all’art. 42. Ciascuno Stato membro dovrà curarne il recepimento entro il 12 dicembre 2010 (art. 40).

[2] v. Comunicazione del 21 dicembre 2005, COM(2005) 666 definitivo rivolta al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Portare avanti l’utilizzo sostenibile delle risorse: una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti.

[3] La direttiva 2006/12/CE.

[4] v. considerando n. 41 e l’art. 11 comma 2.

[5] Poco è cambiato dalla definizione della direttiva 75/442, poi modificata dalla direttiva 91/156, che definiva “rifiuto” (sempre all’art. 1, lett. a), come segue: “qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.

[6] Tombesi e a., cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 25 giugno 1997.

[7] Inter-Environnement Wallonie v Regione Wallone, causa C-126/96, Sentenza della Corte del 18 dicembre 1997.

[8] v. in questo senso, e.g., le cause riunite ARCO Chemie Nederland Ltd v Minister van Volkshuisvesting, Ruimtelijke Ordening en Milieubeheer, C-418/97, e Vereniging Dorpsbelang Hees e a. v Directeur van de dienst Milieu en Water van de Provincie Gelderland e a., C-419/97, Sentenza della Corte (Quinta Sezione) del 15 giugno 2000 (interpretazione basata sull’elemento soggettivo dell’intenzione di disfarsi).

[9] David Röttgen, La fine del rifiuto (end of waste): finalmente arrivano le indicazioni di Bruxelles, Ambiente & Sviluppo IPSOA n. 11/2008, p. XXI dell’inserto rifiuti.

[10] Il testo del report è scaricabile dal link http://susproc.jrc.ec.europa.eu/activities/waste/index.html.

[11] Comunicazione della Commissione, del 21 dicembre 2005, intitolata: "Portare avanti l’utilizzo sostenibile delle risorse - Una strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti"[COM (2005) 666] - Non pubblicata nella Gazzetta ufficiale.