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Filosofia della pianta grassa

Una riflessione sul prendersi cura e sulla libertà di crescere
prendersi cura
prendersi cura

“Non è possibile!” Si avvicina al muro scrostato con sguardo indagatore: “Come può essere così florida?”

 La mamma le passa di fretta accanto con il vassoio appesantito dal pollo arrosto, senza badarle.

Ormai Bianca aveva la sua vita, una bella casa, in un altro posto e pensava di saperne abbastanza di tutto.

“Mamma, te ne prendo un pezzetto.”

“Fa’ pure, ma poi vieni a tavola”

“Intendo un pezzetto di pianta!”

“Fa’ pure, ma sappi che qua stanno meglio”. Ne staccò un pezzetto, avendo cura di cogliere un rametto fin dalle radici.

Le piante grasse della casa in campagna erano pazzesche, erano grasse per davvero e addirittura crescevano in altezza perdendo quel connotato familiare e statico che avevano sugli scaffali del supermercato. Lì, piccole e standard, quasi definite con uno stampino, tutte uguali tra loro, qua, invece, si lasciavano andare, si attorcigliavano sulle vecchie colonne di pietra e prolificavano fino a farsi capitello, si arrampicavano sul muro creando una tela di rose dai petali 3D, si allungavano verso il cielo con foglie carnose e smargiasse.

E sì che Bianca aveva comprato dei bellissimi vasi per farne la loro nobile dimora, aveva rimpolpato il terriccio arido e secco con quello scuro e fertile, le bagnava con una certa continuità, nonostante il poco tempo che il lavoro le concedeva.

Aveva un debole per quelle piante così cicciotte, così poco pretenziose, che non si davano le arie come le rose a San Valentino, né come i tulipani che catalizzavano gli sguardi con i loro colori sgargianti e nemmeno come le orchidee snob e delicate; le piante grasse ti costringevano a cercare la bellezza in una forma bizzarra, in ciuffetti di spine, nello spesso verde che inaspettatamente regalava fiorellini piccoli e coloratissimi.

Bianca le adorava, erano le Botero della floricoltura.

Eppure, le sue, così curate, in quei bei vasi, in quella bella casa, stavano miseramente, ineluttabilmente appassendo.

“Ma come fai ad averle così belle, mamma?” chiese incuriosita da quell’esplosione di piante grasse attorno a tutta la grande casa.

Rita allora smise di affaccendarsi e, pulendosi le mani sul grembiule demodé, si accinse paziente a spiegare: “Vedi, Bianca, ognuno è diverso dall’altro. Noi pensiamo sempre di sapere quale sia il bene altrui, come genitori, come amici, come fratelli, mentre il più delle volte non ne abbiamo la più pallida idea, perché non ci siamo messi davvero in ascolto né in osservazione, abbiamo usato la nostra misura come fosse l’unica giusta.  A volte perché non abbiamo tempo, a volte perché non abbiamo voglia, ma perlopiù perché crediamo di sapere, immaginiamo di conoscere il bene dell’altro e così lo soffochiamo con quello che noi pensiamo, soddisfacendo il nostro ego, sentendoci buoni e bravi, quando invece non lo siamo, perché non teniamo in considerazione il loro punto di vista, la loro diversità e soprattutto la loro unicità.

Così è per le piante grasse. Tu credi che tutta quell’acqua faccia loro bene, ma loro non ne vogliono, e tu insisti con una cura eccessiva e le soffochi. Sai perché qui sono così rigogliose? Perché sono libere… e quando uno è libero, cresce. Il mio compito è solo quello di amarle.

Ora vieni a tavola”.