Incuria
Incuria
Incuria. Letteralmente significa mancanza di cura e, perciò, negligenza, trascuratezza, sciatteria, disordine, rovina, abbandono.
L’aspetto più interessante della parola “incuria” è l’avere, quale componente essenziale, “cura”, termine dalle molteplici sfumature di significato e dall’etimologia ancora controversa.
Gli antichi etimologisti riconducono cura al “cuore”: “quia cor urat” (ciò che scalda il cuore). Un più recente profilo etimologico è stato tuttavia delineato dagli esperti di linguistica comparativa a partire dalla radice protoindoeuropea “Kwei”, che indica osservare, guardare con attenzione e, quindi, anche dare peso o valore.
Cura, dunque, significa anzitutto osservare per riconoscere, distinguere, comprendere; incuria, di conseguenza, implica il non guardare, non vedere, non accorgersi.
Solo a pensarci, sono numerosissime le parole che hanno una componente di cura intesa come percezione attenta: curare, assicurare, curatore, curato, sicuro e persino curiosità. Non stupisce che la persona curiosa desideri osservare, conoscere, capire.
Ma torniamo alla questione cura/incuria, dalla quale trarre ispirazione per ripensare alle nostre dinamiche lavorative.
Quanta cura mettiamo, a partire dagli spazi e dai tempi [Link: Non ho più tempo] di lavoro, in ciò che facciamo e in ciò che siamo? È, forse, il momento di cominciare ad osservare le cose con più attenzione.
Cominciamo dalla nostra postazione di lavoro. Guardiamola. Chiediamoci: è gradevole, pulita, ordinata, in una parola “accurata”? Probabilmente lo è se ci sono oggetti che ci fanno stare bene solo a guardarli (ad esempio, una pianta), o che ci ricordano momenti significativi (una foto, un biglietto, il souvenir di un viaggio), se è sgombra da carta in eccesso e se i materiali sono archiviati in modo tale da essere fruibili e facilmente accessibili.
Che cosa succede se invece la nostra postazione è disordinata, polverosa, sciatta, con cavi attorcigliati, “memo” ovunque, vecchie cartelle ormai inutili, oggetti sparpagliati, cianfrusaglie, spuntini e bottigliette a metà? In questo caso, forse, dobbiamo chiederci se tutto ciò ci distrae e ci rallenta nello svolgimento delle attività, o se comunica l’impressione di un modo di lavorare caotico e impreciso. Una scrivania satura è come bloccata e, di conseguenza, può bloccare la nostra energia vitale, ingabbiandola nei lacci insidiosi del ciarpame fisico, che potrebbe finire con il produrre “ciarpame” mentale.
Alziamo gli occhi e guardiamo la stanza che condividiamo con altri. C’è modo di abbellirla e di renderla uno spazio accogliente per tutti, considerato che trascorriamo sul luogo di lavoro una fetta significativa della nostra giornata? Ciò potrebbe portare persino a una rinnovata comunicazione e a un inedita complicità.
Passiamo ai tempi: iniziamo con il chiederci se facciamo una qualche programmazione, ad esempio limitando il tempo da dedicare alla posta elettronica a specifiche fasce orarie della giornata per mantenere la concentrazione sui compiti più importanti e garantirci un tempo adeguato alla riflessione. Quanto tempo dedichiamo alle cose veramente importanti, da svolgere con accuratezza, e quanto, viceversa, ne dilapidiamo in attività di poco peso?
Veniamo infine alle relazioni lavorative. Ci sta a cuore la loro cura? O l’incuria è sempre in agguato? L’incuria comporta porre un’insufficiente attenzione al nostro stile comunicativo, non riflettere sul fatto che, talvolta, possiamo risultare bruschi, spicci, perentori o inutilmente aggressivi, oppure distratti, lenti o indifferenti. E chissà se le mancate risposte che a volte ci irritano non dipendono piuttosto dalla nostra incuria, e cioè dal fatto che non siamo riusciti a comunicare in modo gentile, sintetico ed efficace.
A livello umano, l’incuria può comportare effetti ancor più gravi: per incuria si può lasciare che i silenzi scavino distanze, che i disagi non esplicitati si accumulino e alimentino sentimenti di sconfitta o desideri di rivalsa.
Per fare in modo che l’incuria non trionfi dobbiamo provare ad invertire la rotta, a partire da piccoli gesti di cura: degli spazi individuali e di quelli comuni, dei tempi di lavoro, delle pause salutari, dello stile comunicativo, del nostro diritto alla concentrazione e al silenzio, del dialogo e, persino, della confidenza [link: confidenza].
L’incuria si contrasta solo con la cura, che è, in fin dei conti, l’estetica indispensabile della nostra esistenza.