Sulle orme di Omero: Heinrich Schliemann dilettante di genio

Heinrich Schliemann
Heinrich Schliemann
Heinrich Schliemann

Si fa presto a definirlo un dilettante, a dimostrare che ha errato in date e attribuzioni, che ha scavato più in basso del necessario una volta individuati i resti di Troia; ma è grazie a questo sublime dilettante, alle sue scoperte e ai suoi errori che abbiamo iniziato a guardare ai poemi omerici come a testi storici, una storia intesa secondo lo spirito di quel tempo ancora in grado di fondere realtà e mito in funzione di una verità onnicomprensiva umana e divina al contempo.

Poniamoci, per un momento, a considerare il caso singolarissimo di Heinrich Schliemann (Neubukow, 6 gennaio 1822 - Napoli, 26 dicembre 1890), del ragazzo tedesco figlio di un pastore protestante, che va garzone di negozio e che mentre serve al banco sente declamare i versi dell’Iliade e ne è colpito a tal punto da non saper credere che i fatti narrati siano invenzione poetica, leggenda, fantasia.

Pensiamo a questo ragazzo, folgorato dai versi di Omero che decide di mettersi alla ricerca dei luoghi che furono teatro alle gesta narrate nell’Iliade.

Non parte randagio, il bravo dilettante, non si mette alla ventura fidando nella buona sorte, ma per prima cosa pensa a come realizzare tanto denaro, una fortuna da spendersi sulle tracce di Omero, e si dà al commercio. Per anni accumula denaro con in mente i versi del poeta greco; impara l’Iliade a memoria e s’impossessa di oltre 50 lingue, il greco antico lo parla con estrema disinvoltura, un poliglotta invidiabile, frutto di un tirocinio forse incredibile e perfino impensabile in un dilettante sia pure con la scintilla del genio.

Se è verità la guerra di Troia, diviene più facile immaginare la fuga di Enea con sulle spalle il vecchio padre Anchise, l’approdo sulle coste italiche, laziali, insomma l’origine di Roma.

Schliemann sembra un predestinato, chiamato a una missione che ha del sovrumano, gli errori li correggeranno i futuri professori, a lui compete dimostrare che Omero narrava fatti accaduti, che gli eroi erano vissuti, si erano battuti, avevano vinto o perso, ma era tutto vero, poiché neppure il moderno dispiegamento di forze, con le sue prove scientifiche e le dimostrazioni in provetta, è in grado di provare che gli Dei non comunicassero con gli uomini in quel mattino del mondo.

C’è un senso di fatalità, di predestinazione nel compito di Schliemann; come fa un garzone di negozio a restare folgorato dai versi di Omero, credere veritiera la storia, pensare di scoprirne i luoghi e…riuscirci? Individua Troia sulla collina di Hissarlik, in Asia Minore, e se inizialmente la posizione del fiume, lo Scamandro omerico, lo mette fuori strada, capirà poi che è il fiumiciattolo ad aver cambiato corso.

È vero, scava più del necessario su quelle che ritiene le rovine di Troia, la città distrutta e riedificata per ben nove volte, ma le rovine son quelle! La scoperta di quello che ritiene il tesoro di Priamo avviene il giorno prima della data fissata per l’interruzione degli scavi. Ha cento operai al proprio servizio e la preziosa collaborazione di Sophia Engastromenou, la greca che ha sposato e conquistato alla causa.

Quando, sotto quello che avrebbe potuto essere l’ultimo colpo di vanga, luccica un oggetto d’oro e s’intravede il tesoro, il primo pensiero non è quello di dare sfogo all’euforia per riportare tutto alla luce, ma di ricoprire velocemente quel segno aureo. I cento operai dei quali dispone sono una manodopera pericolosa, attorno non ci sono legalità e sicurezza, la vista dell’oro potrebbe facilmente innescare la scintilla criminale, conviene ricoprire, far finta di nulla. Tornerà a notte fonda, assieme alla moglie, per raccogliere quel tesoro che arriverà tra mille peripezie fino ai nostri giorni.

Non si trattava del tesoro di Priamo, come non si tratterà della maschera di Agamennone; il tutto andrà datato addirittura a circa mille anni prima della guerra di Troia, un bel salto. Ma è la civiltà preellenica che esce dall’oblio dei millenni, tutta una storia da riscriversi, un sogno che si fa realtà pur con volto diverso e inatteso, un mito che s’invera grazie al geniale dilettante.

Aveva pensato, nel suo generoso apostolato, di dare quei tesori alla Grecia, che rifiutò sospettosa, e allora li riportò in patria dopo aver regolarizzato la faccenda con il despota turco del tempo.

Conservato a Berlino, il tesoro di Priamo sparì con l’arrivo dell’Armata Rossa vittoriosa sul terzo (Reich). Se qualcuno pensò che i russi avessero trafugato il tesoro, assieme a tante altre opere d’arte delle quali si attende ancora un cenno di vita, i più lo pensarono perduto per sempre, invece che lo stesso Stalin avesse provveduto a far portare tutto a Mosca e ora, dopo circa cinquant’anni di menzogne e di silenzio, eccolo ricomparire dalle segrete del museo Pusckin.

Koll si prepari, il novello Zar di Russia ha bisogno di tutto, in particolare dell’amicizia della ricca Germania. Se sono riusciti a pagarsi l’unità della Patria, non sarà difficile ai tedeschi pagarsi il recupero di ciò che pure è di loro spettanza. S. vede che è destino dei tedeschi, lo fece Schliemann con il Cady turco, sta a Koll ripetere il gesto, la posta vale la spesa.    

 

(Car.5091)

Articolo pubblicato su il quotidiano “L'Indipendente”, Milano 27 agosto 1993