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Abogados – La Commissione Europea ritiene che la "stretta sulle iscrizioni all’albo" sia contraria all’art. 3 della direttiva 98/5/CE

Come già ampiamente descritto in un articolo precedentemente pubblicato e facilmente reperibile sui principali siti d’interesse giuridico, al quale rinvio ("Sentenza Koller C-118/09: non c’è trucco non c’è inganno ma soprattutto non c’è abuso, la via Spagnola è legittima") l’omologazione del titolo italiano di laurea in giurisprudenza al corrispondente spagnolo di licenciado en derecho, contrariamente a quanto deciso dalla Corte di Giustizia nel caso C-311/06 e conformemente a quanto deciso nel caso C-118/09, se subordinata al previo superamento di esami integrativi nell’ambito del sistema d’istruzione spagnolo, consente la registrazione ad un ilustre colegio de abogados spagnolo nonchè, ai sensi dell’art. 3 della direttiva 98/5, di esercitare la professione con il titolo di "abogado" in ogni Stato Membro dell’Unione Europea, ciò previa iscrizione presso l’ordine degli avvocati dello Stato Membro nel quale l’abogado internda stabilirsi, che dovrebbe aver luogo dietro presentazione del solo requisito normativamente previsto, cioè il certificato d’iscrizione ad un ilustre colegio de abogados (art. 3 direttiva 98/5)

A partire dal 2010, complice il Consiglio Nazionale Forense, gli Ordini degli Avvocati italiani, iniziarono ad ostacolare l’esercizio del legittimo diritto di stabilimento degli avvocati, subordinando l’accoglimento della domanda d’iscrizione a requisiti non previsti dalla normativa applicabile (es: al previo superamento di test sulla lingua o sul diritto spagnolo o alla previa produzione di atti, pareri o altri documenti attestanti l’esercizio della professione in Spagna).

Di conseguenza, negli ultimi mesi, i servizi della Commissione Europea, messi al corrente ed opportunamente sollecitati dai diretti interessati, si sono mossi.

Dapprima grazie ai numerosi reclami giunti all’attenzione del SOLVIT spagnolo, organismo di risoluzione stragiudiziale di vertenze sorte a causa dell’erronea interpretazione ed applicazione del diritto comunitario, che contattò le istituzioni forensi italiane per tentare una risoluzione amichevole della questione ma senza successo.

Di conseguenza, la questione passò ad un più alto livello istituzionale, ed è attualmente trattata dai servizi della Commissione Europea nell’ambito del programma "EU PILOT", ultimo tentativo di risoluzione stragiudiziale del problema, esaurito senza successo il quale la Commissione adotterà ulteriori provvedimenti, tra cui l’eventuale apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia.

Il pensiero della Commissione riguardo le condotte tenute a partire dal 2010 dai rappresentanti della classe forense, è ben riassunto nelle risposte recentemente date a due interrogazioni, presentate da due rappresentanti italiani al parlamento Europeo.

La prima interrogazione (P 2260/2011) fu presentata da Oreste Rossi il 7 marzo 2011 ed ottenne risposta l’8 aprile 2011.

Ripristino diritto di stabilimento per gli avvocati: "A partire dalla seconda parte del 2010, taluni ordini degli avvocati italiani, a seguito del parere n. 17 del 25 giugno 2009 della Commissione consultiva del Consiglio nazionale forense, basato su un’interpretazione della sentenza della Corte di giustizia nella causa C-311/06, hanno sospeso l’accettazione delle domande di iscrizione, a norma delle direttive 89/48/CEE (oggi 2005/36/CE) e 98/5/CE, di avvocati provenienti da Stati membri, ignorando peraltro la successiva sentenza nella causa C-118/09. Gli ordini hanno addotto a motivo della sospensione l’esigenza di eseguire istruttorie approfondite; poiché il tempo di esecuzione di tali istruttorie si protrae sino ad oggi, ritiene la Commissione di attivarsi perché entro un ragionevole tempo la sospensione abbia a cessare e sia ripristinato il diritto di stabilimento previsto dalle norme dell’Unione?"

Risposta di Michel Barnier a nome della Commissione: La Commissione è a conoscenza delle pratiche — che sembrano essere in contrasto con il diritto dell’Unione europea — adottate da alcuni ordini degli avvocati italiani e contro le quali sono già pervenuti tramite Solvit diversi reclami. Il Centro Solvit si è attivamente impegnato con tutte le parti in causa, compresi il Consiglio Nazionale Forense e il Ministero italiano della Giustizia, per giungere a una composizione soddisfacente dei singoli casi. Prima di proporre soluzioni, il Centro Solvit ha chiesto ulteriori quattro settimane di tempo per organizzare altre riunioni. I servizi della Commissione seguono da vicino l’evolversi della situazione e, in assenza di una soluzione soddisfacente entro i termini concordati, la Commissione intraprenderà senza indugio i passi necessari.

La seconda interrogazione (P 6732/2011) fu invece presentata da Clemente Mastella il 6 luglio 2011 ed ottenne risposta l’8 agosto 2011:

Presunta violazione italiana della Direttiva europea sulla «libertà di stabilimento» nel caso degli avvocati comunitari: La Direttiva 98/5/CE, tra le altre disposizioni, «è volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica» e, all’art. 3, stabilisce che «l’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine». In Italia, dove la direttiva in questione è stata recepita con il decreto Legislativo n. 96/2001, sono state evidenziate alcune problematiche in merito alla sua applicazione. Diversi Consigli dell’Ordine degli Avvocati stanno, di fatto, impedendo l’iscrizione degli avvocati «comunitari», ponendo in essere alcune azioni discriminatorie culminate in illegittime richieste di integrazione di documentazione e in molteplici provvedimenti di diniego, fondati sulla presunta inadeguatezza della documentazione comprovante l’esercizio effettivo dell’attività professionale nel paese di provenienza. Lo stesso decreto legislativo non fornisce tutela adeguata, in quanto prevede, in caso di rigetto della domanda di iscrizione, la possibilità di ricorrere al Consiglio Nazionale Forense, organo non giurisdizionale e, certo, non imparziale visto che è formato da avvocati (su questo punto la Corte di Giustizia UE si è già pronunciata nella Causa C-193/05). L’interrogante chiede, pertanto, alla Commissione: di verificare se i provvedimenti sopra citati non costituiscano una palese violazione della direttiva in oggetto e non finiscano per prevedere delle situazioni ingiustificatamente discriminatorie nei confronti degli avvocati provenienti da altri Stati membri; di indicare se tutte le ulteriori formalità imposte non costituiscano dei provvedimenti amministrativi sproporzionati rispetto all’obiettivo da seguire e, quindi, ingiustificati rispetto alla direttiva 98/5; di indicare se, del caso, quali azioni intende intraprendere per porre termine alle disparità ed agli ostacoli che ne derivano, al fine di dare, in tutti gli Stati membri, le medesime possibilità agli avvocati, cioè poter circolare liberamente e esercitare la propria attività lavorativa (tutela della libertà di circolazione e di prestazioni di servizi).

Risposta di Michel Barnier a nome della Commissione: Come indicato nella risposta all’interrogazione P-002260/2011, la Commissione è a conoscenza delle pratiche di alcuni consigli dell’Ordine degli avvocati che appaiono contrarie al diritto dell’Unione e in particolare all’articolo 3 della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica. Diverse denunce contro tali pratiche sono già pervenute tramite Solvit. Tuttavia, tali casi non si sono risolti in modo soddisfacente per i denuncianti. La Commissione intende entrare in contatto con le autorità italiane attraverso il sistema EU Pilot (preinfrazione) per manifestare la propria preoccupazione al riguardo e chiedere l’adozione di misure vincolanti per garantire che tutti i consigli dell’Ordine degli avvocati in Italia ottemperino alla direttiva. In assenza di una risposta soddisfacente, la Commissione prenderà ulteriori opportuni provvedimenti per garantire il rispetto della direttiva da parte dei consigli dell’Ordine in tutta Italia.

Come già ampiamente descritto in un articolo precedentemente pubblicato e facilmente reperibile sui principali siti d’interesse giuridico, al quale rinvio ("Sentenza Koller C-118/09: non c’è trucco non c’è inganno ma soprattutto non c’è abuso, la via Spagnola è legittima") l’omologazione del titolo italiano di laurea in giurisprudenza al corrispondente spagnolo di licenciado en derecho, contrariamente a quanto deciso dalla Corte di Giustizia nel caso C-311/06 e conformemente a quanto deciso nel caso C-118/09, se subordinata al previo superamento di esami integrativi nell’ambito del sistema d’istruzione spagnolo, consente la registrazione ad un ilustre colegio de abogados spagnolo nonchè, ai sensi dell’art. 3 della direttiva 98/5, di esercitare la professione con il titolo di "abogado" in ogni Stato Membro dell’Unione Europea, ciò previa iscrizione presso l’ordine degli avvocati dello Stato Membro nel quale l’abogado internda stabilirsi, che dovrebbe aver luogo dietro presentazione del solo requisito normativamente previsto, cioè il certificato d’iscrizione ad un ilustre colegio de abogados (art. 3 direttiva 98/5)

A partire dal 2010, complice il Consiglio Nazionale Forense, gli Ordini degli Avvocati italiani, iniziarono ad ostacolare l’esercizio del legittimo diritto di stabilimento degli avvocati, subordinando l’accoglimento della domanda d’iscrizione a requisiti non previsti dalla normativa applicabile (es: al previo superamento di test sulla lingua o sul diritto spagnolo o alla previa produzione di atti, pareri o altri documenti attestanti l’esercizio della professione in Spagna).

Di conseguenza, negli ultimi mesi, i servizi della Commissione Europea, messi al corrente ed opportunamente sollecitati dai diretti interessati, si sono mossi.

Dapprima grazie ai numerosi reclami giunti all’attenzione del SOLVIT spagnolo, organismo di risoluzione stragiudiziale di vertenze sorte a causa dell’erronea interpretazione ed applicazione del diritto comunitario, che contattò le istituzioni forensi italiane per tentare una risoluzione amichevole della questione ma senza successo.

Di conseguenza, la questione passò ad un più alto livello istituzionale, ed è attualmente trattata dai servizi della Commissione Europea nell’ambito del programma "EU PILOT", ultimo tentativo di risoluzione stragiudiziale del problema, esaurito senza successo il quale la Commissione adotterà ulteriori provvedimenti, tra cui l’eventuale apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia.

Il pensiero della Commissione riguardo le condotte tenute a partire dal 2010 dai rappresentanti della classe forense, è ben riassunto nelle risposte recentemente date a due interrogazioni, presentate da due rappresentanti italiani al parlamento Europeo.

La prima interrogazione (P 2260/2011) fu presentata da Oreste Rossi il 7 marzo 2011 ed ottenne risposta l’8 aprile 2011.

Ripristino diritto di stabilimento per gli avvocati: "A partire dalla seconda parte del 2010, taluni ordini degli avvocati italiani, a seguito del parere n. 17 del 25 giugno 2009 della Commissione consultiva del Consiglio nazionale forense, basato su un’interpretazione della sentenza della Corte di giustizia nella causa C-311/06, hanno sospeso l’accettazione delle domande di iscrizione, a norma delle direttive 89/48/CEE (oggi 2005/36/CE) e 98/5/CE, di avvocati provenienti da Stati membri, ignorando peraltro la successiva sentenza nella causa C-118/09. Gli ordini hanno addotto a motivo della sospensione l’esigenza di eseguire istruttorie approfondite; poiché il tempo di esecuzione di tali istruttorie si protrae sino ad oggi, ritiene la Commissione di attivarsi perché entro un ragionevole tempo la sospensione abbia a cessare e sia ripristinato il diritto di stabilimento previsto dalle norme dell’Unione?"

Risposta di Michel Barnier a nome della Commissione: La Commissione è a conoscenza delle pratiche — che sembrano essere in contrasto con il diritto dell’Unione europea — adottate da alcuni ordini degli avvocati italiani e contro le quali sono già pervenuti tramite Solvit diversi reclami. Il Centro Solvit si è attivamente impegnato con tutte le parti in causa, compresi il Consiglio Nazionale Forense e il Ministero italiano della Giustizia, per giungere a una composizione soddisfacente dei singoli casi. Prima di proporre soluzioni, il Centro Solvit ha chiesto ulteriori quattro settimane di tempo per organizzare altre riunioni. I servizi della Commissione seguono da vicino l’evolversi della situazione e, in assenza di una soluzione soddisfacente entro i termini concordati, la Commissione intraprenderà senza indugio i passi necessari.

La seconda interrogazione (P 6732/2011) fu invece presentata da Clemente Mastella il 6 luglio 2011 ed ottenne risposta l’8 agosto 2011:

Presunta violazione italiana della Direttiva europea sulla «libertà di stabilimento» nel caso degli avvocati comunitari: La Direttiva 98/5/CE, tra le altre disposizioni, «è volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica» e, all’art. 3, stabilisce che «l’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine». In Italia, dove la direttiva in questione è stata recepita con il decreto Legislativo n. 96/2001, sono state evidenziate alcune problematiche in merito alla sua applicazione. Diversi Consigli dell’Ordine degli Avvocati stanno, di fatto, impedendo l’iscrizione degli avvocati «comunitari», ponendo in essere alcune azioni discriminatorie culminate in illegittime richieste di integrazione di documentazione e in molteplici provvedimenti di diniego, fondati sulla presunta inadeguatezza della documentazione comprovante l’esercizio effettivo dell’attività professionale nel paese di provenienza. Lo stesso decreto legislativo non fornisce tutela adeguata, in quanto prevede, in caso di rigetto della domanda di iscrizione, la possibilità di ricorrere al Consiglio Nazionale Forense, organo non giurisdizionale e, certo, non imparziale visto che è formato da avvocati (su questo punto la Corte di Giustizia UE si è già pronunciata nella Causa C-193/05). L’interrogante chiede, pertanto, alla Commissione: di verificare se i provvedimenti sopra citati non costituiscano una palese violazione della direttiva in oggetto e non finiscano per prevedere delle situazioni ingiustificatamente discriminatorie nei confronti degli avvocati provenienti da altri Stati membri; di indicare se tutte le ulteriori formalità imposte non costituiscano dei provvedimenti amministrativi sproporzionati rispetto all’obiettivo da seguire e, quindi, ingiustificati rispetto alla direttiva 98/5; di indicare se, del caso, quali azioni intende intraprendere per porre termine alle disparità ed agli ostacoli che ne derivano, al fine di dare, in tutti gli Stati membri, le medesime possibilità agli avvocati, cioè poter circolare liberamente e esercitare la propria attività lavorativa (tutela della libertà di circolazione e di prestazioni di servizi).

Risposta di Michel Barnier a nome della Commissione: Come indicato nella risposta all’interrogazione P-002260/2011, la Commissione è a conoscenza delle pratiche di alcuni consigli dell’Ordine degli avvocati che appaiono contrarie al diritto dell’Unione e in particolare all’articolo 3 della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica. Diverse denunce contro tali pratiche sono già pervenute tramite Solvit. Tuttavia, tali casi non si sono risolti in modo soddisfacente per i denuncianti. La Commissione intende entrare in contatto con le autorità italiane attraverso il sistema EU Pilot (preinfrazione) per manifestare la propria preoccupazione al riguardo e chiedere l’adozione di misure vincolanti per garantire che tutti i consigli dell’Ordine degli avvocati in Italia ottemperino alla direttiva. In assenza di una risposta soddisfacente, la Commissione prenderà ulteriori opportuni provvedimenti per garantire il rispetto della direttiva da parte dei consigli dell’Ordine in tutta Italia.