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Il principio dell’autorità di res iudicata e l’obbligo di recupero di aiuti di stato incompatibili

1. La procedura

La Corte di Giustizia ha affrontato, risolvendola negativamente, la questione se il principio dell’autorità di cosa giudicata di cui all’art. 2909 cod. civ. può essere invocato come motivo di impossibilità di recupero di un aiuto di stato dichiarato incompatibile dalla Commissione (Corte di Giustizia CE, sentenza del 18 luglio 2007, C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c Lucchini SpA).

La Lucchini S.p.A. nel 1985 aveva richiesto la concessione di un sostegno finanziario sulla base della legge per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. La richiesta di aiuto era stata quindi correttamente notificata alla Commissione. In attesa della decisione definitiva della Commissione sulla compatibilità della misura, le autorità italiane decidevano di erogare a titolo provvisorio una parte dell’aiuto richiesto. Nel 1990 la Commissione dichiarava che l’aiuto notificato era incompatibile con il diritto comunitario. La decisione della Commissione diventava definitiva non essendo stata impugnata entro i termini previsti dal diritto comunitario. La Lucchini citava in giudizio l’Agensud per vederla condannare all’erogazione dell’intero ammontare del contributo originariamente richiesto. Il giudice di primo grado con sentenza poi confermata in giudizio di appello accoglieva le ragioni della società attrice ritenendo sussistente il diritto di questa all’erogazione dell’intero ammontare. Né il giudice di primo grado, né quello di secondo grado facevano riferimento alla normativa comunitaria in materia di aiuti di stato né alla decisione di incompatibilità della Commissione. Nel 1995 la sentenza di secondo grado passava in giudicato per non essere era stata impugnata dalle parti tempestivamente.

Non avendo ancora ricevuto il versamento integrale del contributo richiesto la Lucchini iniziava una procedura esecutiva contro le competenti autorità italiane. Nel frattempo le autorità italiane avevano richiesto e ricevuto un parere della Commissione, dal quale risultava che avevano violato il diritto comunitario erogando un aiuto in precedenza dichiarato incompatibile dalla stessa Commissione. La decisione di incompatibilità della Commissione obbligava le autorità italiane erano obbligate a porre in atto le procedure per il recupero dell’aiuto stesso. Sulla base di tale parere, le autorità italiane decidevano di revocare il provvedimento di concessione del contributo finanziario e richiedeva alla Lucchini la restituzione delle somme a questa versate in precedenza.

Il provvedimento di revoca dell’aiuto veniva allora impugnato dalla Lucchini davanti al giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, in sede di giudizio di appello contro la sentenza di primo grado pronunziata dal TAR, chiedeva l’intervento della Corte di Giustizia ex art. 234 CE. Il supremo giudice amministrativo poneva alla Corte la questione se il principio dell’autorità di cosa giudicata ex art. 2909 cod. civ. fosse incompatibile con il diritto comunitario nei limiti in cui l’applicazione di tale principio impedisse il recupero di aiuto di stato illegale e incompatibile.

2. La sentenza della Corte di Giustizia

La Corte, dopo aver ricordato che spetta ai soli giudici comunitari la competenza a pronunziarsi sull’invalidità di un atto comunitario, procede ad esaminare la ripartizione delle competenze tra istituzioni comunitarie e autorità nazionali in materia di aiuti di stato. I giudici nazionali non possono decidere sulla compatibilità di una misura di aiuto con il diritto comunitario. Tale valutazione ricade nella competenza esclusiva della Commissione. La Corte poi si richiama al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui il beneficiario dell’aiuto, che avrebbe potuto impugnare la decisione di incompatibilità della Commissione entro il termine di due mesi, ma non lo ha fatto, non può poi contestare la legittimità di tale decisione nell’ambito di un procedimento davanti al giudice nazionale avente ad oggetto il recupero dell’aiuto. Questa preclusione si applica anche nel caso in cui la decisione di incompatibilità è stata indirizzata direttamente al solo stato membro e il beneficiario dell’aiuto risiede nel territorio di questo.

La Corte affronta quindi il problema dei rapporti tra il principio dell’autorità del giudicato sancito dall’art. 2909 cod. civ. e il recupero dell’aiuto incompatibile. Secondo l’interpretazione del giudice a quo l’ art. 2909 cod. civ. impedisce al giudice di conoscere sia le questioni che sono state in precedenza decise da un organo giurisdizionale in via definitiva, sia le questioni, le quali pur potendo essere sollevate in una controversia precedente, non sono stati invece dedotte in giudizio. Se questa interpretazione dall’art. 2909 cod. civ. è corretta, dalle sentenze pronunziate dai giudici nazionali e passate in giudicato potrebbero conseguire effetti incompatibili con i principi di diritto comunitario in materia di ripartizione della competenze tra autorità nazionali e istituzioni comunitarie. Il rischio è che l’ art. 2909 cod. civ., così come sopra interpretato, potrebbe rendere impossibile il recupero di un aiuto dichiarato incompatibile dalla Commissione.

In breve, la sentenza definitiva con la quale il giudice nazionale ha accertato l’esistenza del diritto di un’impresa alla concessione di una misura di aiuto, in virtù della forza di res iudicata attribuita dall’art. 2909 cod. civ. prevarrebbe sulla decisione con la quale la Commissione ha dichiarato l’incompatibilità della stessa misura. Di conseguenza, tale interpretazione impedirebbe la corretta attuazione del diritto comunitario per quanto riguarda la disciplina degli aiuti di stato.

Ora, secondo la costante giurisprudenza comunitaria i giudici nazionali sono tenuti a interpretare i diritto nazionale in modo tale che l’applicazione di questo costituisca l’attuazione del diritto comunitario. I giudici nazionali sono altresì tenuti a garantire la piena efficacia del diritto comunitario, anche, eventualmente, disapplicando le norme dell’ordinamento nazionale incompatibili con il diritto comunitario.

La Corte di Giustizia conclude, quindi, per la disapplicazione dell’art. 2909 cod. civ. nei limiti del quale l’applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata impedisce il recupero di un aiuto di stato, erogato illegittimamente in violazione del diritto comunitario e già dichiarato incompatibile dalla Commissione con decisione definitiva.

3. Il principio dell’autorità di res iudicata nei rapporti tra gli ordinamenti giuridici degli stati membri e l’ordinamento comunitario

La sentenza della Corte di Giustizia qui commentata riguarda in primo luogo la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato, in particolare la presunta impossibilità, in questo caso di natura giuridica, per uno stato membro di adempiere all’obbligo di recuperare un aiuto incompatibile. La sentenza si riferisce anche al rapporto tra i diritti nazionali degli stati membri e il diritto comunitario. Nel caso esaminato dalla Corte erano intervenuti due provvedimenti definitivi, ognuno dei quali dava una valutazione apparentemente inconciliabile della stessa fattispecie concreta. La sentenza del giudice italiano accertava il diritto del beneficiario all’erogazione dell’intero ammontare del contributo finanziario richiesto. Invece, la decisione della Commissione dichiarava l’incompatibilità dell’aiuto con conseguente obbligo in capo all’autorità italiana di provvedere al recupero di tale aiuto.

La Corte di Giustizia risolveva la questione con la disapplicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata della sentenza del giudice italiano, in conformità con la regola della primautè del diritto comunitario sui diritti nazionali degli Stati membri. Di qui, l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare l’art. 2909 cod. civ. quando l’autorità di giudicato attribuita alla sentenze definitive impedisce il recupero dell’aiuto concesso illegittimamente e dichiarato incompatibile con decisione definitiva dalla Commissione.

Già in precedenza la Corte aveva esaminato la questione della contrarietà con il diritto comunitario di una sentenza pronunziata dal giudice nazionale passata in giudicato che accertava la conformità di un provvedimento amministrativo con il diritto comunitario (Corte di Giustizia CE, C-453/00, sentenza del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz).

Ad un’impresa olandese era stato chiesto il rimborso di una parte dei contributi alle esportazioni di carni avicole che erano state in precedenza erogati sulla base di un’erronea applicazione di un regolamento comunitario. Il giudice olandese, investito della questione nel 1991, con sentenza poi passato in giudicato, aveva respinto le richieste dell’attrice Kühne & Heitz ritenendo che il provvedimento amministrativo che disponeva il rimborso delle somme fosse contrario al diritto comunitario. In ogni caso, il giudice olandese non aveva considerato opportuno rinviare la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Tuttavia, la Corte stessa, investita di una questione analoga nel 1994, ha fornito la stessa interpretazione della norma comunitaria di quella sostenuta dalla Kühne & Heitz.

La Kühne & Heitz si era allora rivolta ai giudici olandesi al fine di ottenere il riesame del provvedimento amministrativo in questione sulla base della sentenza nel frattempo pronunziata dalla Corte di Giustizia. In questo caso il giudice olandese rinviava la questione alla Corte, la quale stabiliva che la sentenza del giudice nazionale passata in giudicato era fondata su un’errata interpretazione del diritto comunitario. Così risultava anche dalla precedente sentenza della Corte e successiva al passaggio in giudicato della sentenza del giudice olandese di cui sopra. Tale errata interpretazione era stata data dal giudice nazionale senza richiedere l’intervento della Corte in via pregiudiziale ex art. 234 CE.

La Corte inoltre affermava che il principio di certezza giuridica, riconosciuto anche nel diritto comunitario, non impone all’autorità amministrativa l’obbligo di rivedere un proprio provvedimento, divenuto ormai definitivo per il decorso dei termini di impugnazione. Tuttavia, se il provvedimento amministrativo è fondato su un’errata interpretazione del diritto comunitario, successivamente accertata dalla Corte di Giustizia, l’autorità amministrativa deve, secondo il diritto comunitario, esercitare il potere di riesame del provvedimento in questione, previsto dalla legge nazionale, alla luce della corretta interpretazione della norma comunitaria formulata dalla Corte.

In breve, la Corte, ritenendo che il provvedimento in questione violava il diritto comunitario, ha imposto alle autorità olandesi di non tener conto di tale provvedimento, disapplicando così la sentenza passata in giudicato che aveva sancito la legittimità del provvedimento.

Si deve osservare che le circostanze di fatto e di diritto nel caso Lucchini erano alquanto differenti da quelle del caso Kühne & Heitz, il che spiega le diverse soluzioni adottate dalla Corte. Il caso Kühne & Heitz aveva ad oggetto un rapporto verticale tra un soggetto nazionale e l’autorità amministrativa e verteva sull’interpretazione di una normativa comunitaria che attribuiva particolari diritti al soggetto nazionale. Il problema era allora risolvibile facendo ricorso alla possibilità prevista dal diritto olandese per l’autorità amministrativa procedente di riesaminare un provvedimento già adottato, tenendo conto della corretta interpretazione del diritto comunitario formulata nella sentenza della Corte nel frattempo intervenuta.

Invece nel caso Lucchini si avevano due provvedimenti definitivi, uno nazionale e l’altro comunitario, tra loro in conflitto. Come traspare dalla succinta motivazione della Corte, il provvedimento nazionale attentava alla divisione delle competenze tra autorità nazionali e la istituzioni comunitarie in materia di aiuti di stato, pregiudicando i poteri che il Trattato CE attribuisce alla Commissione al fine di accertare la legalità e compatibilità degli aiuti.

L’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni osserva che nel procedimento nazionale che si è concluso con la sentenza passata in giudicato i giudici italiani investiti della causa hanno compiuto per ignoranza o per incuria gravi errori. Il giudice di primo grado non ha accertato il rispetto delle norme di diritto comunitario che impongono l’obbligo di standstill nel caso le autorità nazionali intendono concedere un nuovo aiuto in attesa che la Commissione decida sulla compatibilità dell’aiuto stesso. Né il giudice di primo grado si è preoccupato di verificare l’esistenza di una decisione della Commissione sulla compatibilità dell’aiuto. Il giudice di secondo grado, poi, non ha rispettato la decisione negativa presa dalla Commissione. Ma anche l’autorità amministrativa ha compiuto errori, non avendo comunicato ai giudici l’esistenza della decisione della Commissione di incompatibilità.

Secondo l’avvocato generale, la ripartizione dei poteri tra i diritti nazionali degli stati membri e diritto comunitario va rispettata molto rigorosamente. L’autorità di cosa giudicato che il diritto nazionale riconosce ad una sentenza divenuta definitiva e fondata sull’interpretazione esclusiva del diritto nazionale e in patente violazione del diritto comunitario, non può costituire un ostacolo ai poteri riconosciuti dall’ordinamento comunitario alla Commissione. Ulteriore conferma della prevalenza delle norme contenute nel trattato in materia di aiuti stato è tratta dalla qualificazione di queste da parte dei giudici comunitari come disposizioni di ordine pubblico. Ne consegue che le autorità nazionali non possono adottare provvedimenti incompatibili con le precedenti decisioni della Commissione, né le decisioni delle autorità nazionali possono incidere i poteri della Commissione.

Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ha statuito che:

• il principio dell’autorità di cosa giudicata non può costituire un impedimento per il recupero di un aiuto di stato erogato illegalmente e l’incompatibilità del quale è stata accertata con decisione definitiva della Commissione;

• le autorità nazionali devono disapplicare il principio dell’autorità di cosa giudicata nei limiti in cui ostacola il recupero di aiuti illegali e incompatibili.

Per quanto riguarda poi, più specificamente, la disciplina comunitaria degli aiuti di stato, la sentenza in esame non si discosta dall’orientamento restrittivo dei giudici comunitari per l’accertamento di un impedimento assoluto all’obbligo di recuperare una misura di aiuto erogata in violazione del diritto comunitario. Gli stati membri sono obbligati al recupero di un aiuto incompatibile, salvo che dimostrino l’esistenza di circostanze impreviste e imprevedibili, in presenza delle quali l’attuazione del recupero risulti impossibile. Non è sufficiente che lo stato membro comunichi alla Commissione le ragioni per le quali ritiene il recupero sia impossibile; ma è necessario che abbia iniziato la procedura di esecuzione al fine di dimostrare le difficoltà per il recupero. Ad ogni modo, sino ad oggi, la Corte non ha mai riconosciuto l’esistenza di un motivo di impossibilità assoluta tale da esonerare lo stato membro dall’obbligo di recupero

Anche nel caso Lucchini la Corte ancora una volta non ha ritenuto di poter individuare alcun impedimento assoluto all’attuazione dell’obbligo di recupero. Non è stata, infatti, considerata come motivo di impossibilità del recupero dell’aiuto incompatibile la sentenza pronunziata dal giudice nazionale e passata in giudicato che condannava l’autorità pubblica all’erogazione dello stesso aiuto. Anzi, non solo la forza di giudicato della sentenza nazionale non poteva essere validamente invocata come impedimento assoluto al recupero; ma le autorità nazionale sono tenute a disapplicare le norme nazionali che attribuiscono la forza di giudicato alle sentenze divenute definitive in quanto ostacolano il recupero degli aiuti incompatibili.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Corte di Giustizia CEE, sentenza 13 gennaio 2004, causa C-453/00, Kühne & Heitz c Productschap voor Pluimvee en Eieren

Corte di Giustizia CE, sentenza 18 luglio 2007, causa C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c Lucchini Spa

Conclusioni dell’Avvocato Genere L.A. Gelhoed, presentate il 14 settembre 2006, C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c Lucchini Spa

Edoardo Gambaro e Antonio Papi Rossi, Il recupero degli aiuti illegali e incompatibili’, in AAVV Concorrenza e Aiuti di Stato, Giappichelli Torino

Giuseppe Tesauro, Diritto Comunitario, Cedam, Padova

1. La procedura

La Corte di Giustizia ha affrontato, risolvendola negativamente, la questione se il principio dell’autorità di cosa giudicata di cui all’art. 2909 cod. civ. può essere invocato come motivo di impossibilità di recupero di un aiuto di stato dichiarato incompatibile dalla Commissione (Corte di Giustizia CE, sentenza del 18 luglio 2007, C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c Lucchini SpA).

La Lucchini S.p.A. nel 1985 aveva richiesto la concessione di un sostegno finanziario sulla base della legge per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. La richiesta di aiuto era stata quindi correttamente notificata alla Commissione. In attesa della decisione definitiva della Commissione sulla compatibilità della misura, le autorità italiane decidevano di erogare a titolo provvisorio una parte dell’aiuto richiesto. Nel 1990 la Commissione dichiarava che l’aiuto notificato era incompatibile con il diritto comunitario. La decisione della Commissione diventava definitiva non essendo stata impugnata entro i termini previsti dal diritto comunitario. La Lucchini citava in giudizio l’Agensud per vederla condannare all’erogazione dell’intero ammontare del contributo originariamente richiesto. Il giudice di primo grado con sentenza poi confermata in giudizio di appello accoglieva le ragioni della società attrice ritenendo sussistente il diritto di questa all’erogazione dell’intero ammontare. Né il giudice di primo grado, né quello di secondo grado facevano riferimento alla normativa comunitaria in materia di aiuti di stato né alla decisione di incompatibilità della Commissione. Nel 1995 la sentenza di secondo grado passava in giudicato per non essere era stata impugnata dalle parti tempestivamente.

Non avendo ancora ricevuto il versamento integrale del contributo richiesto la Lucchini iniziava una procedura esecutiva contro le competenti autorità italiane. Nel frattempo le autorità italiane avevano richiesto e ricevuto un parere della Commissione, dal quale risultava che avevano violato il diritto comunitario erogando un aiuto in precedenza dichiarato incompatibile dalla stessa Commissione. La decisione di incompatibilità della Commissione obbligava le autorità italiane erano obbligate a porre in atto le procedure per il recupero dell’aiuto stesso. Sulla base di tale parere, le autorità italiane decidevano di revocare il provvedimento di concessione del contributo finanziario e richiedeva alla Lucchini la restituzione delle somme a questa versate in precedenza.

Il provvedimento di revoca dell’aiuto veniva allora impugnato dalla Lucchini davanti al giudice amministrativo. Il Consiglio di Stato, in sede di giudizio di appello contro la sentenza di primo grado pronunziata dal TAR, chiedeva l’intervento della Corte di Giustizia ex art. 234 CE. Il supremo giudice amministrativo poneva alla Corte la questione se il principio dell’autorità di cosa giudicata ex art. 2909 cod. civ. fosse incompatibile con il diritto comunitario nei limiti in cui l’applicazione di tale principio impedisse il recupero di aiuto di stato illegale e incompatibile.

2. La sentenza della Corte di Giustizia

La Corte, dopo aver ricordato che spetta ai soli giudici comunitari la competenza a pronunziarsi sull’invalidità di un atto comunitario, procede ad esaminare la ripartizione delle competenze tra istituzioni comunitarie e autorità nazionali in materia di aiuti di stato. I giudici nazionali non possono decidere sulla compatibilità di una misura di aiuto con il diritto comunitario. Tale valutazione ricade nella competenza esclusiva della Commissione. La Corte poi si richiama al consolidato orientamento giurisprudenziale per cui il beneficiario dell’aiuto, che avrebbe potuto impugnare la decisione di incompatibilità della Commissione entro il termine di due mesi, ma non lo ha fatto, non può poi contestare la legittimità di tale decisione nell’ambito di un procedimento davanti al giudice nazionale avente ad oggetto il recupero dell’aiuto. Questa preclusione si applica anche nel caso in cui la decisione di incompatibilità è stata indirizzata direttamente al solo stato membro e il beneficiario dell’aiuto risiede nel territorio di questo.

La Corte affronta quindi il problema dei rapporti tra il principio dell’autorità del giudicato sancito dall’art. 2909 cod. civ. e il recupero dell’aiuto incompatibile. Secondo l’interpretazione del giudice a quo l’ art. 2909 cod. civ. impedisce al giudice di conoscere sia le questioni che sono state in precedenza decise da un organo giurisdizionale in via definitiva, sia le questioni, le quali pur potendo essere sollevate in una controversia precedente, non sono stati invece dedotte in giudizio. Se questa interpretazione dall’art. 2909 cod. civ. è corretta, dalle sentenze pronunziate dai giudici nazionali e passate in giudicato potrebbero conseguire effetti incompatibili con i principi di diritto comunitario in materia di ripartizione della competenze tra autorità nazionali e istituzioni comunitarie. Il rischio è che l’ art. 2909 cod. civ., così come sopra interpretato, potrebbe rendere impossibile il recupero di un aiuto dichiarato incompatibile dalla Commissione.

In breve, la sentenza definitiva con la quale il giudice nazionale ha accertato l’esistenza del diritto di un’impresa alla concessione di una misura di aiuto, in virtù della forza di res iudicata attribuita dall’art. 2909 cod. civ. prevarrebbe sulla decisione con la quale la Commissione ha dichiarato l’incompatibilità della stessa misura. Di conseguenza, tale interpretazione impedirebbe la corretta attuazione del diritto comunitario per quanto riguarda la disciplina degli aiuti di stato.

Ora, secondo la costante giurisprudenza comunitaria i giudici nazionali sono tenuti a interpretare i diritto nazionale in modo tale che l’applicazione di questo costituisca l’attuazione del diritto comunitario. I giudici nazionali sono altresì tenuti a garantire la piena efficacia del diritto comunitario, anche, eventualmente, disapplicando le norme dell’ordinamento nazionale incompatibili con il diritto comunitario.

La Corte di Giustizia conclude, quindi, per la disapplicazione dell’art. 2909 cod. civ. nei limiti del quale l’applicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata impedisce il recupero di un aiuto di stato, erogato illegittimamente in violazione del diritto comunitario e già dichiarato incompatibile dalla Commissione con decisione definitiva.

3. Il principio dell’autorità di res iudicata nei rapporti tra gli ordinamenti giuridici degli stati membri e l’ordinamento comunitario

La sentenza della Corte di Giustizia qui commentata riguarda in primo luogo la disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato, in particolare la presunta impossibilità, in questo caso di natura giuridica, per uno stato membro di adempiere all’obbligo di recuperare un aiuto incompatibile. La sentenza si riferisce anche al rapporto tra i diritti nazionali degli stati membri e il diritto comunitario. Nel caso esaminato dalla Corte erano intervenuti due provvedimenti definitivi, ognuno dei quali dava una valutazione apparentemente inconciliabile della stessa fattispecie concreta. La sentenza del giudice italiano accertava il diritto del beneficiario all’erogazione dell’intero ammontare del contributo finanziario richiesto. Invece, la decisione della Commissione dichiarava l’incompatibilità dell’aiuto con conseguente obbligo in capo all’autorità italiana di provvedere al recupero di tale aiuto.

La Corte di Giustizia risolveva la questione con la disapplicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata della sentenza del giudice italiano, in conformità con la regola della primautè del diritto comunitario sui diritti nazionali degli Stati membri. Di qui, l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare l’art. 2909 cod. civ. quando l’autorità di giudicato attribuita alla sentenze definitive impedisce il recupero dell’aiuto concesso illegittimamente e dichiarato incompatibile con decisione definitiva dalla Commissione.

Già in precedenza la Corte aveva esaminato la questione della contrarietà con il diritto comunitario di una sentenza pronunziata dal giudice nazionale passata in giudicato che accertava la conformità di un provvedimento amministrativo con il diritto comunitario (Corte di Giustizia CE, C-453/00, sentenza del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz).

Ad un’impresa olandese era stato chiesto il rimborso di una parte dei contributi alle esportazioni di carni avicole che erano state in precedenza erogati sulla base di un’erronea applicazione di un regolamento comunitario. Il giudice olandese, investito della questione nel 1991, con sentenza poi passato in giudicato, aveva respinto le richieste dell’attrice Kühne & Heitz ritenendo che il provvedimento amministrativo che disponeva il rimborso delle somme fosse contrario al diritto comunitario. In ogni caso, il giudice olandese non aveva considerato opportuno rinviare la questione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Tuttavia, la Corte stessa, investita di una questione analoga nel 1994, ha fornito la stessa interpretazione della norma comunitaria di quella sostenuta dalla Kühne & Heitz.

La Kühne & Heitz si era allora rivolta ai giudici olandesi al fine di ottenere il riesame del provvedimento amministrativo in questione sulla base della sentenza nel frattempo pronunziata dalla Corte di Giustizia. In questo caso il giudice olandese rinviava la questione alla Corte, la quale stabiliva che la sentenza del giudice nazionale passata in giudicato era fondata su un’errata interpretazione del diritto comunitario. Così risultava anche dalla precedente sentenza della Corte e successiva al passaggio in giudicato della sentenza del giudice olandese di cui sopra. Tale errata interpretazione era stata data dal giudice nazionale senza richiedere l’intervento della Corte in via pregiudiziale ex art. 234 CE.

La Corte inoltre affermava che il principio di certezza giuridica, riconosciuto anche nel diritto comunitario, non impone all’autorità amministrativa l’obbligo di rivedere un proprio provvedimento, divenuto ormai definitivo per il decorso dei termini di impugnazione. Tuttavia, se il provvedimento amministrativo è fondato su un’errata interpretazione del diritto comunitario, successivamente accertata dalla Corte di Giustizia, l’autorità amministrativa deve, secondo il diritto comunitario, esercitare il potere di riesame del provvedimento in questione, previsto dalla legge nazionale, alla luce della corretta interpretazione della norma comunitaria formulata dalla Corte.

In breve, la Corte, ritenendo che il provvedimento in questione violava il diritto comunitario, ha imposto alle autorità olandesi di non tener conto di tale provvedimento, disapplicando così la sentenza passata in giudicato che aveva sancito la legittimità del provvedimento.

Si deve osservare che le circostanze di fatto e di diritto nel caso Lucchini erano alquanto differenti da quelle del caso Kühne & Heitz, il che spiega le diverse soluzioni adottate dalla Corte. Il caso Kühne & Heitz aveva ad oggetto un rapporto verticale tra un soggetto nazionale e l’autorità amministrativa e verteva sull’interpretazione di una normativa comunitaria che attribuiva particolari diritti al soggetto nazionale. Il problema era allora risolvibile facendo ricorso alla possibilità prevista dal diritto olandese per l’autorità amministrativa procedente di riesaminare un provvedimento già adottato, tenendo conto della corretta interpretazione del diritto comunitario formulata nella sentenza della Corte nel frattempo intervenuta.

Invece nel caso Lucchini si avevano due provvedimenti definitivi, uno nazionale e l’altro comunitario, tra loro in conflitto. Come traspare dalla succinta motivazione della Corte, il provvedimento nazionale attentava alla divisione delle competenze tra autorità nazionali e la istituzioni comunitarie in materia di aiuti di stato, pregiudicando i poteri che il Trattato CE attribuisce alla Commissione al fine di accertare la legalità e compatibilità degli aiuti.

L’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni osserva che nel procedimento nazionale che si è concluso con la sentenza passata in giudicato i giudici italiani investiti della causa hanno compiuto per ignoranza o per incuria gravi errori. Il giudice di primo grado non ha accertato il rispetto delle norme di diritto comunitario che impongono l’obbligo di standstill nel caso le autorità nazionali intendono concedere un nuovo aiuto in attesa che la Commissione decida sulla compatibilità dell’aiuto stesso. Né il giudice di primo grado si è preoccupato di verificare l’esistenza di una decisione della Commissione sulla compatibilità dell’aiuto. Il giudice di secondo grado, poi, non ha rispettato la decisione negativa presa dalla Commissione. Ma anche l’autorità amministrativa ha compiuto errori, non avendo comunicato ai giudici l’esistenza della decisione della Commissione di incompatibilità.

Secondo l’avvocato generale, la ripartizione dei poteri tra i diritti nazionali degli stati membri e diritto comunitario va rispettata molto rigorosamente. L’autorità di cosa giudicato che il diritto nazionale riconosce ad una sentenza divenuta definitiva e fondata sull’interpretazione esclusiva del diritto nazionale e in patente violazione del diritto comunitario, non può costituire un ostacolo ai poteri riconosciuti dall’ordinamento comunitario alla Commissione. Ulteriore conferma della prevalenza delle norme contenute nel trattato in materia di aiuti stato è tratta dalla qualificazione di queste da parte dei giudici comunitari come disposizioni di ordine pubblico. Ne consegue che le autorità nazionali non possono adottare provvedimenti incompatibili con le precedenti decisioni della Commissione, né le decisioni delle autorità nazionali possono incidere i poteri della Commissione.

Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ha statuito che:

• il principio dell’autorità di cosa giudicata non può costituire un impedimento per il recupero di un aiuto di stato erogato illegalmente e l’incompatibilità del quale è stata accertata con decisione definitiva della Commissione;

• le autorità nazionali devono disapplicare il principio dell’autorità di cosa giudicata nei limiti in cui ostacola il recupero di aiuti illegali e incompatibili.

Per quanto riguarda poi, più specificamente, la disciplina comunitaria degli aiuti di stato, la sentenza in esame non si discosta dall’orientamento restrittivo dei giudici comunitari per l’accertamento di un impedimento assoluto all’obbligo di recuperare una misura di aiuto erogata in violazione del diritto comunitario. Gli stati membri sono obbligati al recupero di un aiuto incompatibile, salvo che dimostrino l’esistenza di circostanze impreviste e imprevedibili, in presenza delle quali l’attuazione del recupero risulti impossibile. Non è sufficiente che lo stato membro comunichi alla Commissione le ragioni per le quali ritiene il recupero sia impossibile; ma è necessario che abbia iniziato la procedura di esecuzione al fine di dimostrare le difficoltà per il recupero. Ad ogni modo, sino ad oggi, la Corte non ha mai riconosciuto l’esistenza di un motivo di impossibilità assoluta tale da esonerare lo stato membro dall’obbligo di recupero

Anche nel caso Lucchini la Corte ancora una volta non ha ritenuto di poter individuare alcun impedimento assoluto all’attuazione dell’obbligo di recupero. Non è stata, infatti, considerata come motivo di impossibilità del recupero dell’aiuto incompatibile la sentenza pronunziata dal giudice nazionale e passata in giudicato che condannava l’autorità pubblica all’erogazione dello stesso aiuto. Anzi, non solo la forza di giudicato della sentenza nazionale non poteva essere validamente invocata come impedimento assoluto al recupero; ma le autorità nazionale sono tenute a disapplicare le norme nazionali che attribuiscono la forza di giudicato alle sentenze divenute definitive in quanto ostacolano il recupero degli aiuti incompatibili.



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Corte di Giustizia CEE, sentenza 13 gennaio 2004, causa C-453/00, Kühne & Heitz c Productschap voor Pluimvee en Eieren

Corte di Giustizia CE, sentenza 18 luglio 2007, causa C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c Lucchini Spa

Conclusioni dell’Avvocato Genere L.A. Gelhoed, presentate il 14 settembre 2006, C-119/05, Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato c Lucchini Spa

Edoardo Gambaro e Antonio Papi Rossi, Il recupero degli aiuti illegali e incompatibili’, in AAVV Concorrenza e Aiuti di Stato, Giappichelli Torino

Giuseppe Tesauro, Diritto Comunitario, Cedam, Padova