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Cassazione Civile: l’attività di B&B non costituisce modificazione della destinazione d’uso di civile abitazione

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’uso della propria abitazione come B&B non costituisce modificazione della destinazione d’uso dell’immobile e può aversi anche qualora questo faccia parte di un condominio.

Nel caso di specie, l’amministratore del condominio, quale rappresentante di tutti i condomini, ricorreva in giudizio contro le proprietarie di due appartamenti del complesso condominiale, le quali esercitavano attività di “Bed&Breakfast” nelle rispettive abitazioni, per chiederne la condanna all’immediata cessazione dell’illegittima attività alberghiera.

In particolare, si riteneva violata una disposizione del regolamento condominiale che prevedeva “il divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato”.

L’attività svolta era da considerarsi illegittima, non essendo stato approvato dall’assemblea dei condomini il diverso uso dell’immobile.

Il Tribunale, espletata l’istruttoria, condannava le convenute a cessare l’attività alberghiera nelle loro unità immobiliari.

Impugnata la sentenza che le vedeva soccombenti, le proprietarie dei due appartamenti vedevano accolte le proprie domande dalla Corte d’Appello, la quale riteneva le condotte delle proprietarie non in contrasto con quanto stabilito dal regolamento condominiale.

Accertato che lo svolgimento di attività di affittacamere non costituisce modificazione della destinazione d’uso per civile abitazione delle unità immobiliari, risultava inammissibile un’interpretazione estensiva della disposizione del regolamento condominiale e dunque infondata la censura del giudice di primo grado.

L’amministratore del condominio ricorreva in Cassazione, rilevando l’errore in cui era incorsa la Corte territoriale nel definire il concetto di “civile abitazione” come previsto dal regolamento condominiale. Sulla base di ciò, l’attività alberghiera, effettivamente svolta dalle proprietarie dei due immobili, non poteva ricomprendersi nel concetto di “civile abitazione” e dunque legittimarsi senza una preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini.

In sostanza, secondo la Cassazione, nel caso di specie, la previsione regolamentare non poteva essere legittimamente interpretata in modo restrittivo, tale da vietare ogni attività che si potesse svolgere in immobili facenti parte del complesso condominiale che non si esaurisse in un godimento personale da parte dei proprietari. In più, il condominio non aveva offerto nei gradi di giudizio precedenti, alcun elemento che permettesse di rilevare quale fosse la reale volontà delle parti nella determinazione del regolamento condominiale e nel senso da attribuire al concetto di “uso abitativo”.

Da ciò deriva che l’uso del proprio immobile per svolgervi attività di affittacamere risulta pienamente legittimo e non in contrasto con l’“uso abitativo” a cui sono vincolati i condomini, a meno che non sia diversamente provato in sede giudiziaria.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata, da ritenersi priva di ogni censura, con condanna delle parti soccombenti al pagamento delle spese di giudizio.

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione  Civile, Sentenza 20 novembre 2014, n. 24707)

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’uso della propria abitazione come B&B non costituisce modificazione della destinazione d’uso dell’immobile e può aversi anche qualora questo faccia parte di un condominio.

Nel caso di specie, l’amministratore del condominio, quale rappresentante di tutti i condomini, ricorreva in giudizio contro le proprietarie di due appartamenti del complesso condominiale, le quali esercitavano attività di “Bed&Breakfast” nelle rispettive abitazioni, per chiederne la condanna all’immediata cessazione dell’illegittima attività alberghiera.

In particolare, si riteneva violata una disposizione del regolamento condominiale che prevedeva “il divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato”.

L’attività svolta era da considerarsi illegittima, non essendo stato approvato dall’assemblea dei condomini il diverso uso dell’immobile.

Il Tribunale, espletata l’istruttoria, condannava le convenute a cessare l’attività alberghiera nelle loro unità immobiliari.

Impugnata la sentenza che le vedeva soccombenti, le proprietarie dei due appartamenti vedevano accolte le proprie domande dalla Corte d’Appello, la quale riteneva le condotte delle proprietarie non in contrasto con quanto stabilito dal regolamento condominiale.

Accertato che lo svolgimento di attività di affittacamere non costituisce modificazione della destinazione d’uso per civile abitazione delle unità immobiliari, risultava inammissibile un’interpretazione estensiva della disposizione del regolamento condominiale e dunque infondata la censura del giudice di primo grado.

L’amministratore del condominio ricorreva in Cassazione, rilevando l’errore in cui era incorsa la Corte territoriale nel definire il concetto di “civile abitazione” come previsto dal regolamento condominiale. Sulla base di ciò, l’attività alberghiera, effettivamente svolta dalle proprietarie dei due immobili, non poteva ricomprendersi nel concetto di “civile abitazione” e dunque legittimarsi senza una preventiva autorizzazione dell’assemblea dei condomini.

In sostanza, secondo la Cassazione, nel caso di specie, la previsione regolamentare non poteva essere legittimamente interpretata in modo restrittivo, tale da vietare ogni attività che si potesse svolgere in immobili facenti parte del complesso condominiale che non si esaurisse in un godimento personale da parte dei proprietari. In più, il condominio non aveva offerto nei gradi di giudizio precedenti, alcun elemento che permettesse di rilevare quale fosse la reale volontà delle parti nella determinazione del regolamento condominiale e nel senso da attribuire al concetto di “uso abitativo”.

Da ciò deriva che l’uso del proprio immobile per svolgervi attività di affittacamere risulta pienamente legittimo e non in contrasto con l’“uso abitativo” a cui sono vincolati i condomini, a meno che non sia diversamente provato in sede giudiziaria.

In conclusione, la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata, da ritenersi priva di ogni censura, con condanna delle parti soccombenti al pagamento delle spese di giudizio.

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione  Civile, Sentenza 20 novembre 2014, n. 24707)