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Giovani e giovanissimi nello Studio legale

nuove generazioni e nuove dinamiche
Natura
Ph. Isacco Emiliani / Natura

I Millennials, o generazione Y, cioè i ragazzi nati tra il 1981 e il 1996, rappresentano le nuove leve dell’avvocatura. Negli studi legali si possono riconoscere non solo per la giovane età, mediamente tra i 25 e i 30 anni, ma anche per la costante presenza di un oggetto digitale tra le mani, dal cellulare allo smartphone e, soprattutto, per la modalità di utilizzo dello stesso.

Un quarantenne o un cinquantenne utilizza anch’egli il telefonino, ma in modo più asettico, come strumento di lavoro, anche se alcuni con atteggiamento ossessivo compulsivo.
Un Millenials, invece, vive l’oggetto come parte di sé, come estensione del proprio essere. La tecnologia è nata con loro, li ha accompagnati nella crescita e seguono l’evoluzione come un compagno di viaggio che c’è sempre stato.

La generazione precedente, Generazione X, invece, tende a vivere la tecnologia come una scoperta postuma per alcuni e come un “male necessario”, per altri, ma restano strumenti, non modi di relazionarsi e di vivere la realtà.

Partiamo da qui per comprendere come in uno Studio legale i giovani avvocati figli di questa generazione tecnologica si relazionano con i colleghi, con i clienti e come sono portati a vivere la professione.

 

Il lavoro in team

Partiamo da una delle caratteristiche più importanti dal punto di vista professionale che i MIllenials portano in Studio: poiché sono abituati a fare gruppo, complice i mezzi di comunicazione tecnologico con cui sono cresciuti, dai social alle App, i MIllenials in Studio sono più portati, rispetto all’avvocato tradizionale, a fare squadra, a lavorare in team. La precedente generazione vede molti individualisti, molti avvocati che già da giovani scalpitavano per la carriera e per mettersi in proprio. La nuova generazione di professionisti vede ragazzi più portati al gioco di squadra e più attratti dalle grandi strutture, in cui amano lavorare, che dalla prospettiva di mettersi in proprio. Certo, molti potrebbero dire, anche per le difficoltà che il mercato presenta, ma prima ancora per un fatto culturale.

I Millenials sono più propensi a entrare e rispettare le gerarchie interne all’organizzazione, a ricevere compiti e svolgerli con diligenza. Ciò che spesso manca, invece è l’iniziativa, la propositività e quella voglia di “mordere il freno” per fare la differenza.

Tendono questi ragazzi ad adattarsi alle situazioni e a fare il loro, con minor ambizione e tenacia rispetto alla generazione precedente, che spesso ha bruciato le tappe e costruito il proprio sogno professionale mettendosi in proprio o scalando le vette della partnership.

 

Propensione al sacrificio

I Millenials sono portati a fare squadra e ad adempiere al loro, ma sono poco portati al sacrificio per il di più, per fare la differenza, per scalare le gerarchie. Molti usano l’espressione “non hanno fame” per intendere la fame di successo e l’ambizione di superare gli altri. La ragione non è solo ambientale (le difficoltà del mercato, la famiglia che li ha coccolati dandogli tutto), come spesso si crede, ma soprattutto culturale: chi nasce e cresce in un mondo dove la tecnologia mette in contatto e fa sentire le persone gruppi, parte di, sarà poi portato a rispettare questa idea per tutta la vita. Così come un avvocato nato negli anni ’60 vede con fatica la condivisione dei progetti professionali con altri colleghi perché ha una mentalità individualista, allo stesso modo il giovane avvocato trentenne vede poco il proprio futuro da solo in studio.

 

Fidelizzazione

Il fatto che i giovani professionisti amino stare in gruppo, non vuol dire che non amino cambiare. La generazione dei Millenials fa parte di una generazione “liquida” (per usare un termine coniato dal filosofo Zygmunt Bauman). Ciò comporta che essi amano il cambiamento, quindi tenderanno a cambiare studio più facilmente di quanto non lo facesse la generazione precedente, che era restia al cambiamento e portata a mettere radici, anche professionali.

I Millenials sono portati al cambiamento anche internamente allo Studio: quindi sono poco attaccati alle cose materiali, e molto di più alle idee e alle novità. Ad essi piace l’organizzazione, piace la tecnologia e tutto ciò che rende più fluido il lavoro.

Tutto questo comporta anche una loro maggior costanza nello svolgimento delle attività, perché tendono a distrarsi facilmente e a saltare da un’attività all’altra, anche se – a differenza della generazione precedente – non amano il multitasking, anzi lo patiscono molto.

Con la pandemia sono stati decisamente coloro che si sono adattati meglio e prima al cambiamento, utilizzando le piattaforme digitali e le chat come naturali strumenti di lavoro e di comunicazione. Sono per definizione smart workers, professionisti in mobilità, che apprezzano lavorare a distanza, così come non sono legati necessariamente ad un posto fisico di lavoro.

 

On line, smart working, mobilità

Se nasci in un mondo connesso, dove la tecnologia ti permette di dialogare in qualunque momento con chiunque e di sentirti in qualunque luogo, dovunque tu sia, la conseguenza non può che essere l’esigenza di essere sempre “sul pezzo”, sempre connessi e pronti. I Millenials si sentono sempre pronti a condividere, esperienze, problematiche, considerazioni, successi. La condivisione supera l’antagonismo, la volontà di far sapere supera il senso di riservatezza e il desiderio di fare qualcosa per la comunità supera l’individualismo.

Abbiamo visto come la pandemia per loro non ha rappresentato uno shock come per altri professionisti e come si siano adattati più facilmente ai cambiamenti imposti, al punto che ora la flessibilità viene reclamata come sostenibilità del lavoro.

Da tutto ciò si possono capire le difficoltà relazionali che spesso si riscontrano in Studio tra le due generazioni, la X e la Y. Ciascuna generazione porta la propria cultura, abitudini e attitudini; le due sono come due tessere si un puzzle che spesso non vanno insieme e ciascuna rivendica la bontà delle proprie caratteristiche. Poco male, l’importante è avere consapevolezza e saper confrontarsi e rendere quello che inizialmente può essere un gap in una opportunità. I Millenials hanno da imparare molto dalla generazione precedente, soprattutto il senso dello spirito di sacrificio per ottenere le cose, il valore della grinta e della determinazione e il valore della sana ambizione. I 40-50enni, generazione X, hanno a loro volta da imparare dalle nuove generazioni come si fa squadra e si supera l’individualismo, la capacità di fidarsi degli altri, il valore del cambiamento come opportunità di crescita, invece di cristallizzarsi. Ovviamente possiamo in questa sede solo generalizzare, perché poi all’interno di ciascuna categoria ci sono le soggettività, per cui possiamo trovare un cinquantenne apertissimo al cambiamento e fautore del gioco di squadra e un trentenne ambizioso e individualista.

Giusto per dare una chiusura a questo spaccato epocale, molti lettori pensavano che con Millenials ci si riferisse ai nati nel nuovo millennio, e invece no. Allora come si chiamano costoro che si sono affacciati al mondo con lo scoccare degli anni 2000? Sono la generazione Z. E allora – potremmo chiederci – se l’ultima generazione del vecchio millennio sono la Generazione Y, la prima generazione del nuovo millennio sono la Generazione Z, quelli prima ancora, quindi i 40-50enni a quale generazione appartengono? Siamo – mi ci metto anche io nato nel famoso 1969, quando siamo andati sulla Luna – la Generazione X.

Ecco, adesso sapete come siamo catalogati e sappiate che per ciascuna generazione le caratteristiche, un po’ come i segni zodiacali, sono molto diverse e la diversità nasce in primo luogo dall’impatto della tecnologia e dei mezzi di comunicazione di massa, i famosi mass media che hanno dettato e dettano sempre di più le linee guida di una crescita non solo economica, ma anche culturale e individuale. Chi ha figli dell’età preadolescenziale e adolescenziale potrà toccare con mano la differenza tra questi giovani virgulti e i trentenni che hanno in studio come giovani avvocati.