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Il principio del ne bis in idem nella giurisprudenza comunitaria

ultimi sviluppi
Nuvole in viaggio
Ph. Luca Martini / Nuvole in viaggio

Abstract

Il principio del ne bis in idem, in campo comunitario ha conosciuto, e conosce tutt’ora, un continuo sviluppo da principio di carattere meramente procedurale a principio di natura sostanziale. A partire dalla nota sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976, la Dottrina e Giurisprudenza comunitaria hanno intrapreso una lunga e complessa indagine con il fine di chiarire se il c.d. “doppio binario sanzionatorio” penale e amministrativo presente in molti paesi dell’Unione e, in primis, in Italia, possa ritenersi legittimo se letto sotto la lente dell’art 4, comma primo, del Protocollo n. 7 alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in forza del richiamo effettuato dall’art. 117 Cost..

La questione, come si vedrà, è ancora aperta e presenta varie criticità che necessitano una definizione. Con il presente lavoro si vedrà, tramite una cronistoria delle pronunce più note in materia, quali sono gli approdi della Giurisprudenza attuale, ponendo l’attenzione sul rapporto fra il sistema penal-tributario ed amministrativo-tributario, per poi giungere alle ultime considerazioni recentemente depositate dall’Avvocato Generale della Corte UE M. Bobek.

 

Gli Engel Criteria

Va premesso che la Giurisprudenza comunitaria non impedisce l’esistenza di un c.d. binario sanzionatorio, lasciando alla discrezionalità degli Stati membri la possibilità di sanzionare medesimi fatti sia in via amministrativa che in via penale. La premessa, tuttavia, va necessariamente contemperata con l’art. 4, comma 1, protocollo 7 CEDU – “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato” – e sue interpretazioni, nonché con gli articoli 6 e 7 CEDU. Il dettato della norma (art. 4 protocollo 7 CEDU) manifesta le potenziali incompatibilità tra l’esistenza di un doppio binario sanzionatorio e il rispetto della stessa e proprio su questi presupposti si è instaurato tutto il passato ed attuale dibattito giurisprudenziale e dottrinale a partire dal 1976 con la già citata sentenza Engel c. Paesi Bassi.

Con la sentenza in commento la Corte EDU ha voluto individuare tre regole allo scopo di determinare la natura penale di una fattispecie e susseguente violazione del principio del ne bis in idem, sì da impedire che gli Stati membri potessero, tramite arbitrarie etichettature nazionali della fattispecie, mascherare norme più tipicamente penali e di carattere repressivo con sanzioni amministrative ovvero in altro modo considerate.

Tali criteri sono tre e sono qui di seguito compendiati.

(i) qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale: ovvero qualificare dal punto di vista interno se alla sanzione è attribuita valenza penale, la cui funzione principale è quella afflittiva. La Corte CEDU si è più volte espressa sul concetto di “valenza penale” della controversia al fine di superare la varietà delle impostazioni di politica criminale seguite dai vari ordinamenti nazionali, con l’obiettivo di garantire all’individuo una protezione rafforzata di fronte all’esercizio dello ius puniendi da parte delle autorità statali: da questo punto di vista non rileva la qualificazione formale della sanzione ma occorre rilevare alla sua sostanza, verificando in concreto la sua finalità . Ne consegue che una sanzione avente finalità repressiva presenta natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, e che la mera circostanza che essa persegua parimenti una finalità preventiva non è idonea a privarla della sua qualificazione di sanzione penale. Infatti, rientra nella natura stessa delle sanzioni penali che esse tendano sia alla prevenzione sia alla repressione di comportamenti illeciti. Per contro, una misura che si limiti a risarcire il danno causato dall’illecito in questione non riveste natura penale; (ii) natura dell’illecito: la garanzia sancita all’articolo 4 del protocollo n.7 entra in gioco quando viene avviato un nuovo procedimento e la precedente decisione di assoluzione o di condanna è già passata in giudicato. In questa fase, gli elementi del fascicolo comprenderanno ovviamente la decisione con la quale si è concluso il “primo” procedimento penale e la lista delle accuse mosse o degli illeciti attribuiti nei confronti dal ricorrente nell’ambito del nuovo procedimento. Tali documenti includono ovviamente un’esposizione dei fatti relativi all’illecito per cui il ricorrente è già stato giudicato e una descrizione del secondo illecito di cui è accusato. Per l'accertamento della sussistenza dell'idem factum occorre, quindi, fare riferimento esclusivamente al criterio della identità dei fatti materiali, intesi come esistenza di un insieme di circostanze concrete inscindibilmente collegate tra loro, che hanno condotto all'assoluzione o alla condanna definitiva dell'interessato; essendo a tal fine irrilevante la qualificazione giuridica data a quel fatto dall'ordinamento nazionale; (iii) grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere : occorre rilevare che una sanzione amministrativa pecuniaria che può raggiungere l’importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito con la condotta illecita (per es. manipolazioni di mercato) presenta un grado di gravità elevato, tale da corroborare la tesi secondo cui tale sanzione riveste natura penale ai sensi dell’articolo 50 della Carta, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.

Sul tema non può non citarsi la nota sentenza Grande Stevens e altri c. Italia del 2014, laddove la Corte EDU ha stabilito che le sanzioni irrogate dalla CONSOB (Commissione nazionale per la società e la borsa) che nel nostro ordinamento hanno natura amministrativa e consistono in pesanti sanzioni economiche, avrebbero in realtà natura penale per la loro natura repressiva e la notevole severità.

Il pregio della succitata sentenza è di aver reso manifesti dei principi insiti nell’ordinamento costituzionale europeo e nazionale, laddove si afferma la possibilità che le sanzioni amministrative, laddove risultino eccessivamente onerose e in concorrenza con fattispecie penali, scaturenti dal medesimo fatto storico e medesima condotta, non possano essere comminate per la violazione del principio del ne bis in idem.

In conclusione, ciò che rileva non è tanto il dato formale della fattispecie – oltre tutto variabile da ordinamento ad ordinamento – bensì la sua natura sostanzialmente penale. Gli Engel Criteria costituiscono oramai un caposaldo della Giurisprudenza europea e trovano applicazione in numerose pronunce. Tuttavia, la questione non può dirsi essersi risolta ed anzi, soprattutto nello scorso decennio, numerose sono le sentenze che hanno tentato di affinare i criteri di indagine da adottarsi in ordine ad un’eventuale violazione del principio del ne bis in idem, creando via via criteri sempre più specifici e precisi che forniscano ai giudici nazionali delle linee guida da adottare in sede di giudizio, anche al fine di limitare la discrezionalità dell’Organo giudicante ed evitare così che situazioni simili o uguali vengano trattate in maniera differente.

 

I criteri creati dalla sentenza A. e B. c. Norvegia

Dopo un periodo di sostanziale stratificazione consolidamento dei principi in tema di rapporto tra ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio – seppur la Giurisprudenza non si potesse ancora dire uniforme – la Grande Camera della Corte EDU ha parzialmente rivisto le sue posizioni con la sentenza A. e B. c. Norvegia del 2016 contribuendo a creare un ulteriore clima di incertezza.

Il caso vede due contribuenti norvegesi che lamentavano una sostanziale violazione del principio in commento, sostenendo di essere stati punti due volte – in un procedimento amministrativo e penale – per il medesimo fatto illecito penale.

La sentenza, pur riconfermando ancora una volta la validità dei Engel Criteria, introduce tutta una nuova serie di criteri che consentono la coesistenza di un procedimento penale ed amministrativo quando tra i due sussista una “sufficiently close connection in substance and time”.

Tale connessione, in concreto, andrà rilevata avendo a riguardo i seguenti criteri: (i) i due procedimenti devono perseguire scopi tra loro complementari, avendo ad oggetto differenti aspetti della medesima condotta antisociale. Nel caso di specie le norma tributarie, a parere della Corte, perseguono lo scopo di ripagare gli sforzi dell’amministrazione nell’individuare e punire le condotte evasive, mentre la sanzione penale è un vero e proprio “rimprovero” da parte dello stato per un comportamento illecito; (ii) sufficiente prevedibilità dell’irrogazione della doppia sanzione penale ed amministrativa per il medesimo fatto; (iii) i due procedimenti devono essere condotti sì da limitare lo spreco di risorse, conseguente alla duplice attivazione della macchina della giustizia, in particolare in ordine alla raccolta e formazione della prova. A tal fine è necessaria l’esistenza di un’adeguata interazione tra le varie autorità competenti; (iv) adeguata proporzione della pena irrogata, complessivamente considerata; (v) dal punto di vista temporale non è necessario che i due procedimenti vengano condotti contemporaneamente, ma si richiede un qualche collegamento di natura cronologica.

Le criticità allora sorte attenevano, in particolar modo a due profili. Da una parte i criteri sono stati definiti da più parti eccessivamente elastici, non consentendo ab origine di prevedere l’esito di una propria condotta in maniera più o meno certa. Si cita a tal proposito l’Avvocato generale M. Campos Sànchez-Bordona, il quale si era spinto a sollecitare un livello di tutela del principio del ne bis in idem più elevato, dopo il sorprendente ripensamento effettuato con la sentenza in commento, laddove si era sostanzialmente scaricato sui giudici nazionali l’onere di individuare in maniera atomistica l’esistenza dei criteri di connessione appena creati e conseguente indagine in ordine alla violazione del principio ex art. 4, comma 1, protocollo 7 EDU. Dall’altra ci si chiedeva fino a che punto le corti nazionali potessero spingersi a non ritenere violato l’articolo 50 CFDUE, il quale, ad avviso dell’Avvocato generale, non dovrebbe subire alcuna limitazione e gode, oltre tutto, di carattere auto applicativo con conseguente efficacia diretta per i giudici nazionali.

Insomma, la sentenza sui contribuenti norvegesi del 2016 ha sostanzialmente affermato che una duplice risposta sanzionatoria su un medesimo fatto non necessariamente comporta la violazione del ne bis in idem.

Conformemente alla pronuncia in commento si è espressa anche la Corte lussemburghese con tre note sentenze (C-524/15, Menci; C-537/16, Garlsson Real Estate e a.; C-596/16 e 597/16, Di Puma e Zecca).

Tutte e tre le pronunce nascono da rinvii pregiudiziali fondati sul dubbio di compatibilità del doppio binario sanzionatorio con l’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 del protocollo n. 7 CEDU.

Procedendo con ordine, interessante è vedere come i nuovi criteri di indagine creati ad hoc dalla sentenza A. e B. c. Norvegia sono stati applicati nei rispettivi casi specifici.

In ordine alla c.d. causa Menci, la quale presentava un classico caso di doppio binario, con la sanzione tributaria-amministrativa da un lato già irrogata e un procedimento penale ancora in corso dall’altro, la Corte era chiamata a rispondere al seguente quesito, presentato con ordinanza dal Tribunale di Bergamo: “se la previsione dell’art. 50 CDFUE, interpretato alla luce dell’art. 4 Prot. n. 7 CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile”.

In sintesi la Corte rilevava che (i) il perseguimento da parte dell’amministrazione italiana del pagamento dell’IVA è attività di estrema rilevanza che si pone in senso complementare con l’attività penale; (ii) la doppia sanzione è prevedibile essendo tassativamente prevista dalla legge – amministrativa e penale – una disciplina governante i due differenti procedimenti; (iii) gli oneri derivanti dai due procedimenti appaino limitati dal; (iv) la previsione di soglie di punibilità, secondo la Corte, sarebbe elemento di per sé sufficiente a limitare gli oneri dettati dall’avvio di un duplice procedimento.

Per quanto riguarda la causa Garlsson Real Estate e a., in materia di manipolazioni di mercato, la Corte di Lussemburgo, chiamata a rispondere su un quesito pressoché identico a quella del rinvio Menci, risponde che (i) la tutela dei mercati finanziari è un interesse di fondamentale importanza, sia nell’ambito nazionale, che dell’Unione e ritiene, pertanto, il doppio binario a tal fine necessario; (ii) si ravvisa, come nel caso Menci, la prevedibilità della doppia azione sanzionatoria, ma si evidenzia parimenti l’eccessivo sacrificio per l’imputato, sia per la proporzione della sanzione (iv), sia per l’esposizione ad un doppio giudizio (iii).

Le risultanze sono qui differenti dalla precedente causa Menci. Infatti, motiva la Corte, gli interessi da tutelarsi risulterebbero già ampiamente protetti dalla sola attivazione del procedimento amministrativo e conseguente sanzione ex art. 187-ter t.u.f., la cui severità soddisfa ampiamente l’esigenza di tutela senza la necessità che si attivi un ulteriore procedimento di natura penale.

In ultimo la causa Di Puma e Zecca, in materia di abuso di informazioni privilegiate, fatto punito ex art. 187-bis t.u.f. in sede amministrativa ed ex 184 t.u.f. in sede penale. La Cassazione, attesa la sanzione irrogata in sede amministrativa dalla CONSOB, ma non anche in sede penale laddove si era giunti ad una sentenza di assoluzione, ha sollevato la nuovamente la questione dinanzi la Corte lussemburghese, domandandosi se il ne bis in idem convenzionale fosse ammissibile nel caso di specie.

Rispetto alle precedenti pronunce, tuttavia, si inserisce un ulteriore elemento, l’art. 654 c.p.p., articolo diretto a far valere l’efficacia di cosa giudicata del provvedimento di natura penale anche nel procedimento amministrativo. L’empasse è dunque evidente: attesa la valenza del giudicato penale anche nel procedimento amministrativo – in questo specifico caso concretizzatosi in una sentenza di assoluzione – è ammissibile che il procedimento amministrativo giunga contrariamente ad una condanna con irrogazione della sanzione?

La questione probabilmente, in un periodo antecedente alla pronuncia A. e B. c. Norvegia, si sarebbe risolta con una prevedibile declaratoria di inammissibilità della condanna. Tuttavia, basandosi su un quadro giurisprudenziale mutato, la Corte ha dovuto riformulare il quesito posto alla sua attenzione dalla Suprema Corte italiana chiedendosi se l’art. 14, paragrafo 1 2003/6, osti ad una normativa nazionale come quella dettata dall’art. 654 c.p.p.

La risposta è di segno negativo. Ripercorrendo l’iter logico delle altre due sentenze (Menci e Garlsson) – in applicazione dei criteri della pronuncia A e B c. Norvegia – La Corte di Giustizia da un lato riafferma l’importanza accordata alla tutela dei mercati finanziari, l’idoneità degli strumenti sanzionatori a ciò preposti e congruità a limitare l0articolo 50 CDFUE, dall’altro però rileva come l’articolo 14, paragrafo 1 della direttiva 2003/6 (relativa all’abuso di informazioni privilegiate) non osti ad una disciplina nazionale che affermi (come quella ex art. 654 c.p.p.) la valenza di cosa giudicata emessa nel penale nel differente ambito amministrativo ed in forza della quale non si può punire taluno in sede amministrativa per i medesimi fatti in relazione ai quali lo stesso è stato invece assolto in sede penale.

Quanto emerge dal rapido compendio delle sentenze ut supra, è che i criteri creati dalla nuova giurisprudenza europea con la sentenza A e B. c. Norvegia hanno sostanzialmente eliminato l’automatismo nel riconoscimento della violazione del ne bis in idem convenzionale, richiedendo invece che i giudici nazionali e sovranazionali si pongano delle domande in relazione ad ogni singolo caso concreto. Gli effetti, come sollevava l’Avvocato generale M. Campos Sànchez-Bordona, sono quelli di una generale incertezza che lascia eccessiva discrezionalità in capo ai singoli giudici, i quali, se lo ritenessero, avranno facoltà di applicare in via diretta l’art. 50 CDFUE, al fine di rilevare la violazione del ne bis in idem convenzionale e sterilizzare così eventuali doppi binari sanzionatori non conformi alle Carte costituzionali, siano queste europee, ovvero nazionali in forza del richiamo ex art. 117 Cost.

 

Le recenti conclusioni dell’Avvocato Generale M. Bobek

Si innestano recentemente nel dibattito anche le conclusioni dell’Avvocato Generale M. Bobek, formulate in ordine alla causa Causa C‑117/20 bpost SA c. Autorité belge de la concurrence.

L’Avvocato apre la disamina evidenziando come la questione sia di difficile risoluzione in considerazione dello spazio normativo, giuridico ed organizzativo nel quale si pone: quello dell’Unione europea, una dimensione caratterizzata dallo stratificarsi di enti e normative spesso in conflitto tra di loro, tra le quali risulta difficile individuare con certezza le competenze.

Le difficoltà, inoltre, attengono alla corretta interpretazione dell’articolo 50 della Carta e alla definizione che questo conferisce al termine “reato”. In un sostrato Giuridico come quello iniziato con la sentenza Engel, diviene di fondamentale importanza comprende quando fattispecie considerate amministrative possano invece definirsi penali nella sostanza.

Ad ogni modo, l’ampliarsi delle fattispecie amministrative sostanzialmente penali ha parimenti ampliato l’applicazione dell’art. 50 della Carta a casi sempre più numerosi, rendendo necessario contemperare opposti interessi: da un lato il rispetto delle garanzie costituzionali, dall’altro la libertà per gli stati membri di adottare gli strumenti ritenuti idonei al fine di reprimere comportamenti illeciti, eventualmente anche con l’apertura di un doppio giudizio in due distinte sedi, penale e amministrativa.

Ciò posto, l’Avvocato evidenzia come sul tema la risposta delle istituzioni giuridiche europee risultasse, e ancora risulti, ampiamente insoddisfacente, atta la passata tendenza a sfruttare gli Engel Criteria al fine di ricondurre sotto la competenza della Corte EDU procedimenti nazionali altrimenti sottratti dalla sua giurisdizione, qualificando come “penali” procedimenti formalmente amministrativi. Più recentemente, invece, parimenti insoddisfacente è stata l’inversione di rotta con la sentenza A. e B. c. Norvegia, dove il focus è stato traslato dall’art. 50 all’art. 52, paragrafo 1 CDFUE.

L’attenzione si è pertanto spostata da un discorso di compatibilità della norma all’art. 50 CDFUE ai criteri che, ai sensi dell’articolo 52 CDFUE, consentono alla prima norma di principio di essere compressa nella sua portata.

Nel tentativo di “fare ordine”, l’Avvocato Generale ha dunque ravvisato la necessità di individuare un nuovo criterio su cui porre il focus: l’interesse giuridico tutelato. Pertanto, la valutazione dell’idem ai fini dell’articolo 50 della Carta dovrebbe basarsi su una triplice identità: quella dell’autore, dei fatti rilevanti e dell’interesse giuridico tutelato.

In punto di identità dell’autore, la disciplina dovrebbe risultare pacifica senza ulteriori precisazioni.

In secondo luogo, per quanto riguarda i fatti rilevanti, la ratio vuole che nella misura in cui i due procedimenti si sovrappongono, su tale sovrapposizione vi sia identità, intesa questa non già come una semplice somiglianza, ma una precisa identità fattuale.

Infine, in ordine all’interesse giuridico rilevato la disamina dell’Avvocato Generale si rende più complessa, evidenziando come tale indagine e ricerca vada effettuata ad un livello più elevato, definito “naturale”, che prescinda dalla mera classificazione fornita dal Legislatore nazionale. Non sarà, pertanto, sufficiente rilevare come un reato sia inserito in quella parte di Codice che tutela l’ordine pubblico o la Pubblica Amministrazione, ma i fatti dovranno essere “delocalizzati” dal contesto normativo nazionale specifico, proprio come da tempo accade per le stesse sanzioni formalmente amministrative, ma sostanzialmente penali.

Sintetizzando a chiosa, è possibile dunque fotografare la situazione normativa, dottrinale e giurisprudenziale europea attuale come segue: dopo un lungo periodo di vigenza ed applicazione – quasi “indiscriminata”, si voglia passare il termine – degli Engel Criteria, la Giurisprudenza ha compiuto un notevole passo indietro, ravvisando la necessità di porre dei limiti all’articolo 50 CDFUE alla luce dell’articolo 52 CDFUE, limiti che andranno valutati e posti alla luce dei criteri forniti dalla Giurisprudenza CEDU, sui quali l’Avvocato Generale, nelle sue conclusioni, intende innestarne di nuovi.