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Il principio di chiarezza nella redazione del bilancio

Principio di chiarezza
Principio di chiarezza

Il principio di chiarezza è la regola formulata dall’articolo 2423, secondo comma, Codice civile il quale richiede che le situazioni patrimoniale e finanziaria della società e il risultato dell’esercizio risultino dal bilancio “con chiarezza” e “in modo veritiero e corretto”[1].

La formula, in sé considerata, si declina nel senso che il bilancio deve essere redatto in modo da poter assolvere compiutamente la sua funzione informativa. Esso deve, in primo luogo, essere redatto secondo chiarezza. In particolare, la legge prescrive i criteri formali che gli amministratori debbono osservare nella redazione del bilancio. Si tratta di criteri tecnici che debbono essere seguiti nella sua formazione, in modo che in base ad esso possa essere agevolmente percepita sia la situazione economica della società sia il suo andamento economico[2].

Essendo questa la finalità di tali prescrizioni si comprende il motivo per il quale l’esigenza di chiarezza sia soprattutto riferita al bilancio considerato nella sua unitarietà, non necessariamente alle singole voci di cui esso si compone: occorre cioè che dal bilancio sia agevolmente percepibile la situazione economica patrimoniale della società, che il bilancio vuole e deve rappresentare[3].

In particolare, in molti casi, le eventuali oscurità e imprecisioni del bilancio possano essere eliminati attraverso i dati forniti dalle relazioni degli amministratori e dei sindaci o attraverso i chiarimenti. In questo senso, la giurisprudenza ha affermato che i documenti accompagnatori, allegati al bilancio, sottoposti all’approvazione dell’assemblea, sono funzionali allo scopo informativo del bilancio, alla pari dei chiarimenti offerti in assemblea; non può pertanto ritenersi violato il principio della chiarezza se tali documenti possono sanare l’oscurità del bilancio[4].

La formula chiarezza e precisione”, corrispondente a quella di evidenza e verità”, già contemplata dall’articolo 176 c. comm. e riprodotta nell’articolo 2217, attiene - quanto alla “chiarezza

- al contenuto e alla struttura del documento, e - quanto alla "precisione" - alle valutazioni[5].

Ciò non implica necessariamente che il disposto del secondo comma si esaurisca nell’osservanza delle prescrizioni stabilite dagli artt. 2424 e 2425 Codice civile, il cui contenuto espone solo le regole minimali, mentre la clausola generale impone doveri di chiarezza e di precisione ulteriori[6].

Si è sostenuto - in dottrina e in giurisprudenza - che è nulla per illiceità dell’oggetto, ai sensi dell’articolo 2379 Codice civile, la deliberazione assembleare di approvazione di un bilancio lesivo del principio di chiarezza e precisione e, in generale, delle norme - ritenute imperative e di ordine pubblico - che presiedono alla sua formazione e alla valutazione delle poste. Orientamento contrario a questa tesi, sostiene che è assurdo chiamare in causa l’ordine pubblico e la nullità per l’inosservanza di criteri tratti dalla tecnica contabile aziendale[7]; ma si è fatto notare che la natura tecnica dei criteri adottati dal legislatore non preclude una valutazione delle norme che li recepiscono nel senso dell’imperatività[8].

Si è anche sostenuto, sulla base dell'assunto per il quale il principio di chiarezza avrebbe carattere strumentale rispetto al principio di verità, che solo una violazione del primo principio che venga in concreto a ledere il secondo, mediante la compromissione dell’esattezza dell’informazione sulla effettiva consistenza patrimoniale ed efficienza economica della società, può valere ad incidere sulla validità della deliberazione determinandone la nullità[9].

Secondo un’opposta interpretazione, si è invece asserito che il principio di chiarezza ha una portata autonoma rispetto a quello di verità e si traduce nel diritto del socio ad avere un quadro fedele della situazione patrimoniale, di quella finanziaria e del risultato economico della società e si concretizza con l’obbligo di fornire informazioni complementari integrativi rispetto agli standard legislativi minimali[10]. In particolare, una funzione meramente strumentale della chiarezza nei bilanci societari implicherebbe, oltre che una incomprensibile svalutazione di un principio che sorregge l’informazione contabile, un disconoscimento inaccettabile dell’interesse, anche di terzi, alla conoscenza della composizione del patrimonio sociale e dei rapporti quantitativi tra i suoi diversi componenti, nonché alla conoscenza delle diverse categorie di costi e di ricavi e dei rapporti quantitativi tra le medesime.

Sul piano giurisprudenziale non vi è un orientamento unanime: si è sostenuto che la violazione del principio di chiarezza del bilancio, funzionale al principio di verità, comporta la nullità della deliberazione di approvazione del bilancio stesso, a meno che non si provi che il rilievo della violazione è tale da non incidere sostanzialmente sugli interessi generali[11].

Di opinione diversa è quella giurisprudenza che ha ritenuto che la delibera di approvazione di un bilancio non chiaro e non preciso è nulla indipendentemente dalla prova della non veridicità del medesimo e ciò perché la chiarezza e la precisione sono principi autonomi e non strumentali al principio di verità[12]. Dello stesso tenore la tesi giurisprudenziale che afferma che il principio di chiarezza, relativo al bilancio di esercizio, pur strumentale a quello di verità, riceve dall’ordinamento autonoma tutela, così, attenendo detto principio di chiarezza all’ordine pubblico economico, la sua violazione determina, qualora il bilancio non sia in concreto intelligibile da parte dei soci, la nullità del bilancio stesso e della relativa delibera di approvazione per illiceità dell’oggetto[13].

Più equilibrata, invece, è la tesi che ritiene che la violazione del principio di chiarezza e precisione, per assurgere a causa di nullità, deve incidere sulla funzione assegnata al bilancio dall’articolo 2423 Codice civile in misura tale da alterare l’esatta rappresentazione della consistenza patrimoniale e dell’efficienza economica della società[14].

In conclusione sembra che, considerare nulla la delibera di approvazione del bilancio che difetta di chiarezza, significherebbe appiattire ad una sola dimensione i diversi concetti di verità e di chiarezza, divergenti invece come conseguenze e come portatori di differenti interessi per i soci e per i terzi. La chiarezza non può, di per sé, essere ritenuta una categoria o un valore meritevole di tutela giuridica, ponendosi invece quale connotazione strumentale alla intelligibilità della situazione patrimoniale e del risultato economico: ciò che il legislatore vuole è in definitiva il rispetto del principio di verità. Tale ultimo principio risulta leso soltanto nei casi in cui la mancanza di chiarezza sia la manovra strumentale per nascondere fatti veri, ma ciò deve essere considerata carenza di verità, non di chiarezza, passibile pertanto, anche di sanzioni penali.

La conclusione più condivisibile sembra perciò che, in caso di bilancio carente del solo requisito della chiarezza, la conseguente delibera sia annullabile e non nulla per illiceità dell’oggetto, come pretende qualche sentenza di merito e di legittimità[15].

L’orientamento più recente della giurisprudenza sembra comunque rivolgersi verso la posizione più restrittiva, secondo la quale il principio di chiarezza nella disciplina legale del bilancio di società non è affatto subordinato a quello di correttezza e veridicità del bilancio medesimo, ma è dotato di autonoma valenza, essendo obbiettivo fondamentale del legislatore quello di garantire non solo la veridicità e correttezza dei risultati contabili, ma anche la più ampia trasparenza dei dati di bilancio che a quei risultati conducono, in un sistema d’informazione che postula, appunto, l’idoneità del bilancio a rendere effettivamente fruibili per i soci e per i terzi tutte le informazioni che la legge impone di fornire loro[16].

Abbracciano questa tesi, la delibera assembleare che avesse approvato un bilancio carente del requisito della chiarezza sarebbe nulla[17], anche qualora la mancanza di chiarezza non avesse determinato una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello rappresentato dal bilancio, dovendosi inoltre giudicare irrilevante che il metodo di redazione del bilancio ritenuto contrario ai principi di chiarezza sia stato adottato in passato con il consenso, o addirittura su iniziativa, del socio che ha poi impugnato il bilancio[18].

L’equiparazione del principio di chiarezza a quelli di verità e di correttezza è stato ribadito dalla giurisprudenza, che ha ritenuto illecito il bilancio che violi indifferentemente anche uno solo dei tre criteri indicati dalla norma[19], pur dovendosi ammettere che il requisito della chiarezza può essere ritenuto adempiuto con le informazioni rese dagli amministratori in assemblea[20].

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[1] Colombo, Nullità o annullabilità dei principi di chiarezza e precisione, in Soc, 1995, p. 1318; Patroni Griffi, Dai principi di chiarezza e precisione alla rappresentazione veritiera e corretta: prime riflessioni sistematiche, in GC, 1993, I, p. 387; Santarsiere, Principi di chiarezza e precisione nella redazione del bilancio di esercizio: verificazione dell'osservanza, in GC, 1993, I, p. 3109.

[2] Cerenza, Il principio di chiarezza nella redazione del bilancio bancario e le sanzioni nel caso di sua violazione, in GM, 1996, p. 829; Rango, Sul principio di continuità e sulla chiarezza e precisione dei bilanci, in GC, 1988, II, p. 932.

[3] Sasso, Sulla continuità dei bilanci e sul principio di chiarezza, in GC, 1984, II, p. 732.

[4] Tribunale Bologna, sentenza del 07.01.1995; Cassazione civile, sentenza n. 2959 del 1993.

[5] Colombo, Il bilancio d'esercizio. Strutture e valutazioni, p. 32.

[6] Colombo, Il bilancio d'esercizio. Strutture e valutazioni, p. 34.

[7] Ferri, In tema di verità e chiarezza e di precisione del bilancio d'esercizio, in RDC, 1971, p. 247; contra, Colombo, Una giurisprudenza sui bilanci, in GC, 1976, p. 193.

[8] Colombo, Il bilancio d'esercizio. Strutture e valutazioni, p. 39.

[9] Cassazione civile, sentenza n. 1813 del 1979; In dottrina, Colombo, Il bilancio d'esercizio. Strutture e valutazioni, p. 42; Jaeger, Una polemica da seppellire: il principio di chiarezza del bilancio tra "strumentalità" e "autonomia", in GC, 1994, II, p. 763; Bianchi, Il bilancio delle società, Torino, 2008, p. 9.

[10] Tribunale di Milano, sentenza del 05.11.2001.

[11] Cassazione civile, sentenza n. 6834 del 1994.

[12] Corte d’Appello di Milano, sentenza del 04.12.1992.

[13] Tribunale di Genova, sentenza del 05.05.1988

[14] Tribunale di Firenze, sentenza del 18.5.1993.

[15] Bianchi, Il bilancio, Torino, 2000, p. 13.

[16] Cassazione civile, sentenza n. 8204 del 2004.

[17] Cassazione civile, sentenza n. 10139 del 2007; Cassazione civile, sentenza 928 del 2003.

[18] Cassazione civile, sentenza n. 4874 del 2006.

[19] Corte d’Appello di Napoli, sentenza del 23.11.2007; Corte d’Appello di Catania, sentenza del 24.4.2007)

[20] Tribunale di Milano, sentenza n. 23.8.200.