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Debiti fuori bilancio dell’Ente locale: evoluzione storica, riconoscimento, finanziamento, responsabilità

Tramonto a Marina di ravenna
Ph. Ermes Galli / Tramonto a Marina di ravenna

Debiti fuori bilancio dell’Ente locale: evoluzione storica, riconoscimento, finanziamento, responsabilità

Sommario

Evoluzione storica
Definizione
Organo competente al riconoscimento di legittimità
Finanziamento
Il parere del Revisore dei conti
Responsabilità del dirigente/responsabile
Suggerimenti per evitare debiti fuori bilancio

 

Abstract

Il presente lavoro affronta il tema dei debiti fuori bilancio, una delle patologie più ricorrenti e radicate negli Enti locali che si ripercuotono sugli equilibri economico-finanziari del bilancio stesso in relazione ai singoli esercizi.

Il perseguimento degli equilibri di bilancio è un obiettivo imprescindibile per una corretta “governance” dell’Ente locale, la cui compromissione, oltre a pregiudicare l’erogazione dei servizi essenziali alla cittadinanza amministrata, potrebbe condurre l’Ente alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ai sensi dell’articolo 243-bis del Tuel n. 267/2000 (acronimo di decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) o, ancora peggio, alla dichiarazione dello stato di dissesto finanziario (articoli 244 e seguenti del Tuel). 

L’amministrazione di un Ente locale deve essere orientata al rispetto dei principi di economicità e trasparenza, al fine di garantire una corretta gestione e il miglioramento dei servizi pubblici. Purtroppo, però, talvolta, nonostante le previsioni iniziali, la pubblica Amministrazione deve affrontare delle spese non previste: tali possono definirsi i debiti fuori bilancio.

 

Evoluzione storica

Una sistemazione organica definitiva della materia del riconoscimento dei debiti fuori bilancio è avvenuta solo con l’articolo 194 del TUOEL n. 267/2000 (acronimo di Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti Locali).

L’ordinamento contabile ha sempre tentato di arginare la formazione di debiti verso terzi extra gestione del bilancio. Infatti, già con il T.U.L.C.P. 3 marzo 1934, n. 383 (acronimo di Testo Unico della Legge Comunale e Provinciale) il legislatore, con gli articoli 252, 284, 311 e 327, aveva statuito che ogni deliberazione che comportasse una spesa doveva indicare l’ammontare della stessa e le risorse necessarie per farvi fronte, e comunicata al ragioniere per la registrazione contabile dell’impegno di spesa. Nel sistema delineato dal citato TULCP, i responsabili (di tipo formale visto che alla violazione di dette norme non era prevista alcuna sanzione) erano: il ragioniere per spese non autorizzate o eccedenti lo stanziamento in bilancio; e gli amministratori che avessero ordinato spese non previste in bilancio o dato esecuzione a provvedimenti non deliberati nei modi e nelle forme di legge.

Per riportare i debiti fuori bilancio all’interno dei procedimenti contabili e rispettare l’equilibrio del bilancio, fu emanato il decreto legge 1/7/1986, n. 318, converto nella legge 9/8/1986, n. 488.

In quello stesso anno la Corte dei conti (deliberazione n. 30 del 24/11/1986) definì il debito fuori bilancio come un’obbligazione assunta al di fuori dell’ordinamento giuscontabile, o comunque sorta senza far luogo a regolare impegno e senza tramutarsi in residuo passivo.

Ma la prima nozione di debito fuori bilancio la possiamo far risalire alla circolare del Ministero dell’Interno del 20 settembre 1993, n. 21, secondo la quale “il debito fuori bilancio è l’obbligazione verso terzi per il pagamento di una determinata somma di denaro che grava sull’ente, non essendo imputabile, ai fini della responsabilità, a comportamenti attivi od omissivi di amministratori e funzionari, e che non può essere regolarizzata nell’esercizio in cui l’obbligazione stessa nasce, in quanto assunta in violazione delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa degli enti locali”.

Con l’introduzione dell’articolo 23 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge n. 144/1989, il legislatore aveva previsto che gli Enti locali potessero procedere all’effettuazione di spese soltanto previa la deliberazione autorizzativa nelle forme stabilite dalla legge, nonché previo l’impegno contabile registrato sul competente capitolo di bilancio. In caso di acquisizione di beni o servizi in violazione di tale norma, il rapporto obbligatorio intercorreva, ai fini della controprestazione e ad ogni altro effetto di legge, tra il privato e l’amministratore o il funzionario che aveva consentito la fornitura, consentendo al primo l’azione nei confronti del secondo per l’adempimento del contratto, producendo una vera e propria “scissione del rapporto di immedesimazione organica tra agente e pubblica amministrazione”.

In sostanza la normativa in questione escludeva l’azione di arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione prevista dall’articolo 2041 (arricchimento senza giusta causa) del codice civile per cui il danneggiato poteva farvi ricorso esclusivamente in via sussidiaria ed in caso di insussistenza di altra forma alternativa di tutela nei confronti del presunto arricchito.

Successivamente fu introdotto l’articolo 12-bis, comma 4, del decreto-legge 12/1/1991, n. 6 convertito in legge 15/3/1991, n. 80 che dettò una prima disposizione dei debiti fuori bilancio, confluita poi nell’articolo 37 del decreto legislativo 25/2/1995, n. 77, a sua volta modificato dall’articolo 12 del decreto legislativo 12/9/1997, n. 342, sino all’introduzione nel sistema contabile dell’articolo 191 del Tuel 267/2000 in esame, il cui comma 4 appare decisamente garantista nei confronti del fornitore laddove la norma consente la riconoscibilità del debito fuori bilancio da parte dell’Ente locale come presupposto negativo della responsabilità civile diretta del funzionario o amministratore locale che abbia consentito la forniture e causato debiti fuori bilancio.
 

Definizione

Per debiti fuori bilancio si intendono tutte quelle spese che non sono state previste nel bilancio di previsione dell’Ente locale, ovvero sono quelli contratti senza che l’ente ne avesse programmato una specifica copertura finanziaria.

Il debito fuori bilancio è, dunque, un debito perfezionatosi giuridicamente ma non contabilmente: ne consegue che l'atto di riconoscimento della legittimità del debito fuori bilancio da parte del Consiglio dell'Ente locale fa coincidere i due aspetti giuridico e contabile (l’impegno contabile deve essere effettuato successivamente e non prima del suo riconoscimento) in capo al soggetto che l'ha riconosciuto.

Sono costituiti da obbligazione giuridica non perfezionata, sorta al di fuori del regolare procedimento dell’impegno contabile di spesa e del correlato obbligo di registrarlo nelle scritture contabili e che, a determinate condizioni ed entro i precisi limiti di cui all’articolo 194 del Tuel n. 267/2000, possono essere oggetto di riconoscimento e successivo pagamento.

Non distingue tra spesa obbligatoria e spesa discrezionale, essendo per entrambe la procedura di riconoscimento identica. Il riconoscimento del debito fuori bilancio ha la finalità di riportare un’obbligazione giuridicamente perfezionata ed esistente all’interno della sfera patrimoniale dell’ente e del “ciclo del bilancio”, ricongiungendo debito e volontà amministrativa sul piano dell’adempimento.

E’ diretto esclusivamente a sanare irregolarità di tipo contabile, rispondendo all’interesse pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell’ente, ma non può in alcun modo sopperire alla mancanza di una obbligazione validamente sorta.

Più in generale, il debito fuori bilancio può essere definito come quel “debito costituito da obbligazioni pecuniarie, relative al conseguimento di un fine pubblico, valide giuridicamente irregolarmente assunte dall’amministrazione verso terzi per atti e fatti non perfezionate contabilmente, in violazione del procedimento giuscontabile di spesa normativamente previsto”.

In definitiva, se al momento in cui è sorta l’obbligazione non sia seguito nello stesso anno regolare impegno e correlativa formazione di residui per gli anni successivi, esso costituirà debito fuori bilancio.

Dottrina e giurisprudenza considerano il debito fuori bilancio quale obbligazione pecuniaria riferibile all’ente, assunta in violazione delle norme di contabilità pubblica che riguardano la fase della spesa ed in particolare di quelle che disciplinano l’assunzione di impegni di spesa.

Il supremo consesso amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 29 dicembre 2009, n. 8953) ha precisato che il procedimento di cui all'articolo 194 del Tuel 267/2000, rispondendo all'interesse pubblico alla regolarità della gestione finanziaria dell'ente, è diretto esclusivamente a sanare irregolarità di tipo contabile dell'Ente locale e non può sopperire alla mancanza di un'obbligazione validamente assunta dall'ente locale.

Per i giudici di legittimità i debiti fuori bilancio sono quelli per i quali non esiste copertura e per i quali la pubblica Amministrazione è tenuta al pagamento in virtù di obbligazioni giuridicamente perfezionate (cfr. Corte di Cassazione, Sezione III, 27 aprile 2011, n. 9412). 

Il riconoscimento di un debito fuori bilancio costituisce un procedimento discrezionale che consente all'Ente locale di far salvi, nel proprio interesse, gli impegni di spesa in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di copertura contabile, senza introdurre una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi, come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta "ad substantiam". Né apportare una deroga al regime di inammissibilità dell'azione di indebito arricchimento, di cui al decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, articolo 23, convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile, n. 144, atteso che detto riconoscimento è sovranamente operato dalla pubblica Amministrazione nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’Ente locale stesso, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

Ai sensi dell’articolo 191, comma 4, del Tuel n. 267/2000, le spese che sono effettuate in violazione della norma che impone un preventivo provvedimento di autorizzazione e assunzione dell’impegno contabile, costituiscono debiti fuori bilancio.

L’articolo 194 del Tuel 267/2000 elenca in maniera tassativa e non suscettibile di estensione la tipologia dei debiti fuori bilancio, per i quali è possibile il riconoscimento, derivanti da:

  1. sentenze esecutive comprese quelle immediatamente esecutive;
  2. copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l’obbligo di pareggio del bilancio di cui all’art. 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
  3. ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile (art. 2447 e 2482 – ter del codice civile) o da disposizioni previste dal decreto legislativo n. 175/2016 e s.m.i.;
  4. procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità;
  5. acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191 del Tuel n. 267/2000, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

Passività pregresse                  

Accanto a quelli definibili tecnicamente “debiti fuori bilancio”, si collocano le c.d. “passività pregresse o arretrate”, spese che, a differenze dei primi, riguardano debiti per i quali ab origine si è proceduto alla regolare costituzione del rapporto obbligatorio e quindi al conseguente e ordinario impegno contabile, ai sensi dell’articolo 183 del Tuel 267/2000 ma che, per fattori estrinseci e, in buona parte, imprevedibili (ma non necessariamente), di norma legati alla natura della prestazione, hanno dato luogo ad un debito per insufficienza dell’impegno di spesa già assunto e legittimano, dunque il ricorso all’assunzione del suppletivo impegno di spesa a copertura integrale dei  maggiori oneri rilevati, facendo lievitare la misura del costo.

Da ciò consegue che le problematiche inerenti le passività pregresse non si risolvono con il riconoscimento di cui all’articolo 194 del Tuel n. 267/2000, che contrasterebbe con i principi di contabilità pubblica, ma con l’iscrizione del relativo importo in bilancio. Ciò a dire che le passività pregresse costituiscono debiti la cui competenza finanziaria è riferibile all’esercizio di loro manifestazione. Lo strumento procedimentale è costituito dalla procedura ordinaria di spesa (articolo 191 del Tuel 267/2000), accompagnata dall’eventuale variazione di bilancio necessaria a reperire le risorse ove queste siano insufficienti (articolo 193 del Tuel n. 267/2000).

Proprio perché le passività pregresse si pongono all’interno di una regolare procedura di spesa esulano dalla fenomenologia del debito fuori bilancio e quindi non vanno riconosciuti come tali per costituire, invero, debiti la cui competenza finanziaria è riferibile all’esercizio della loro manifestazione (Corte dei conti, sezione regionale di controllo Campania, parere n. 9/2007; Corte dei conti, sezione regionale di controllo Lombardia, parere n. 441/2012).

Pertanto, le passività pregresse o arretrate esulano dalla fenomenologia del debito fuori bilancio e si pongono all’interno di una regolare procedura di spesa, riguardando debiti per i quali si è proceduto a regolare impegno, ma che non risultano sufficienti a far fronte alla spesa in modo totale, quando essa viene in evidenza (Corte dei conti della Sardegna, deliberazione n. 33/2021).

Sono impegni contabili di spesa assunti ritualmente che non risultano sufficienti a coprire interamente la spesa: nello specifico, si verificano passività pregresse quando all’esito di un formale impegno di spesa, assunto cioè secondo i canoni del Tuel 267/2000, per eventi imprevedibili, di norma collegati alla natura della prestazione, che sfuggono sia alla voluntas che all’auctoritas del soggetto che ha assunto il debito per conto dell’ente, l’impegno già assunto risulta incapiente.

I debiti fuori bilancio, invece, sorgono ab origine senza un regolare impegno di spesa per cui si pongono in rapporto di alternatività con le passività pregresse e non di assimilazione, anche se parte della dottrina intende per debiti fuori bilancio anche ipotesi di spesa impegnata regolarmente ma rivelatasi successivamente insufficiente ai fini dell’adempimento dell’obbligazione.

In altre parole, l’impegno è stato assunto rispettando le regole contabili, ma risulta incapiente, in quanto all’atto del formale impegno contabile alcuni fatti imprevedibili sfuggono alla volontà del soggetto che ha assunto l’obbligazione per conto dell’Ente.

In conclusione le passività pregresse, pur rispettando le regole della contabilità finanziaria potenziata inerente l’iter procedurale sull’impegno contabile, risultano insufficienti per fronteggiare spese in origine stimate congrue e che possono trovare copertura nel bilancio di competenza, essendo oneri che, per quanto risalenti nel tempo, si sono manifestati nell’esercizio corrente.


Organo competente al riconoscimento di legittimità

Ai sensi dell’articolo 193, comma 2, del Tuel 267/000, il riconoscimento di un debito fuori bilancio avviene con deliberazione del Consiglio, da approvare entro il 31 luglio di ciascun anno, o con la diversa periodicità stabilita dal regolamento di contabilità, con la quale l'organo consiliare provvede alla verifica della permanenza degli equilibri generali di bilancio.

Organo preposto ad accertare se il debito fuori bilancio rientra tra le tipologie dell’articolo 194 del Tuel 267/2000 (quindi a ricondurre l’obbligazione all’interno della contabilità dell’ente) e a deliberare è il Consiglio.

L’Ente locale non può effettuare spese in difformità dai procedimenti disciplinati dalla legge, ma può solo, nei casi previsti e tipizzati dall’articolo 194 del Tuel 267/2000, di carattere eccezionale, ricondurre particolari tipologie di spesa nel complessivo sistema di bilancio (Corte dei conti, sezione regionale di controllo, deliberazioni nn. 220 e 255/2017/PRSE).

Si noti come l’articolo 194 del Tuel 267/2000 non introduca alcun distinguo per la regolazione contabile di ciascuna delle eterogenee fattispecie disciplinate ma preveda, anzi, un regime indifferenziato, disponendo, infatti, per tutte una uniforme procedura di riconoscimento di competenza consiliare.

Trattasi di un procedimento dovuto la cui proposta di deliberazione per il riconoscimento e finanziamento è formalizzata dal Responsabile del Servizio competente per materia cui fa capo la formazione del debito in una dettagliata relazione sulle cause che lo hanno determinato, ed accertare l’eventuale, effettiva utilità e l’arricchimento per l’Ente locale di servizi acquisiti nell’ambito dell’espletamento di servizi di competenza (articolo 194, comma 1, lettera e)).

Il riconoscimento del debito fuori bilancio costituisce, pertanto, atto dovuto come si desume dall’articolo 194 del Tuel 267/2000 e l’Amministrazione non può sottrarsi attraverso una semplice e immotivata comunicazione di un qualunque ufficio, essendo invece necessario un procedimento ad hoc (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 6269 del 27/12/2013).

La mancata tempestiva adozione degli atti amministrativi necessari è astrattamente idonea a generare responsabilità per funzionari e/o amministratori che con la loro condotta hanno causato danno economico per costi aggiuntivi, come maturazione di interessi, spese legali, penalità a carico dell’Ente locale, etc..

Pertanto, agli amministratori e ai dirigenti/responsabili degli Enti locali è richiesto di evidenziare con tempestività le passività insorte che determinano debiti fuori bilancio, sia di adottare tempestivamente e contestualmente gli atti necessari a riportare in equilibrio la gestione modificando, se necessario, le priorità in ordine alle spese già deliberate per assicurare la copertura di debiti fuori bilancio insorti.

La necessità della delibera di riconoscimento del debito fuori bilancio adempie non solo alla funzione di riconoscere la legittimità di una obbligazione e, nei casi di cui alla lettera e) dell’articolo 194 del Tuel n. 267/2000, di valutare l’utilità, ma soddisfa anche una finalità giuscontabilistica e di salvaguardia degli equilibri di bilancio che si esplica attraverso il reperimento delle risorse necessarie a finanziare il debito che in tale guisa viene ricondotto nell’alveo del bilancio di cui è dominus l’organo consiliare che, diversamente, sarebbe esautorato dal loro vaglio di legittimità ed utilità per l’Ente locale (cfr. Corte dei conti, sezione delle autonomie, deliberazione n. 27/SEZAUT/2019/QMIG del 21 novembre 2019).

I giudici contabili meneghini (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 40/2022/PAR) hanno ribadito il principio di diritto secondo il quale il pagamento di un debito fuori bilancio riveniente da una sentenza esecutiva deve essere sempre preceduto dall’approvazione da parte del Consiglio dell’Ente locale della relativa deliberazione di riconoscimento, il cui iter procedurale costituisce valore di limite inderogabile alla potestà regolamentare dell’Ente medesimo.

Nell’ipotesi di sentenza esecutiva nessun margine di apprezzamento discrezionale è lasciato al Consiglio, il quale, con la deliberazione di riconoscimento del debito fuori bilancio, esercita una mera funzione ricognitiva, non potendo in ogni caso impedire il pagamento del relativo debito. La natura della deliberazione consiliare in questione non è propriamente quella di riconoscere la legittimità del debito, che di per sé già sussiste, bensì di ricondurre al sistema di bilancio un fenomeno di rilevanza contabile (il debito da sentenza) che è maturato all’esterno dello stesso (sul cui contenuto l’Ente non può incidere) e di verificare la sua compatibilità al fine di adottare i necessari provvedimenti di riequilibrio finanziario.

È utile evidenziare che il riconoscimento dei debiti fuori bilancio afferisce ad un istituto pubblicistico previsto dagli articoli 191 e 194 del Tuel 267/2000, che impone all’Ente locale di valutare e apprezzare eventuali prestazioni rese in suo favore, ancorché in violazione formale delle norme di contabilità.

Un debito fuori bilancio per essere riconoscibile deve avere i seguenti caratteri:

- certezza, cioè effettiva esistenza dell’obbligazione di dare;

- liquidità, nel senso che deve essere individuato il soggetto economico creditore, il debito sia definito nel suo ammontare e l’importo sia determinato o determinabile mediante una semplice operazione;

- esigibilità, nel senso che sia stata fissata la scadenza del pagamento e che esso non sia subordinato a condizione.

Nel caso di sentenze esecutive e di pignoramenti sussiste l’obbligo di procedere con tempestività alla convocazione del Consiglio per il riconoscimento del debito, in modo da impedire il maturare di interessi, rivalutazione monetaria ed ulteriori spese legali (cfr. ex multis Corte dei conti, Sezione Regionale per la Puglia n. 122/PRSP/2016 e n. 152/2016),

L’impegno di spesa riguardante un debito fuori bilancio registrato in assenza del riconoscimento del debito, è illegittimo; non si può procedere alla liquidazione di una spesa registrata successivamente alla nascita dell’obbligazione giuridica in assenza del riconoscimento del debito fuori bilancio.

Cosicché il mancato riconoscimento da parte del Consiglio non soltanto non consente a quel debito di entrare nella sfera patrimoniale dell'Ente locale, ma trasferisce l'obbligazione giuridicamente perfezionatasi in capo all'autore dell'indebitamento.

Spetterà, in particolare, al Consiglio vagliare sia la legittimità del titolo medesimo, sia la sussistenza/reperimento dei mezzi di copertura. La funzione di tale procedura, dunque, è quella di consentire a debiti sorti al di fuori della legittima procedura di spesa e di stanziamento di rientrare nella contabilità dell’ente.

In attesa della sentenza definitiva l’Ente locale non può procedere alla registrazione dell’impegno, per cui non si è in presenza di un procedimento di spesa non regolarmente avviato e, conseguentemente, non si è in presenza di un debito fuori bilancio, ma di una nuova obbligazione giuridica che deve essere registrata.

Nell’ipotesi in cui l’obbligazione giuridica oggetto del contenzioso è già sorta ma non si è proceduto al regolare impegno di spesa da parte dell’Ente locale, si è in presenza di un debito fuori bilancio.

Nel caso in cui si ha sentenza negativa passata in giudicato, si formano obbligazioni giuridiche concernenti spese legali, interessi, ecc., che non possono essere considerate debito fuori bilancio, qualora puntualmente registrate a seguito della sentenza.

Ogni tipologia di debito fuori bilancio può considerarsi una sopravvenienza passiva, sprovvista di impegno contabile. Una spesa effettuata in violazione degli articoli 183 e seguenti del Tuel 267/2000 e del principio contabile n. 2/2008 e non iscritta nel bilancio di previsione in cui si manifesta, costituisce debito fuori bilancio con evidenti effetti negativi sugli equilibri di bilancio.

Al riguardo il principio contabile 5.2, lettera h), prevede: “Nel caso in cui il contenzioso nasce con riferimento ad una obbligazione già sorta, per la quale è stato già assunto l’impegno di spesa, si conserva l’impegno e non si effettua l’accantonamento per la parte già impegnata, ma solo per il rischio di maggiori spese legate al contenzioso”. Viceversa, nei casi in cui il contenzioso si riferisca ad una obbligazione giuridica perfezionata prima del contenzioso, l’Ente locale deve avere già registrato la relativa spesa, e solo in assenza di tale registrazione dell’impegno di spesa, si formano debiti fuori bilancio.

Il successivo punto 9.1 dispone che “L’emersione di debiti assunti dall’ente e non registrati quando l’obbligazione è sorta comporta la necessità di attivare la procedura amministrativa di riconoscimento del debito fuori bilancio, prima di impegnare le spese con imputazione all’esercizio in cui le relative obbligazioni sono esigibili. Nel caso in cui il riconoscimento intervenga successivamente alla scadenza dell’obbligazione, la spesa è impegnata nell’esercizio in cui il debito fuori bilancio è riconosciuto”.

In assenza dell’obbligazione perfezionata, la costituzione di fondi spese o rischi futuri, è diretta a garantire la formazione di idonee coperture, necessarie per consentire l’iscrizione della spesa in bilancio e la successiva registrazione. In presenza, invece, di obbligazione perfezionata ma non registrata, la costituzione dei fondi spese è diretta a garantire la formazione di idonee coperture necessarie per consentire il riconoscimento della spesa (nel qual caso si è in presenza di debito fuori bilancio).

La presenza o meno di un debito fuori bilancio non è determinata dall’accantonamento al fondo spese o rischi futuri, il quale consente:

a) di iscrivere e registrare l’obbligazione giuridica fornendo le necessarie coperture;

b) il riconoscimento dei debiti fuori bilancio fornendo le necessarie coperture, nei casi in cui il procedimento di spesa non è stato regolarmente attivato a seguito della formazione di una obbligazione giuridicamente perfezionata.

Si precisa che l’accantonamento al fondo contenzioso non è facoltativo, ma riveste carattere di obbligatorietà dell’Ente locale regolato dai principi contabili.

L'attribuzione al Consiglio dell'Ente locale di riconoscere la legittimità del debito fuori bilancio risponde alla duplice esigenza di portare a conoscenza di detto organo, nelle sue funzioni di controllo politico-amministrativo, il fenomeno e verificare che non pregiudichi gli equilibri di bilancio, nonché di permettere al medesimo la valutazione sul fine pubblico conseguito (utilitas) e sui comportamenti illegittimi o omissivi e, comunque, in violazione delle norme giuscontabili.

La conferma del suddetto assunto viene offerto da un recente parere della Corte dei Conti, Sezione Campania reso con delibera n. 249 dell’8/11/2017, secondo il quale un “accantonamento” non costituisce in sé una copertura di bilancio, in quanto su di esso non è possibile impegnare e pagare spesa, essendo previamente necessario, verificatosi il rischio cui l’accantonamento è funzionale, effettuare una variazione di bilancio per fornire la capienza finanziaria necessaria ai programmi interessati dalla spesa sopravvenuta, previo riconoscimento della stessa conformemente al regime stabilito dagli artt. 175, 176 e 194 del Tuel 267/2000.

Per i magistrati campani “….La necessità di porre in essere la procedura di “riconoscimento” del debito fuori bilancio (articolo 194 del Tuel 267/2000), anche in presenza di un accantonamento a Fondo rischi, si impone in ragione della duplice sottostante la ratio legislativa della disposizione citata: da un lato, recuperare gli equilibri di bilancio e destinando eventuali risorse disponibili per la copertura del debito emerso; dall’altro evidenziare eventuali profili di responsabilità correlati alla dinamica della trasformazione della passività potenziale in “debito” attuale e certo (cfr. Corte dei conti Campania, Sezione regionale di controllo n. 3/2017/PRSP).

Spetta in ogni caso al Consiglio il riconoscimento e finanziamento dei debiti fuori bilancio anche nell’ipotesi in cui in bilancio siano stati previsti stanziamenti generici o specifici accantonati per sopperire alle fattispecie debitorie previste dall’articolo 194 del Tuel n. 267/2000 e, quindi a ricondurre l’obbligazione all’interno della contabilità dell’ente, individuando contestualmente le risorse per il finanziamento.

Il riconoscimento determina la competenza finanziaria, in quanto sancisce la sopravvenuta “certezza” dell’obbligazione, che costituisce un presupposto, insieme alla esigibilità (che nel caso dei provvedimenti giurisdizionali è insita nell’esecutività della sentenza) per la registrazione in bilancio della passività; detto in altri termini, solo con la sentenza esecutiva maturano i presupposti per l’imputazione a bilancio della spesa, laddove in assenza di contenzioso, la competenza finanziaria e/o economica, sarebbe stata più risalente. Con riguardo alla seconda finalità legislativa, si deve rammentare che la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio non può non comportare l’analisi della vicenda sottostante di nascita della passività potenziale e della sua trasformazione in debito certo, tanto a livello amministrativo, valorizzando la funzione di indirizzo del Consiglio in materia di bilancio, tanto sotto il profilo contabile, con il correlato obbligo di trasmissione della delibera di riconoscimento alla competente Procura della Corte dei conti (articolo 23, comma 5, della legge n. 289/2002).

In conclusione, alle maggiori somme dovute l’Ente locale potrà far fronte con l’ordinaria procedura di spesa (articolo 191 del Tuel 267/2000) eventualmente ricorrendo alle opportune variazioni di bilancio qualora si rivelassero necessarie (in tal senso, Corte dei conti – Sezione regionale di controllo per la Sardegna, deliberazione n. 33/2021/PAR).

La congruità in sede di previsione dei fondi e degli accantonamenti di cui al decreto legislativo n. 118/2011 e successive modifiche ed integrazioni, costituiscono uno strumento contabile preordinato a garantire gli equilibri di bilancio fornendo adeguata copertura al rischio sottostante, attraverso la preventiva sterilizzazione di una certa quantità di risorse, necessarie a compensare eventuali sopravvenienze passive (esempio, una sentenza di condanna dell’Ente locale al risarcimento di danni) o insussistenze dell’attivo – esempio: entrate riscosse in misura inferiore a quella prevista in bilancio (Corte dei conti – Sezione delle Autonomie, deliberazione n. 8/2018/INPR; Corte dei conti Campania, deliberazione n. 125/2019; Corte dei conti Lazio, deliberazione n. 18/2020).

L’articolo 194 del Tuel n. 267/2000 disciplina le tipologie e le procedure per riconoscere la legittimità dei debiti fuori bilancio riconoscibili dall’Ente locale, come di seguito indicate.

Fattispecie a)

Sentenze esecutive. Sono quelle emanate da organi giurisdizionale che condannano l’Ente locale al pagamento di una determinata somma a favore di un terzo entro una certa data.

I motivi del contenzioso possono essere svariati ed il contenzioso si è risolto a sfavore dell’Ente locale che è tenuto al versamento della somma indicata nella sentenza.

Tale procedura potrebbe legittimare l’esistenza del debito fuori bilancio nel senso che non era possibile prevedere l’esito del giudizio. Tuttavia, in sede di predisposizione del bilancio di previsione, è indispensabile che l'Ente locale proceda a una puntuale ricognizione dello stato delle procedure giudiziarie già in corso che gravano in capo all'Ente locale, con l'indicazione della loro caratteristica ma soprattutto con la quantificazione del valore del petitum.

A tal fine è opportuno che il legale difensore incaricato dall’Ente fornisca gli elementi utili per una conoscenza approfondita del contenzioso (esempio, inquadramento normativo della controversia, profili giurisdizionali e/o processuali, stato di avanzamento del giudizio e sue eventuali criticità, richiesta eventuale di consulenze, prove testimoniali, ecc.), per poter accantonare in bilancio le somme ritenute congrue in relazione al rischio per non esporre l’Ente locale ad acquisire risorse finanziarie non reperibili con gli ordinari mezzi di bilancio.

Nel caso di sentenza esecutiva al fine di evitare il verificarsi d conseguenze dannose per l’Ente locale per il mancato pagamento nei termini previsti decorrenti dalla notifica del titolo esecutivo, la convocazione del Consiglio per l’adozione delle misure di riequilibrio deve essere disposta immediatamente e in ogni caso in tempo utile per effettuare il pagamento nei termini di legge ed evitare la maturazione di oneri ulteriori a carico del bilancio dell’ente.

Nel caso di pagamenti effettuati direttamente dal Tesoriere a seguito di procedure esecutive, l’Ente locale deve immediatamente provvedere al riconoscimento e finanziamento del debito e alla regolarizzazione del pagamento avvenuto. Tale procedura non preclude all’Ente locale l’attivazione delle azioni a tutela dell’ente.

A differenza del passato, la nuova formulazione dell’articolo 194 del Tuel n. 267/2000 prevede, quale fonte del riconoscimento di legittimità del debito, la presenza di una sentenza esecutiva a prescindere dal fatto che essa lo sia provvisoriamente o definitivamente. Quindi, abbiamo:
 

Decreti ingiuntivi e provvedimenti equiparati alle sentenze esecutive 

Per il Consiglio di Stato (Adunanza plenaria 10 aprile 2012, n. 2) è possibile il riconoscimento di debiti fuori bilancio derivanti da decreti ingiuntivi. I giudici di palazzo Spada hanno eccezionalmente condiviso tale interpretazione in relazione a particolari fattispecie consistenti nell’affidamento, in base a regolari contratti, di incarichi professionali di progettazione di opere pubbliche non seguiti da formali impegni di spesa in mancanza del relativo finanziamento.

A parere del Supremo Consesso Amministrativo, dunque, l’espressione “sentenze esecutive” di cui al richiamato articolo 194 comma 1 lettera a) del Tuel 267/2000, debba eccezionalmente interpretarsi, estensivamente, riferendola a tutti i provvedimenti giudiziari esecutivi come nel caso dei decreti ingiuntivi, da cui derivino debiti pecuniari a carico dell’Ente locale.

Ugualmente con riferimento all’ordinanza di assegnazione crediti ex articolo 553 codice procedura civile, i giudici contabili hanno espresso parere favorevole al riconoscimento del debito fuori bilancio derivante da provvedimento giurisdizionale, che costituisce titolo idoneo per consentire il riconoscimento di obbligazioni fuori bilancio ex articolo 194 del Tuel 267/2000.

Consolidata giurisprudenza contabile (ex plurimis, Corte dei conti, conti Sezione regionale Puglia, deliberazione 152/2016) ritiene che l’articolo 194 del Tuel 26/2000 possa applicarsi anche ai lodi arbitrali pronunciati in via rituale, in quanto provvedimenti equiparati, quanto agli effetti, alle sentenze pronunciate dall’autorità giudiziaria; così come l’ordinanza di assegnazione di crediti ex articolo 553 del codice di procedura civile che si qualifica come “titolo esecutivo che, munito della relativa formula, può essere portato ad esecuzione dal creditore assegnatario (già pignorante) contro il terzo pignorato”, ritenuto titolo idoneo per consentire il riconoscimento di obbligazioni fuori bilancio ex articolo 194 del Tuel. Analoghe argomentazioni non possono essere sostenute a proposito dell’accordo concluso a seguito di una procedura di negoziazione assistita, introdotta dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

I magistrati contabili (corte dei conti, Sezione Sicilia, Deliberazione n. 164/2016/PAR del 26 luglio 2016) hanno evidenziato che  “L’accordo concluso a seguito di negoziazione assistita, al pari di ogni altro accordo transattivo, non essendo riconducibile alle ipotesi tassative di cui all’art. 194 del Tuel 267/2000, non può costituire il titolo per il riconoscimento di un debito fuori bilancio, con la conseguenza che gli oneri scaturenti dallo stesso, nella misura in cui siano prevedibili e determinabili dal debitore, devono essere contabilizzati secondo le ordinarie procedure di spesa”.
 

Accordi transattivi

Gli accordi transattivi (articolo 1965 del codice civile) con i quali le parti si vengono incontro su rispettive posizioni antitetiche e controverse onde porre fine a una lite tra loro già insorta o per prevenirne una che possa eventualmente sorgere in futuro, invece non sono previsti tra le ipotesi tassative elencate all’articolo 194 del Tuel 267/2000 e non sono equiparabili alle sentenze esecutive di cui alla lettera a) del comma 1 del citato articolo e, pertanto non può costituire il titolo per il riconoscimento di un debito fuori bilancio, con la conseguenza che gli oneri scaturenti dallo stesso, nella misura in cui siano prevedibili e determinabili dal debitore,  devono essere contabilizzati secondo le ordinarie procedure di spesa.

Secondo la costante giurisprudenza, infatti, l’elencazione contenuta nella predetta norma ha carattere tassativo, sicché non è possibile riconoscere debiti fuori bilancio che non rientrano nelle tipologie da essa individuate: l’accordo transattivo non può essere ricondotto al concetto di sopravvenienza passiva e dunque alla nozione di debito fuori bilancio sottesa alla disciplina in questione.

In definitiva le fattispecie degli accordi transattivi non possono essere ricondotti al concetto di debito fuori bilancio, considerato che sono decisi dell’Ente in accordo con la controparte, previa puntuale e circostanziata motivazione, di pervenire ad un accordo transattivo definendo tempi e modalità di esecuzione dell’obbligazione, rimanendo escluso il carattere di sopravvenienza passiva che legittima il riconoscimento del debito fuori bilancio.

Fattispecie b)

Copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio di cui all'articolo 114 ed il disavanzo derivi da fatti di gestione.

E’ una modalità per ripianare volontariamente un disavanzo di gestione e che incide sul bilancio di competenza dell’esercizio in cui viene assunta la decisione.

L’operazione non dà luogo ad un incremento del numero delle azioni o del loro valore nominale detenute dal socio che effettua la ricapitalizzazione, considerato che l’intervento va a rifinanziare un’azienda speciale che abbia registrato un disavanzo di gestione, che rappresenta, da un lato, il decremento del patrimonio netto per effetto della gestione e, dall’altro, il risultato economico dell’esercizio.

Per tali motivi, le operazioni di ripianamento di disavanzi non costituiscono investimento, bensì “spesa corrente”.

In questo caso è previsto l’automatico riconoscimento del debito se si verifica che:

- sia stato sempre rispettato l’obbligo del pareggio di bilancio;

- negli statuti, convenzioni o regolamenti di tali enti strumentali, ai quali è demandata la gestione di specifici servizi, sia previsto che qualora gli stessi realizzino disavanzi di gestione, questi debbono essere coperti dall’Ente locale;

- il disavanzo derivi da fatti di gestione (maggiori spese impreviste o minori entrate accertate) con esclusione quindi del ripiano di eventuali debiti fuori bilancio rilevati nell’Ente strumentale.

In presenza di perdite ingenti, registrate in modo costante nel tempo, è buona regola che l’Ente locale titolare delle azioni effettui una valutazione di tipo economica, quale ad esempio:

- misurare l’adeguatezza delle soluzioni adottate dalla società partecipata per rientrare dalla perdita;

- verificare la concreta applicazione delle soluzioni adottate ed i risultati raggiunti dalla partecipata;

- indicare in bilancio la ricaduta delle perdite della partecipata;

- valutare, in caso di impossibilità di risanamento della società partecipata, l’essenzialità del servizio reso in rapporto agli altri servizi erogati e le risorse disponibili per il risanamento ed il valore in caso di dismissione;

- predisporre un piano di rientro per l’azzeramento delle perdite.

Il mantenimento della società pubblica, in breve, dovrà essere sostenuta da una rigorosa analisi di convenienza economica con allegazione di un piano industriale il quale dovrà essere valutato nella sua interezza positivamente dagli organi dell’Ente locale, nonché da una costante verifica della reale permanenza dei presupposti originari che hanno favorevolmente determinato la scelta partecipativa.

Un supporto dell’Ente locale a favore di organismi partecipati in difficoltà finanziario-economiche va attivato solo nel caso in cui l’azione è valutata proficuamente, vale a dire in presenza di un giudizio prospettico di rientro della società sulla base di un documento che espone in modo organico le direzioni strategiche, i principali obiettivi economico-finanziari, le nuove iniziative o gli investimenti previsti e i relativi impatti sulle performance aziendali e l’efficacia della gestione del servizio, tenuto conto che la pubblica Amministrazione deve assicurare un corretto uso delle risorse pubbliche.

D’altronde l’articolo 194 del Tuel n. 267/2000 non prevede un obbligo, ma una mera facoltà per l’Ente locale fondata su un interesse pubblico puntuale e concreto, di provvedere alla copertura del disavanzo delle società da parte degli Enti locali, la cui attivazione è sottoposta a una serie di condizioni. Infatti, con riferimento all’ipotesi sub b) del citato articolo 194, la copertura di disavanzi di “consorzi, di aziende speciali e di istituzioni”, può avvenire solo “nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi”, riconsiderando le motivazioni che lo hanno provocato e, soprattutto, quali forme di controllo l’ente avesse istituito nei confronti della società di capitali partecipata, forme di controllo che l’ordinamento stesso richiede sia “analogo a quello posto in essere per i propri servizi”.

In altri termini sarebbe opportuno, in questo caso, riconsiderare la governance complessiva del
sistema gestionale dell’ente e le forme di controllo utilizzate a partire dal momento programmatico ed autorizzatorio collegato al sistema di bilancio dell’ente stesso per confluire, poi, nei risultati ottenuti a consuntivo.

Si evidenzia che, nei casi in cui un aumento di capitale si appalesasse solo opportuno, ma non obbligatorio, ci troveremmo alla presenza non di un “debito fuori bilancio” ma ad una decisione facoltativa dell’Ente locale che potrebbe, volendo, anche optare per il non intervento in tal senso.

I magistrati contabili (Corte dei Conti per la regione Campania, parere n. 162/2018/PAR del 21/12/2018) hanno chiarito che non tutti i “disavanzi” di gestione dell’azienda speciale sono ripianabili ab aexterno dall’Ente dominus, con un riconoscimento di debito da parte di quest’ultimo, ma solo quelli la cui riparabilità è prevista da “statuto, convenzione o atti costituti”, ed in ogni caso purché: 1) sia stato rispettato l’obbligo di pareggio (rectius: equilibrio) del bilancio di cui all’articolo 114; 2) il disavanzo derivi da fatti di gestione. In sostanza per i giudici contabili campani, l’ausilio finanziario si giustifica solo se il patrimonio netto dell’azienda speciale non sia in grado di riassorbire un eventuale deficit nei limiti e secondo gli obblighi derivanti dallo statuto, dalla convenzione e dagli atti costitutivi; diversamente, infatti, all’autonomia dell’azienda speciale non corrisponderebbe alcuna responsabilità gestionale (Corte dei conti per la regione Campania, pronuncia n. 25/2021/PAR).

Pertanto, eccettuata la specifica ipotesi di divieto posta dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 175/2016 relativa a società con tre anni consecutivi di perdite di esercizio, un’Amministrazione, che intenda farsi carico dei risultati negativi della gestione di un organismo partecipato, è tenuta a dimostrare lo specifico interesse pubblico perseguito in relazione ai propri scopi istituzionali e deve evidenziare, in particolare, le ragioni economico-giuridiche dell’operazione.

Tali motivazioni, che devono essere fondate sulla possibilità di assicurare una continuità aziendale finanziariamente sostenibile, richiedono: una previa e adeguata verifica delle criticità all’origine delle perdite, l’individuazione di eventuali responsabilità gestionali e un’accurata valutazione circa l’opportunità della conservazione dell’organismo partecipato o del mantenimento della partecipazione, una disamina sulla convenienza economico-finanziaria di tale modalità di gestione del servizio rispetto ad altre alternative possibili. La motivazione della deliberazione dell’Amministrazione deve mostrare la conformità ai parametri della legalità e ai principi di efficienza, efficacia ed economicità su cui l’azione amministrativa si dovrebbe reggere, secondo gli articoli 1 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’articolo 97 della Costituzione. Tali considerazioni valgono a prescindere dalla natura delle poste contabili di entrata utilizzate a copertura degli interventi di ripiano, potendo trattarsi di accertamenti di competenza dell’esercizio, di avanzo di amministrazione libero applicato oppure di somme accantonate nel fondo perdite degli organismi partecipati di cui all’articolo 21, del decreto legislativo n. 175/2016. La razionalità economica induce ad escludere, di regola, l’ammissibilità di soccorso finanziario nei confronti di società e organismi partecipati che siano privi di una seria possibilità di recupero dell’economicità e dell’efficienza della gestione.

Ciò posto, le eventuali operazioni di ripianamento, qualora consentite dall’articolo 6, comma 19, del decreto-legge n. 78/2010, vanno eseguite:

  1. sulla base di un’analisi dei costi, che accerti le cause dell’andamento negativo della società;
  2. in presenza di un progetto industriale contenente tutti i riferimenti programmatici, strategici e analitici volto a riportare in equilibrio finanziario-economico la società, indicando le misure correttive della gestione.

Qualora si volesse operare un aumento di capitale, tanto più se riferito a una società in perdita, l’Ente locale deve provvedere sulla base di un documento che illustri in termini qualitativi e quantitativi le strategie competitive dell’azienda, le azioni che saranno realizzate per il raggiungimento degli obiettivi strategici e soprattutto evidenzi una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e lungo periodo.

Fattispecie c)

La ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, riguarda società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici locali e richiede una attenta valutazione sulla progettazione e sull’organizzazione dei controlli interni che deve comprendere il controllo sugli organismi partecipati e l’organizzazione del monitoraggio sull’andamento gestionale dei medesimi.

La formulazione della lettera c) dell’articolo 194 del Tuel 267/2000 comporta che questo tipo di debito fuori bilancio può essere riconosciuto solo nel caso in cui la reintegrazione del capitale sociale della società, di cui l’Ente possiede una quota, avvenga nelle forme e nei limiti della disciplina di cui al codice civile o di altre norme speciali cui il legislatore fa espresso rinvio.

Il termine ricapitalizzazione identifica un’azione mirata, di ricostituzione del capitale sociale originariamente deliberato dai soci per la costituzione della società, normativamente disciplinata e non è suscettibile di interpretazione estensiva ad altre fattispecie di ripianamento di perdite d’esercizio, allorché, per fatti connessi alla gestione e a seguito del conseguimento di perdite, il patrimonio sociale si attesta al di sotto del capitale minimo previsto dal codice civile.

L’incremento del capitale, che si è eroso a causa di perdite, non dà luogo ad un accrescimento del numero delle azioni o del loro valore nominale detenute dal socio che effettua la ricapitalizzazione e, da punto di vista contabile, va inserita tra le spese correnti (contrariamente alla capitalizzazione, che rappresenta, invece, un incremento del capitale sociale e sottende, quindi, ad un investimento).

Detta operazione costituisce una spesa corrente per l’Ente locale proprietario, soggetta ai limiti previsti dall’articolo 42 del decreto legislativo n. 118/2011 per le regioni e dall’articolo 187 del decreto legislativo n. 267/2000, in caso di utilizzo dell’avanzo di amministrazione e, in ogni caso, da adottare con il meccanismo del riconoscimento dei debiti fuori bilancio, a norma dell’articolo 73 del citato decreto legislativo n. 118/2011 per le regioni e dell’articolo 194 del decreto legislativo n. 267/2000 per gli Enti locali.

Correlativamente, è vietato all’ente di contrarre nuovo debito, in ossequio al disposto dell’articolo 119, comma 6, della Costituzione, che non consente il ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento, né utilizzare i proventi derivanti da dismissioni immobiliari.

E’ utile ricordare che alle perdite delle società partecipate, l’articolo 1, comma 551, della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), nell’ottica di responsabilizzazione gestionale degli enti soci, prevede che nel caso in cui gli organismi partecipati dalle pubbliche amministrazioni locali presentino un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo, le pubbliche Amministrazioni locali partecipanti accantonano nell’anno successivo in apposito fondo vincolato un importo pari al risultato negativo non immediatamente ripianato, in misura proporzionale alla quota di partecipazione. Per le società che redigono il bilancio consolidato, il risultato di esercizio è quello relativo a tale bilancio. Limitatamente alle società che svolgono servizi pubblici a rete di rilevanza economica, compresa la gestione dei rifiuti, per risultato si intende la differenza tra valore e costi della produzione ai sensi dell’articolo 2425 del codice civile. L’importo accantonato è reso disponibile in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso in cui l’Ente locale partecipante ripiani la perdita di esercizio o dismetta la partecipazione o il soggetto partecipato sia posto in liquidazione. Nel caso in cui i soggetti partecipati ripianino in tutto o in parte le perdite conseguite negli esercizi precedenti, l’importo accantonato viene reso disponibile agli Enti partecipanti in misura corrispondente e proporzionale alla quota di partecipazione.

Il riferimento di cui all’articolo 194 del Tuel 267/2000, è alla sola ricapitalizzazione che costituisce l'unica forma, specificamente disciplinata dalle norme civilistiche, di ripiano delle perdite delle società miste strumentali per l'esercizio di servizi dell'Ente locale.

In questo caso i debiti fuori bilancio scaturiscono dall’intervento dell’Ente locale sul valore delle azioni da esso possedute a seguito di perdite della società che incidono sul capitale della stessa. Più precisamente, l’Ente locale dovrà ridurre il valore delle proprie azioni iscritte in patrimonio in proporzione alla riduzione del capitale sociale in conseguenza della perdita o concorrere alla ricostituzione del capitale fino al minimo legale, se la riduzione lo ha portato ad un livello inferiore a tale limite.
 

Fattispecie d)

Le procedure espropriative o di occupazione d’urgenza per opere di pubblica utilità hanno un iter procedimentale abbastanza complesso sia per quanto riguarda la definizione del provvedimento ablatorio sia per quanto riguarda la determinazione dell'indennità di esproprio e di occupazione.

Una volta dichiarata l’opera di pubblica utilità attraverso l’approvazione del progetto definitivo, il decreto di esproprio per pubblica utilità viene emesso entro 5 anni e con lo stesso viene determinata provvisoriamente l’indennità.

Da quando viene notificata, il proprietario ha trenta giorni di tempo per accettarla o
rifiutarla. Nel procedimento espropriativo per pubblica utilità vale il silenzio - rifiuto: l’assenza di una accettazione documentata dell’indennità proposta, da parte dei proprietari, equivale al rifiuto della medesima: se l'indennità viene accettata, il proprietario, oltre alle maggiorazioni previste dall’articolo 45 del T.U.E. (Testo Unico sull’Edilizia), ha diritto a ricevere un acconto pari all’80% della somma dovuta.

Se l'indennità non viene accettata, l’ente espropriante dispone il deposito della somma presso la Cassa depositi e prestiti in attesa di un eventuale giudizio che l'espropriato ha attivato in caso di mancata accettazione. Nell’ipotesi in cui l’indennità di esproprio determinata dalla sentenza o dall'accordo stragiudiziale dovesse risultare maggiore di quella quantificata al momento del provvedimento di espropriazione o di occupazione, la parte della indennità eccedente la somma a suo tempo impegnata costituirà un debito fuori bilancio in quanto non prevista e non impegnata nel bilancio dell’esercizio in cui sono stati adottati gli atti espropriativi.

Secondo un orientamento restrittivo potrà ricorrersi, ai fini del finanziamento, all’indebitamento, solo ed esclusivamente per fronteggiare spese connesse alle attività di acquisizione di aree, per le quali non risulti in ogni caso assunto in contabilità apposito impegno di spesa.

I giudici contabili (Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti, deliberazione n. 13/2016) hanno chiarito, con particolare riguardo ai debiti fuori bilancio derivanti da procedure espropriative concluse con provvedimento o accordo tra le parti, che le spese per interessi e rivalutazione monetaria, in virtù di un collegamento dettato da un'ottica economico patrimoniale tra le voci, possono essere finanziate con mutuo in quanto costituiscono parte del corrispettivo, globalmente e concretamente determinato, dovuto al creditore dall’Ente locale espropriante per l’acquisizione al proprio patrimonio del bene espropriato.

Rimangono esclusi dalla nozione di investimento, restando con ciò confermata la posizione delle Sezioni regionali di controllo per la Puglia (deliberazione 87/2013) e per il Veneto (deliberazione 20/2007), le ulteriori voci di spesa eventualmente liquidate in sen sentenza (spese legali, consulenze, spese di giustizia, ecc.), nonché gli interessi moratori, che non sono qualificabili spesa d’investimento, e le altre componenti di danno che possono aggiungersi in conseguenza dell’attività illecita dell’amministrazione e che non concorrono a determinare il valore dell’immobile acquisito (lucro cessante). Può riconoscersi natura di spesa d’investimento il risarcimento del danno liquidato da sentenza in favore del proprietario spogliato del diritto di proprietà per effetto di un’occupazione illegittima dei suoli. Facendo propri i principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 425/2004, e ribaditi dalla deliberazione n. 25/2011 delle Sezioni riunite della Corte dei conti, la spesa destinata al risarcimento del danno conseguente ad accessione invertita sia riconducibile alla nozione di spesa di investimento in quanto essa concorre all’accrescimento del patrimonio pubblico dell’Ente locale, ed è destinata a ripercuotersi non soltanto sull’esercizio corrente, ma anche su quelli futuri (Corte dei conti, sezione controllo Marche, deliberazione n. 28/2018).

E’ utile segnalare come la Cassa depositi e prestiti (circolare 1280/2013) aveva già sottolineato le somme qualificabili come rivalutazione e interessi fossero ricomprese nell’ambito dell’atto di riconoscimento effettuato dall’ente e che esse fossero finanziabili con indebitamento.
 

Fattispecie e)

Acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità conseguita valutata in relazione alla realizzazione dei vantaggi economici (spese specificamente previste per legge) corrispondenti agli interessi istituzionali ed arricchimento senza giusta causa per l’Ente locale, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.

L’arricchimento corrisponde alla diminuzione patrimoniale sofferta senza giusta causa dal soggetto privato e terzo che ha fornito beni e servizi, che va indennizzato nei limiti del guadagno ottenuto dall’Ente locale.

Ciò comporta che il quantum del debito riconoscibile da parte dell'ente dovrà essere pari alla minor somma tra l'arricchimento dell'ente e la diminuzione patrimoniale subita dal terzo.

L'elemento che caratterizza l'utilità pubblica è l'individuazione dell'apprezzamento del requisito della vantaggiosità pubblica, apprezzamento effettuato in via generale dal legislatore. In ogni caso si deve ammettere che sono da qualificarsi di per sé utili e vantaggiose le spese specificatamente previste per legge, nonché quelle strettamente connesse a funzioni pubbliche obbligatorie per legge da attuarsi secondo scelte discrezionali dell'amministrazione locale. L'arricchimento coincide con il prezzo di mercato nel caso di beni e servizi, o con quanto previsto dalle tariffe dei vari ordini nel caso di prestazioni professionali. In tale fattispecie è stabilito che sono sanabili i debiti derivanti da spese assunte in violazione delle norme del Tuel 267/2000 per la parte di cui sia stata accertata e dimostrata l’utilità e l’arricchimento che ne ha tratto l’Ente locale, il pagamento della parte residua deve essere invece richiesta a chi ha ordinato e reso possibile la fornitura in quanto, per tale parte, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore, il funzionario o il dipendente che ha violato le disposizioni che regolano l’effettuazione della spesa. Pertanto, la legittimità di tali debiti è subordinata alla dimostrazione, da parte del responsabile del servizio interessato, dell’utilità e dell’arricchimento conseguiti dall’Ente locale, e al fatto che le relative obbligazioni siano state contratte nell’esercizio di funzioni pubbliche e di servizi di competenza dell’ente. Nessun riconoscimento potrà determinarsi, invece, per le somme dovute a titolo di interessi, spese giudiziali e oneri connessi al ritardato pagamento delle forniture ricevute, in quanto nessuna utilità e alcun arricchimento si produce in capo all’Ente locale, ma solo un danno patrimoniale ingiustificatamente arrecato all’Ente, cui imputazione sarà a carico di coloro che con il loro comportamento le hanno determinate.

Solo, dunque, nei limiti dell’arricchimento, perciò, sarà l’Ente locale a farsi carico di indennizzare il privato; diversamente, e per quanto attiene alla parte di debito non riconoscibile, l’obbligazione graverà sul funzionario che ha concorso alla formazione di tale debito e solo a quest’ultimo il privato potrà rivolgersi per la completa soddisfazione del proprio credito.

Nel caso di incarichi professionali, la diminuzione patrimoniale coincide con il mancato guadagno, da determinarsi eventualmente anche ex articolo 1226 del codice civile. La parte residua di debito che rimane al di fuori del riconoscimento operato dall'ente va posta a carico del funzionario che ha concorso alla formazione del debito fuori bilancio e solo a quest'ultimo il terzo potrà rivolgersi per la completa soddisfazione del proprio credito.

Ai fini del riconoscimento dei debiti fuori bilancio enucleabili in questa vicenda è necessario dimostrare due requisiti essenziali: 1) l’utilità dell’acquisizione del bene o del servizio; 2) l’arricchimento senza giusta causa conseguito dall’Ente locale.

E’ opportuno segnalare che l’elemento dell’utilità si identifica con quello di un qualsiasi vantaggio economico apportabile alla causa dell’Ente locale. Sono senz’altro utili le spese specificamente previste per legge, nonché quelle strettamente connesse a funzioni pubbliche obbligatorie per legge da attuarsi tramite scelte discrezionali dell’amministrazione locale.

L’arricchimento può consistere in un accrescimento patrimoniale o in un risparmio di spesa dell’Ente locale che può essere stabilito con riferimento alla congruità dei prezzi, sulla base delle indicazioni e delle rilevazioni di mercato o dei prezziari e tariffe approvati da enti pubblici e dagli ordini professionali (Circolare Ministero Interno, FL n. 28/1997 e Cassazione civile, sezione I, n. 6332/1996). In corrispondenza dell’arricchimento dell’ente si verifica un depauperamento senza giusta causa sofferto dal soggetto che ha fornito beni o servizi. Il quantum debendi eventualmente riconoscibile si identificherà nella minor somma tra l’impoverimento sofferto dal privato e l’arricchimento guadagnato dall’Ente locale.

I debiti fuori bilancio per lavori pubblici di somma urgenza

Si tratta di debiti sorti a seguito di lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale (inteso come sensibile deviazione dalla frequenza statistica accettata come “normale”) o imprevedibile (inteso alla stregua di un’indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarità causale, va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento (l’evento si mostra come altamente improbabile), per i quali il Consiglio è tenuto (obbligo) a deliberare il loro riconoscimento, prevedendo le fonti di finanziamento, entro il termine di 30 giorni dalla data della proposta della Giunta, e comunque entro il 31 dicembre dell’anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine.


Finanziamento

Come abbiamo visto supra, il Consiglio è l’organo competente al riconoscimento del debito fuori bilancio che avviene con l’adozione di deliberazione la quale individua, inoltre, le risorse effettivamente disponibili per farvi fronte, di seguito elencate in ordine di importanza:

  • riduzione delle spese correnti, o utilizzo di nuove entrate;
  • applicazione eventuale avanzo di amministrazione disponibile ai sensi di legge. La Corte dei Conti Lombardia, delibera n. 77 del 7 marzo 2016, ha ritenuto che, in base all’articolo 193, comma 3 del Tuel 267/2000, per ripianare eventuali debiti fuori bilancio è possibile applicare la quota libera dell’avanzo di amministrazione disponibile, accertato con il consuntivo dell’anno precedente, utilizzata con il bilancio di previsione o con provvedimento di variazione di bilancio;
  • utilizzo di disponibilità derivanti da adozione piano triennale di riequilibrio;
  • vendita dei beni del patrimonio disponibile, altre entrate in conto capitale e contrazione di prestiti, con riferimento a debiti fuori bilancio in conto capitale. Il riconoscimento presuppone il contestuale finanziamento. La funzione della delibera consiliare di riconoscimento e finanziamento è diretta a:
  • accertare se il debito è imputabile all’ente;
  • accertare se rientra in una delle cinque tipologie riconoscibili;
  • limitare il riconoscimento per la tipologia della lett. e) (acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del Tuel) nei limiti dell’utilità ed arricchimento dell’ente;
  • reperire il finanziamento;
  • accertare le eventuali responsabilità.

Ai fini di ripianare eventuali debiti fuori bilancio di cui all’articolo 194, il comma 3 dell’articolo 193 del Tuel 267/2000, dispone che l'Ente può utilizzare, anche mediante un piano di rateizzazione per l’anno in corso e per i due successivi, convenuto con i creditori, le possibili economie di spesa e tutte le entrate e le disponibilità, per le spese correnti, ad eccezione di quelle:

- provenienti dall’assunzione di prestiti già contratti;

- aventi specifica destinazione per legge;

- derivanti da alienazioni di beni patrimoniali disponibili e da altre entrate in c/capitale con
riferimento a squilibri di parte capitale.

La deliberazione consiliare di riconoscimento del debito fuori bilancio, diretta a garantire la salvaguardia degli equilibri generali di bilancio, deve indicare contestualmente le risorse per far fronte alla conseguente assunzione del nuovo impegno contabile e al relativo pagamento, individuandole tra le fonti di finanziamento previste dall’articolo 193, comma 3, del Tuel 267/2000.

È, altresì, previsto che la copertura possa essere approntata anche con i proventi derivanti da alienazione di beni patrimoniali disponibili o da altre entrate in conto capitale, ma solo con riferimento a squilibri di parte capitale. Ove non possa provvedersi con le modalità sopra indicate è possibile impiegare la quota libera del risultato di amministrazione. Inoltre, l’articolo 194, comma 3, del Tuel 267/2000, prevede che gli enti locali possano far ricorso a mutui, ai sensi degli articoli 202 e seguenti, solo in presenza di debiti fuori bilancio di parte capitale.

A tal fine si rammenta che, a seguito della modifica apportata alla Costituzione con l’articolo 5 della Legge Costituzionale n. 3 del 2001, gli Enti locali possono finanziare con il ricorso all’indebitamento solamente le spese considerate “di investimento”, la cui definizione è esplicitata nell’articolo 3, comma 18, della legge 24/12/2003, n. 350 (Legge Finanziaria 2004) che indica le categorie di spesa che possono essere considerate. In particolare, il successivo comma 19 della citata legge, statuisce: “Gli enti e gli organismi di cui al comma 16 (regioni a statuto ordinario, enti locali, aziende e gli organismi di cui agli articoli 2, 29 e 172, comma 1, lettera b), del Tuel n. 267/2000, ad eccezione delle società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici), non possono ricorrere all'indebitamento per il finanziamento di conferimenti rivolti alla ricapitalizzazione di aziende o società finalizzata al ripiano di perdite. A tale fine l'istituto finanziatore, in sede istruttoria, è tenuto ad acquisire dall'ente l'esplicazione specifica sull'investimento da finanziare e l'indicazione che il bilancio dell'azienda o della società partecipata, per la quale s effettua l'operazione, relativo all'esercizio finanziario precedente l'operazione di conferimento di capitale, non presenta una perdita di esercizio”.

Tuttavia, l’articolo 53, comma 6, del decreto-legge 104/2020 ha previsto che, in presenza di piani di rateizzazioni con durata diversa da quelli indicati al comma 2 (tre anni finanziari compreso quello in corso, convenuto con i creditori), l’Ente locale può garantire la copertura finanziaria delle quote annuali previste negli accordi con i creditori in ciascuna annualità dei corrispondenti bilanci, in termini di competenza e di cassa. Nella delibera di riconoscimento, le coperture sono puntualmente individuate con riferimento a ciascun esercizio del piano di rateizzazione convenuto con i creditori.

La Corte dei Conti, Sezione delle Autonomie, con deliberazione n. 21/2018 ha evidenziato che l’accordo con i creditori richiede il consenso di entrambe le parti; se il creditore non intende accedere ad un’ipotesi di rateizzazione, l’Ente locale che abbia riconosciuto il debito dovrà necessariamente registrarlo ed impegnarlo integralmente nello stesso esercizio. Nel caso in cui il creditore acconsenta alla stipula di un piano di rateizzazione, il debito deve essere registrato ed iscritto per intero nello stato patrimoniale, ma per la copertura si dovrà tenere conto della scadenza delle quote di competenza secondo quanto concordato nel piano.

Pertanto, l’accordo con i creditori non può avere una mera finalità dilatoria, ma la rateizzazione dovrà comunque rispettare tutti i criteri in materia di programmazione e di effettiva copertura delle quote di spesa previste per le varie annualità. Diversamente, si ricadrebbe in una situazione non dissimile a quella del ritardato riconoscimento, con violazione dei principi di copertura delle spese, di salvaguardia degli equilibri di bilancio e di veridicità dei documenti contabili.

Considerato che un eventuale ritardo del riconoscimento dei debiti fuori bilancio potrebbe occultare l’esistenza di situazioni di squilibrio, l’articolo 188 del Tuel 267/2000, prevede che, in presenza, nell’ultimo rendiconto, di disavanzo o di debiti fuori bilancio, ancorché da riconoscere, nelle more della variazione di bilancio che dispone la copertura del disavanzo e del riconoscimento e finanziamento di debito fuori bilancio, è fatto divieto agli Enti locali di assumere impegni e pagare spese per servizi non espressamente previsti per legge.  


Il parere del Revisore dei conti

I revisori rispondono della veridicità delle loro attestazioni e adempiono ai loro doveri con la
diligenza del mandatario. Devono inoltre conservare la riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.

La Corte dei conti (delibera 2/1992) precisa che i revisori sono legati all'Ente locale da un rapporto di servizio.

Il Consiglio di Stato (sentenza 2676/2014) specifica che la funzione dei revisori presenta proprie peculiarità connesse alla qualità di incaricato di pubblico servizio.

L’organo di revisione con riferimento alle tipologie di debiti fuori bilancio elencate al comma 1 dell’articolo 194 del Tuel 267/2000, deve esprimere un giudizio di congruità, di coerenza e di attendibilità contabile obbligatorio secondo l’articolo 239 comma 1, lettera b) n. 6) e comma 1-bis del Tuel 267/2000. Inoltre deve verificare che il provvedimento sia trasmesso alla competente procura della Corte dei conti ai sensi dell’articolo 23, comma 5, della legge n. 289/2002, e qualora l’ente non provveda, l’organo di controllo deve provvedere a comunicare alla competente Procura della Corte dei conti l’inadempienza.

L’organo di revisione deve verificare, a campione, nel corso dell’esercizio e alla fine, se sussistono spese aventi la natura di debiti fuori bilancio imputate in competenza senza un previo atto di riconoscimento e finanziamento da parte del Consiglio. A tal fine occorre accentuare le verifiche in particolare sulle somme impegnate nei primi mesi dell’esercizio.

Il mancato rispetto del principio della competenza è un’irregolarità contabile che può derivare da una consapevole scelta gestionale di rinvio all’esercizio futuro di spese non finanziabili o tali da non far rispettare i vincoli di finanza pubblica.

Nel rispetto del principio contabile Allegato 4/2 al decreto legislativo n. 118/2011, paragrafo 9.1, che definisce il principio di competenza del debito fuori bilancio nell’esercizio in cui il medesimo è riconosciuto, il controllo del revisore si sostanzia, in ordine, nei seguenti momenti:

  • verificare, anche a campione, durante l’esercizio, la sussistenza di spese aventi tale natura e imputate in competenza senza un atto di riconoscimento e finanziamento da parte del consiglio;
  • verificare il rispetto del principio della competenza;
  • verificare l’effettività della copertura finanziaria rispetto ai criteri e alle regole dettati dai principi contabili, con particolare riferimento agli esercizi finanziari successivi al primo;
  • esprimere un giudizio di congruità, coerenza ed attendibilità.


Responsabilità del dirigente/responsabile

Per poter procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio è necessario avviare processo istruttorio all’esito del quale emergono i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche richiesti dall’articolo 194 del Tuel 267/2000).

Fulcro dell’istruttoria è l’estrinsecazione di un onere motivazionale (richiesto anche per gli atti dovuti) che dà conto delle ragioni che hanno portato a perfezionare un’obbligazione sprovvista di impegno formale di spesa, nonché l’analisi puntuale e minuziosa della fondatezza dei requisiti di legge.

Per i giudici contabili campani (Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Campania, deliberazione 236/2015), ogni spesa può essere effettuata solo in presenza di una regolare assunzione di atto di impegno registrato, e purché vi sia la relativa copertura finanziaria negli stanziamenti di bilancio, diversamente è necessario adottare la delibera di consiglio comunale di riconoscimento del debito fuori bilancio. E ciò anche nel caso di sentenza esecutiva (riconoscibile ai sensi dell'articolo 194 del Tuel 267/2000). Pertanto, non è possibile procedere al pagamento prima della delibera consiliare, in quanto quest'ultima svolge una duplice funzione: da un lato, giuscontabilistica, per la salvaguardia degli equilibri di bilancio; dall'altro garantista, per l'accertamento delle responsabilità nella fattispecie in esame.

Nel caso della tipologia di debiti fuori bilancio di cui alla lettera a) del primo comma dell’articolo 194 del decreto legislativo n. 267/2000 (sentenza esecutiva), corre l’obbligo di procedere con tempestività alla convocazione del Consiglio per il riconoscimento del debito, in modo da impedire il maturare di interessi, rivalutazione monetaria ed ulteriori spese legali. Come infatti previsto anche dal punto 103 del principio contabile n. 2 “Nel caso di sentenza esecutiva al fine di evitare il verificarsi di conseguenze dannose per l’ente per il mancato pagamento nei termini previsti decorrenti dalla notifica del titolo esecutivo, la convocazione del Consiglio per l’adozione delle misure di riequilibrio deve essere disposta immediatamente e in ogni caso in tempo utile per effettuare il pagamento nei termini di legge ed evitare la maturazione di oneri ulteriori a carico del bilancio dell’ente”. In caso contrario, si potrebbero prospettare evidenti e consequenziali profili di responsabilità, nel caso di tempi di attesa troppo lunghi, in particolare se in prossimità dello scadere ovvero oltre il periodo di salvaguardia previsto per le Pubbliche Amministrazioni (120 giorni) di cui all’articolo 14 del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30, modificato dall’articolo 147 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata, né alla notificazione dell’atto di precetto).

Per quanto riguarda, invece, la tipologia di debiti fuori bilancio di cui alla lettera e) del primo comma dell’art. 194 del decreto legislativo 267 del 2000 (acquisto di beni e servizi in violazione della normativa sull'assunzione dell'impegno di spesa), il riconoscimento consiliare del debito ha la funzione di valutare gli “accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza”, con possibili ricadute anche nella materia della responsabilità personale dei contraenti. Dal mancato, formale riconoscimento del debito fuori bilancio da parte del Consiglio, nelle fattispecie di cui alla summenzionata lettera e) del primo comma dell’articolo 194 del decreto legislativo 267/2000, deriva la conseguenza che il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte non riconosciuta, tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente, che abbia consentito la fornitura in violazione delle norme sull'assunzione degli impegni di spesa, con scissione del rapporto di immedesimazione organica tra agente e Pubblica Amministrazione.


Suggerimenti per evitare debiti fuori bilancio

Come abbiamo potuto osservare nel corso della trattazione, il Revisore dei conti svolge una costante e importante funzione di verifica, rilascio attestazioni, esprime giudizi di congruità, coerenza ed attendibilità delle previsioni di bilancio che devono essere veritiere e corrette, senza alterazioni e falsificazioni.

In tema di debiti fuori bilancio, come transazioni (che impegnano somme da prevedere in bilancio per più esercizi), atti di gestione dei servizi pubblici locali, ripiano di perdite e/o ricapitalizzazione di società partecipate, il legislatore ha previsto il rilascio di pareri obbligatori a carico del Revisore dei conti, in virtù del fatto che dette operazioni costituiscono un potenziale vulnus agli equilibri di bilancio che l’adozione dell’atto deliberativo di riconoscimento del debito comporta.

La normativa ha assegnato specifiche funzioni in capo all’Organo di revisione sia in occasione del riconoscimento del debito fuori bilancio, sia in occasione del momento della verifica circa la congruità degli accantonamenti del fondo rischi per contenzioso, legato a rischi di soccombenza su procedure giudiziarie in corso, o per rischi futuri (obbligatorio) in fase preventiva, concomitante e consuntiva.

Ai sensi dell’articolo 239 del Tuel n. 267/2000, al predetto Organo di revisione è fatto carico di procedere ad una costante ricognizione e all’aggiornamento del contenzioso formatosi per attestare la congruità degli accantonamenti (esempio, fondo per le perdite da organismi partecipati), ed esprimere il parere di congruità e attendibilità con riferimento alle previsioni di bilancio.

La costituzione di un accantonamento obbligatorio al fondo rischi inadeguato, sovrastimato, oppure omesso, comporta per l’Ente locale, nel primo caso:

  1. l’esposizione a dover affrontare debiti fuori bilancio non supportati da idonei e correlati accantonamenti può condurre a uno squilibrio economico-finanziario tenuto conto che dovrà reperire le risorse economiche necessarie per ripianare detti debiti;
  2. nella seconda fattispecie (fondo rischi eccedente la normale misura) l’Ente locale viene privato di disponibilità liquide che invece confluiscono nei fondi all’uopo costituiti, con ripercussioni negative pari alla riduzione della spesa destinata per finalità pubbliche;
  3. nella terza ipotesi (omesso accantonamento al fondo rischi per passività potenziali) vi è un incremento di spesa che l’Ente locale ha impegnato per altre finalità di pari importo che andava invece accantonata per fronteggiare debiti fuori bilancio, con evidente violazione delle regole sull’impegno contabile ed elusione dei vincoli di finanza pubblica che provoca situazioni di illiquidità o, in casi più gravi, condurre al “dissesto finanziario”.

Emerge chiaramente come l’ipotesi sub 2) ha il pregio di garantire l’Ente locale nella quasi totalità da un eventuale accertamento di debito fuori bilancio; al contrario, presenta lo svantaggio di congelare risorse finanziarie in eccesso che potrebbero essere invece programmate ed impegnate per soddisfare finalità pubbliche, riducendo correlativamente il potere di spesa degli amministratori locali.

Anche il responsabile del settore/area finanziario (responsabile di spesa, o altra analoga denominazione presente nell’Ente locale) dovrà prestare massima attenzione nella gestione contabile del bilancio.

In particolare, dovrà verificare che ogni spesa venga impegnata e realizzata senza compromettere il generale principio di equilibrio del bilancio di esercizio; come ha chiaramente espresso la Corte costituzionale “è bene ricordare che la copertura economica delle spese ed equilibrio di bilancio sono due facce della stessa medaglia, dal momento che l’equilibrio presuppone che ogni intervento programmato sia sorretto dalla previa individuazione delle pertinenti risorse” (sentenza n. 184 del 2016).

Il perseguimento degli equilibri di bilancio è un obiettivo imprescindibile per una sana gestione dell’Ente locale. Il venir meno delle condizioni di equilibrio, oltre a pregiudicare l’erogazione dei servizi essenziali alla cittadinanza amministrata, potrebbe condurre l’Ente alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale (articolo 243-bis del Tuel) o, ancora peggio, alla dichiarazione dello stato di dissesto finanziario (articoli 244 e seguenti del Tuel). 

Una riscontrata crescita delle spese ad un ritmo superiore alle entrate, reiterata nel tempo, può accompagnare l’Ente locale a una crisi economico-finanziaria ponendolo in difficoltà nell’assicurare condizioni di equilibrio finanziario.

Ogni atteggiamento contrario alle norme che assicurino gli equilibri di bilancio, reiterato nel tempo, conduce inevitabilmente l’Ente locale a una crisi “economico-finanziaria” o perfino al “dissesto”, ponendolo in difficoltà nell’assicurare condizioni di equilibrio.

L’attività è nella disponibilità del singolo Ente locale, ma è funzionale a garantire alla collettività di riferimento che si svolga nel rispetto del principio di legalità.

In ultimo si segnala come anche sul dirigente/responsabile del servizio competente per materia ricade specifica responsabilità per non aver formulato con tempestività la proposta di delibera di riconoscimento del debito fuori bilancio, di cui alla lettera a) dell’articolo 194 Tuel 267/2000, da sottoporre all’organo consiliare, che analizzi compiutamente le cause che hanno determinato il debito, ed effettuare il pagamento nei termini di legge ed evitare la maturazione di oneri ulteriori a carico del bilancio dell’ente.

Per preservare l’integrità del bilancio e considerato fisiologico che un Ente locale vada incontro a delle spese non previste, sarebbe auspicabile che il medesimo accantonasse ogni anno, in occasione della predisposizione del bilancio di previsione pluriennale e sulla base di statistiche di debiti sorti in anni precedenti, un importo sufficiente per fronteggiare spese impreviste che daranno poi vita a debiti fuori bilancio.

Bibliografia

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  2. AA.VV. - Commento al Testo Unico in materia di ordinamento degli Enti Locali – Maggioli Editore - 2001
  3. M. Collevecchio, “Ordinamento finanziario e contabile” Maggioli Editore – 2003
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  5. G. Cascone – Debiti fuori bilancio: evoluzioni normative, definitorie e giurisprudenziali – Azienditalia 8-9/2014
  6. V. Giannotti – Debito fuori bilancio e le possibili azioni di rivalsa nel confronti della PA – Azienditalia 6/2017
  7. F. Bruno – Debiti fuori bilancio: riflessioni e proposte – Azienditalia 12/2017
  8. M. Quecchia – Gli equilibri di bilancio degli enti locali – Maggioli Editore – Giugno 2021