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Imposta sulle insegne d’esercizio: oggetto ed esenzioni

L’articolo 10 della legge n.448/2001 (legge finanziaria per il 2002) ha introdotto il comma 1-bis all’art.17 del D.Lgs. n.507/1993, che prevede una disciplina di favore per le insegne le cui dimensioni non superino i cinque metri, escludendo per le medesime il pagamento dell’imposta sulla pubblicità.

L’esenzione riguarda specificamente le insegne di esercizio di attività commerciali o di produzione di beni e servizi, che abbiano il compito di contraddistinguere il luogo in cui si svolge l’attività economica.

Invero, la finalità perseguita dalla normativa in esame è quella di agevolare artigiani, oltre che medi e piccoli imprenditori, escludendo dalla tassazione le insegne che, per le loro ridotte dimensioni, non costituiscono un vero e proprio messaggio pubblicitario, ma svolgono semplicemente la funzione di individuare la sede dell’azienda.

Alcuni autori sostengono che il comma 1-bis dell’art.17 D.Lgs. n.507/1993 non abbia introdotto una mera esenzione, bensì abbia previsto una esclusione dal tributo per le insegne di ridotte dimensioni, prive di un significato pubblicitario, che, conseguentemente non possono costituire oggetto imponibile. Ciò, indipendentemente dalla capacità contributiva del soggetto interessato dall’eventuale pagamento (1).

La circolare n.1/DPF dell’8 febbraio 2002 ha precisato il contenuto dell’esenzione prevista dall’art.17, comma 1-bis D.Lgs.n.507/1993, stabilendo che essa debba ritenersi valevole anche per le insegne localizzate presso le sedi secondarie dell’impresa.

Invero, la norma de qua non prevede limitazione alcuna al riguardo, la stessa riferendosi genericamente alla “…sede ove si svolge l’attività…”. Nessuna menzione si rinviene con riferimento alle unità locali.

Da ciò, l’ente impositore, specificamente interpellato sul punto, ha desunto che l’esenzione/esclusione di cui all’art.17, comma 1-bis D.Lgs.n.507/1993 non possa e non debba applicarsi per le insegne, inferiori ai cinque metri, esposte presso le unità locali di una azienda.

Per unità locale si intende: l’impianto operativo o amministrativo–gestionale, ubicato in luogo diverso da quello della sede, nel quale l’impresa esercita stabilmente una o più attività economiche. La diversificazione dell’ubicazione può essere determinata anche dalla sola variazione del numero civico, o dell’interno nell’ambito dello stesso fabbricato.

Questa la definizione indicata dal Ministero dell’industria, artigianato, commercio, in una circolare rivolta a tutte le Camere di Commercio variamente dislocate nel territorio nazionale (2).

L’unità locale è, dunque, riconosciuta, in ambito statuale, quale struttura giuridicamente distinta dalla sede principale, alla quale non è assimilabile, né sovrapponibile.

Si potrebbe opporre, quale argomento a contrario, che la disposizione contenuta in una circolare non possa avere la stessa valenza di una previsione normativa, attesa la rilevanza prettamente interna delle circolari medesime.

Ma, si consideri bene che l’esistenza di un’unità locale esplica i propri effetti anche oltre la sfera di competenza della camera di commercio, in forza del provvedimento amministrativo, opponibile erga omnes, emanato dall’ente competente, che ha separato e distinto la sede principale di una azienda dalle eventuali unità locali.

Metaforicamente parlando, l’ordinamento giuridico si propone come un grande albero dai molti rami, ciascuno dei quali ha una dimensione ed uno spazio proprio: l’origine, però, è pur sempre comune. L’interazione tra le varie facce del diritto è situazione normale, ed al tempo stesso, necessaria.

Posto che all’unità locale è riconosciuta una dimensione giuridica, non dovrebbe essere consentito agire come se essa non esistesse. Si ritiene che l’Ente impositore non potrebbe soprassedere su una normativa così tecnica e specialistica, quale è la circolare emanata dal Ministero dell’Industria, che, peraltro, ha rilievo a livello nazionale.

Invero, l’autonomia impositiva e tributaria dei Comuni, in materia di tributi locali, non è esente da limiti: il Comune non può in ogni caso legiferare in contrasto con la normativa statale, e ciò nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Oltre che per volontà dello stesso legislatore, il quale all’art.52 del D.Lgs. n.446/1997 pone come limite all’esercizio della potestà regolamentare degli enti locali l’individuazione delle fattispecie imponibili e dei soggetti passivi, che devono essere espressamente determinati dalla legge statale.

Ritenendo che la genericità della definizione di cui all’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993 sia tale da poter includere nella stessa norma anche le unità locali, oltre che le sedi secondarie (come precisato dalla circolare di cui sopra), allora, l’imposizione tributaria sulle insegne poste nelle unità locali di una impresa è illegittima perché non rispettosa delle previsioni normative in materia.

La tassazione delle insegne poste nelle unità locali potrebbe, altresì, ritenersi in contrasto con i principi ispiratori della normativa sulla pubblicità.

Ciò in quanto, l’obiettivo precipuo perseguito dal legislatore è quello di agevolare l’esposizione di insegne, la cui ridotta dimensione è indicativa della loro specifica funzione: l’individuazione del luogo di esercizio dell’impresa, scevra di ogni messaggio pubblicitario (3).

Ulteriore finalità concerne la necessità di garantire, nella materia in esame, uniformità di trattamento. Invero, l’art.2-bis, legge n.75/2002, ha esteso al canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari la medesima disciplina prevista dall’art.10 l.n. 448/01, al fine di assicurare uguale trattamento allo stesso mezzo pubblicitario, sia che il comune di riferimento abbia mantenuto l’imposta sulla pubblicità, sia che si tratti, invece, di un comune che, pur disapplicando la suddetta imposta, abbia mantenuto un canone per l’installazione.

Sicuramente illuminante è, poi, l’interpretazione estensiva operata dalla circolare n. 1/DPF del 2002, a favore delle insegne esposte presso le sedi secondarie, sempre che servano ad individuare il luogo di esercizio.

Laddove le insegne delle unità locali siano di dimensioni inferiori ai cinque metri e non contengano messaggi pubblicitari, dovrebbero godere dell’esenzione prevista dall’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993.

In forza del principio di uguaglianza, a situazioni uguali o simili deve applicarsi la medesima disciplina; salvo che la valutazione del caso concreto non giustifichi una deroga a tale disposizione generale, affinché sia sempre e comunque garantita l’uguaglianza tra tutti i cittadini (4).

Così come la sede secondaria, anche l’unità locale conserva una propria autonomia rispetto alla sede principale di una azienda. In special modo quando essa ha ingresso indipendente e diverso indirizzo rispetto alla sede principale.

La rilevanza autonoma di ciascuna sala di esposizione, che non può considerarsi pertinenza accessoria della sede principale di attività, si estende necessariamente anche alla insegna che la caratterizza, accomunandola alla impresa della quale raffigura il marchio, e al tempo stesso, distinguendola come ulteriore punto di riferimento della impresa medesima.

Se così è; se l’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993 (così come modificato dalla legge n. 448/2001, art. 10) sancisce l’esenzione dall’imposta per le insegne d’esercizio che non superino i cinque metri, senza differenziare tra sede principale, sede secondaria e unità locali; se la circolare n. 1/DPF specifica che l’esenzione de qua debba ritenersi afferente anche alle insegne esposte presso le sedi secondarie; se l’unità locale è struttura separata ed autonoma rispetto alla sede principale, al pari della sede secondaria, non si riscontrano motivazioni logico-giuridiche sufficientemente valide a giustificare l’esclusione dall’esenzione per le insegne pertinenti alle unità locali.

Nel caso di specie, ci troviamo innanzi ad una fattispecie non individualmente contemplata dall’ordinamento giuridico: nessuna norma expressis verbis nega o riconosce l’esenzione dal pagamento dell’imposta sulla pubblicità per le insegne relative alle unità locali. Per una corretta valutazione quindi non si può che ricorrere ai generali canoni ermeneutici. E i criteri interpretativi della legge, disciplinati dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, costituiscono l’unica chiave di lettura che possa consentire un approccio costituzionalmente corretto alla situazione in esame.

Invero, laddove manchi una espressa previsione di legge “si ha riguardo a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe” (5).

Considerando che la tassazione delle insegne poste sulle unità locali è materia certamente assimilabile a quella trattata dall’ all’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993, si dovrebbe effettuare una interpretazione estensiva, l’unica che consentirebbe di coprire il vuoto di disciplina lasciato dal legislatore.

Per giurisprudenza costante: “le norme aventi carattere eccezionale, come quelle che concedono esenzioni fiscali, sono insuscettibili di interpretazione analogica mentre ne è ammissibile l’interpretazione estensiva quando il significato lessicale delle parole, valutato anche sulla base dell’intenzione del legislatore, risulti più ampio dell’interpretazione letterale. In tale caso, infatti, si ricomprendono nella norma tutti i casi effettivamente voluti dal legislatore nonostante la insufficienza letterale dell’espressione” (6).

L’art.17 comma 1-bis D.Lgs.n.507/1993, così come introdotto dall’art.10 legge n.448/2001, è già stato oggetto di interpretazione estensiva ad opera della circolare n.1/DPF. Pertanto, ben possibile sarebbe un’ulteriore specificazione del contenuto della norma de qua, volta a far rientrare nell’esenzione le insegne poste presso le unità locali.

Una diversa ricostruzione della normativa esaminata risulterebbe in odore di incostituzionalità.

Sulla questione specifica, l’organo giurisdizionale tributario di primo grado si è pronunciato in maniera differente. La sentenza n.113/2/04 (7) e la sentenza n.230/06/05 (8) hanno ritenuto non applicabile alle unità locali l’esenzione prevista per le sedi principali e per quelle secondarie, attesa la non equiparabilità tra unità locale e sede secondaria.

Con altra sentenza (10), invece, la medesima Commissione Tributaria Provinciale ha dichiarato l’illegittimità dell’atto impositivo, ritenendo che anche le unità locali debbano usufruire dell’esenzione prevista per sede principale e secondaria.



BIBLIOGRAFIA

1. Commento pubblicato sul sito internet www.tributi-locali.com/news.htm;

2. Circolare n.3450/C del 27.10.1998;

3. art.2-bis, comma 6, L.n.75/2002;

4. art. 3 Cost., comma secondo;

5. art.12 d.gen.

6. Cass. Civ. n.179, 26.01.71; Cass. Civ. n. 2004, 3.6.76;

7. Sent. n.113/2/04, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Cal., sez. II;

8. Sent. n. 230/06/05, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Cal., sez. IV;

9. Sent. n.97/8/06, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Cal., sez. VIII.

L’articolo 10 della legge n.448/2001 (legge finanziaria per il 2002) ha introdotto il comma 1-bis all’art.17 del D.Lgs. n.507/1993, che prevede una disciplina di favore per le insegne le cui dimensioni non superino i cinque metri, escludendo per le medesime il pagamento dell’imposta sulla pubblicità.

L’esenzione riguarda specificamente le insegne di esercizio di attività commerciali o di produzione di beni e servizi, che abbiano il compito di contraddistinguere il luogo in cui si svolge l’attività economica.

Invero, la finalità perseguita dalla normativa in esame è quella di agevolare artigiani, oltre che medi e piccoli imprenditori, escludendo dalla tassazione le insegne che, per le loro ridotte dimensioni, non costituiscono un vero e proprio messaggio pubblicitario, ma svolgono semplicemente la funzione di individuare la sede dell’azienda.

Alcuni autori sostengono che il comma 1-bis dell’art.17 D.Lgs. n.507/1993 non abbia introdotto una mera esenzione, bensì abbia previsto una esclusione dal tributo per le insegne di ridotte dimensioni, prive di un significato pubblicitario, che, conseguentemente non possono costituire oggetto imponibile. Ciò, indipendentemente dalla capacità contributiva del soggetto interessato dall’eventuale pagamento (1).

La circolare n.1/DPF dell’8 febbraio 2002 ha precisato il contenuto dell’esenzione prevista dall’art.17, comma 1-bis D.Lgs.n.507/1993, stabilendo che essa debba ritenersi valevole anche per le insegne localizzate presso le sedi secondarie dell’impresa.

Invero, la norma de qua non prevede limitazione alcuna al riguardo, la stessa riferendosi genericamente alla “…sede ove si svolge l’attività…”. Nessuna menzione si rinviene con riferimento alle unità locali.

Da ciò, l’ente impositore, specificamente interpellato sul punto, ha desunto che l’esenzione/esclusione di cui all’art.17, comma 1-bis D.Lgs.n.507/1993 non possa e non debba applicarsi per le insegne, inferiori ai cinque metri, esposte presso le unità locali di una azienda.

Per unità locale si intende: l’impianto operativo o amministrativo–gestionale, ubicato in luogo diverso da quello della sede, nel quale l’impresa esercita stabilmente una o più attività economiche. La diversificazione dell’ubicazione può essere determinata anche dalla sola variazione del numero civico, o dell’interno nell’ambito dello stesso fabbricato.

Questa la definizione indicata dal Ministero dell’industria, artigianato, commercio, in una circolare rivolta a tutte le Camere di Commercio variamente dislocate nel territorio nazionale (2).

L’unità locale è, dunque, riconosciuta, in ambito statuale, quale struttura giuridicamente distinta dalla sede principale, alla quale non è assimilabile, né sovrapponibile.

Si potrebbe opporre, quale argomento a contrario, che la disposizione contenuta in una circolare non possa avere la stessa valenza di una previsione normativa, attesa la rilevanza prettamente interna delle circolari medesime.

Ma, si consideri bene che l’esistenza di un’unità locale esplica i propri effetti anche oltre la sfera di competenza della camera di commercio, in forza del provvedimento amministrativo, opponibile erga omnes, emanato dall’ente competente, che ha separato e distinto la sede principale di una azienda dalle eventuali unità locali.

Metaforicamente parlando, l’ordinamento giuridico si propone come un grande albero dai molti rami, ciascuno dei quali ha una dimensione ed uno spazio proprio: l’origine, però, è pur sempre comune. L’interazione tra le varie facce del diritto è situazione normale, ed al tempo stesso, necessaria.

Posto che all’unità locale è riconosciuta una dimensione giuridica, non dovrebbe essere consentito agire come se essa non esistesse. Si ritiene che l’Ente impositore non potrebbe soprassedere su una normativa così tecnica e specialistica, quale è la circolare emanata dal Ministero dell’Industria, che, peraltro, ha rilievo a livello nazionale.

Invero, l’autonomia impositiva e tributaria dei Comuni, in materia di tributi locali, non è esente da limiti: il Comune non può in ogni caso legiferare in contrasto con la normativa statale, e ciò nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico. Oltre che per volontà dello stesso legislatore, il quale all’art.52 del D.Lgs. n.446/1997 pone come limite all’esercizio della potestà regolamentare degli enti locali l’individuazione delle fattispecie imponibili e dei soggetti passivi, che devono essere espressamente determinati dalla legge statale.

Ritenendo che la genericità della definizione di cui all’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993 sia tale da poter includere nella stessa norma anche le unità locali, oltre che le sedi secondarie (come precisato dalla circolare di cui sopra), allora, l’imposizione tributaria sulle insegne poste nelle unità locali di una impresa è illegittima perché non rispettosa delle previsioni normative in materia.

La tassazione delle insegne poste nelle unità locali potrebbe, altresì, ritenersi in contrasto con i principi ispiratori della normativa sulla pubblicità.

Ciò in quanto, l’obiettivo precipuo perseguito dal legislatore è quello di agevolare l’esposizione di insegne, la cui ridotta dimensione è indicativa della loro specifica funzione: l’individuazione del luogo di esercizio dell’impresa, scevra di ogni messaggio pubblicitario (3).

Ulteriore finalità concerne la necessità di garantire, nella materia in esame, uniformità di trattamento. Invero, l’art.2-bis, legge n.75/2002, ha esteso al canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari la medesima disciplina prevista dall’art.10 l.n. 448/01, al fine di assicurare uguale trattamento allo stesso mezzo pubblicitario, sia che il comune di riferimento abbia mantenuto l’imposta sulla pubblicità, sia che si tratti, invece, di un comune che, pur disapplicando la suddetta imposta, abbia mantenuto un canone per l’installazione.

Sicuramente illuminante è, poi, l’interpretazione estensiva operata dalla circolare n. 1/DPF del 2002, a favore delle insegne esposte presso le sedi secondarie, sempre che servano ad individuare il luogo di esercizio.

Laddove le insegne delle unità locali siano di dimensioni inferiori ai cinque metri e non contengano messaggi pubblicitari, dovrebbero godere dell’esenzione prevista dall’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993.

In forza del principio di uguaglianza, a situazioni uguali o simili deve applicarsi la medesima disciplina; salvo che la valutazione del caso concreto non giustifichi una deroga a tale disposizione generale, affinché sia sempre e comunque garantita l’uguaglianza tra tutti i cittadini (4).

Così come la sede secondaria, anche l’unità locale conserva una propria autonomia rispetto alla sede principale di una azienda. In special modo quando essa ha ingresso indipendente e diverso indirizzo rispetto alla sede principale.

La rilevanza autonoma di ciascuna sala di esposizione, che non può considerarsi pertinenza accessoria della sede principale di attività, si estende necessariamente anche alla insegna che la caratterizza, accomunandola alla impresa della quale raffigura il marchio, e al tempo stesso, distinguendola come ulteriore punto di riferimento della impresa medesima.

Se così è; se l’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993 (così come modificato dalla legge n. 448/2001, art. 10) sancisce l’esenzione dall’imposta per le insegne d’esercizio che non superino i cinque metri, senza differenziare tra sede principale, sede secondaria e unità locali; se la circolare n. 1/DPF specifica che l’esenzione de qua debba ritenersi afferente anche alle insegne esposte presso le sedi secondarie; se l’unità locale è struttura separata ed autonoma rispetto alla sede principale, al pari della sede secondaria, non si riscontrano motivazioni logico-giuridiche sufficientemente valide a giustificare l’esclusione dall’esenzione per le insegne pertinenti alle unità locali.

Nel caso di specie, ci troviamo innanzi ad una fattispecie non individualmente contemplata dall’ordinamento giuridico: nessuna norma expressis verbis nega o riconosce l’esenzione dal pagamento dell’imposta sulla pubblicità per le insegne relative alle unità locali. Per una corretta valutazione quindi non si può che ricorrere ai generali canoni ermeneutici. E i criteri interpretativi della legge, disciplinati dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, costituiscono l’unica chiave di lettura che possa consentire un approccio costituzionalmente corretto alla situazione in esame.

Invero, laddove manchi una espressa previsione di legge “si ha riguardo a disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe” (5).

Considerando che la tassazione delle insegne poste sulle unità locali è materia certamente assimilabile a quella trattata dall’ all’art.17 comma 1-bis del D.Lgs n.507/1993, si dovrebbe effettuare una interpretazione estensiva, l’unica che consentirebbe di coprire il vuoto di disciplina lasciato dal legislatore.

Per giurisprudenza costante: “le norme aventi carattere eccezionale, come quelle che concedono esenzioni fiscali, sono insuscettibili di interpretazione analogica mentre ne è ammissibile l’interpretazione estensiva quando il significato lessicale delle parole, valutato anche sulla base dell’intenzione del legislatore, risulti più ampio dell’interpretazione letterale. In tale caso, infatti, si ricomprendono nella norma tutti i casi effettivamente voluti dal legislatore nonostante la insufficienza letterale dell’espressione” (6).

L’art.17 comma 1-bis D.Lgs.n.507/1993, così come introdotto dall’art.10 legge n.448/2001, è già stato oggetto di interpretazione estensiva ad opera della circolare n.1/DPF. Pertanto, ben possibile sarebbe un’ulteriore specificazione del contenuto della norma de qua, volta a far rientrare nell’esenzione le insegne poste presso le unità locali.

Una diversa ricostruzione della normativa esaminata risulterebbe in odore di incostituzionalità.

Sulla questione specifica, l’organo giurisdizionale tributario di primo grado si è pronunciato in maniera differente. La sentenza n.113/2/04 (7) e la sentenza n.230/06/05 (8) hanno ritenuto non applicabile alle unità locali l’esenzione prevista per le sedi principali e per quelle secondarie, attesa la non equiparabilità tra unità locale e sede secondaria.

Con altra sentenza (10), invece, la medesima Commissione Tributaria Provinciale ha dichiarato l’illegittimità dell’atto impositivo, ritenendo che anche le unità locali debbano usufruire dell’esenzione prevista per sede principale e secondaria.



BIBLIOGRAFIA

1. Commento pubblicato sul sito internet www.tributi-locali.com/news.htm;

2. Circolare n.3450/C del 27.10.1998;

3. art.2-bis, comma 6, L.n.75/2002;

4. art. 3 Cost., comma secondo;

5. art.12 d.gen.

6. Cass. Civ. n.179, 26.01.71; Cass. Civ. n. 2004, 3.6.76;

7. Sent. n.113/2/04, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Cal., sez. II;

8. Sent. n. 230/06/05, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Cal., sez. IV;

9. Sent. n.97/8/06, Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Cal., sez. VIII.