x

x

La dichiarazione dei redditi è emendabile, sia in fatto che in diritto, anche in sede contenziosa

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Tributaria, Sentenza 4 aprile 2012, n.5399

La Suprema Corte conferma la natura di presunzione semplice agli studi di settore e ribadisce la centralità del contraddittorio.

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 5399 del 4/04/2012) offre un interessante spunto per riflettere su due questioni che questa nota si propone di analizzare.

1. LINEAMENTI DELLA FATTISPECIE.

Il caso affrontato dalla sentenza in commento riguarda la errata indicazione, da parte di una società, del codice attività nella compilazione dello studio di settore. Studio che, così erroneamente compilato, faceva risultare la società non congrua e, sulla base di tale risultato, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggiore imponibile. Di contro, lo studio di settore, compilato con l’indicazione del corretto codice di attività, indicava come congrui i valori dichiarati.

Pronunciandosi su tale fattispecie, la Suprema Corte ha puntualizzato due questioni giuridiche molto importanti, di seguito esposte.

2. EMENDABILITA’ E RITRATTABILITA’ DELLA DICHIARAZIONE ANCHE IN SEDE CONTENZIOSA.

La sentenza in esame chiarisce la posizione della Suprema Corte in merito alla natura della dichiarazione dei redditi.

Come espresso in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, la dichiarazione non presenta natura di atto negoziale e dispositivo, ma costituisce una mera esternazione di scienza e di giudizio.

Per tale motivo, essa può essere modificata, anche in corso di giudizio, qualora sopraggiunga la conoscenza di nuovi elementi che impongono una diversa valutazione dei dati già riportati in dichiarazione.

La Corte sottolinea, inoltre, un aspetto fondamentale: qualora si negasse la emendabilità, anche in sede contenziosa, di una dichiarazione affetta da errore di fatto o di diritto (nel caso di specie la società ricorrente aveva indicato un codice di attività errato), si determinerebbe la violazione dei principi costituzionalmente garantiti di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e di oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97, comma 1, Cost.). Difatti, una dichiarazione contenente un errore di fatto o di diritto comporta un prelievo fiscale indebito, che l’ordinamento non può consentire. Di conseguenza, è ammessa la possibilità di modificare e ritrattare la dichiarazione anche in sede di giudizio.

Peraltro, la Corte dichiara tale criterio conforme al dettato dell’art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n. 322/98, il quale prevede espressamente un limite all’emendabilità: non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Ebbene, tale limite, osserva la Corte, è necessariamente circoscritto all’ipotesi successivamente menzionata dallo stesso comma, ossia a quella di utilizzazione in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, dell’eventuale credito risultante.

3. CENTRALITA’ DEL CONTRADDITTORIO NELL’APPLICAZIONE DI PARAMETRI E STUDI DI SETTORE.

La Cassazione ritorna su un argomento già ampiamente chiarito dalla Sezioni Unite (n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009), ribadendo l’importanza del contraddittorio, quale strumento di cui il contribuente può avvalersi per tutelarsi dalla cruda applicazione di parametri e studi di settore.

Difatti, la sentenza in commento, ricalcando l’orientamento espresso dalla citate Sezioni Unite, assimila parametri e studi di settore a presunzioni semplici, che restano prive di gravità, precisione e concordanza se non viene instaurato il contraddittorio con il contribuente. Anzi, è prevista la nullità dell’accertamento effettuato sulle risultanze di tali standards, qualora l’A.f. non provveda all’instaurazione del contraddittorio, notificando apposito invito.

In sede di contraddittorio, il contribuente ha l’onere di provare l’effettiva realtà economica vissuta dalla sua impresa, facendo emergere le specifiche caratteristiche dell’attività svolta con relativa contestualizzazione ambientale e temporale.

Assolto tale onere da parte del contribuente, l’A.f. non potrà emettere un avviso di accertamento rilevando esclusivamente il discostamento rispetto a parametri e studi di settore. Di contro, l’avviso di accertamento deve specificatamente contenere:

- dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto;

- ragioni per le quali l’A.f. ha disatteso le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio.

Giova, altresì, sottolineare che l’esito del contraddittorio non condiziona in alcun modo la proponibilità del ricorso, essendo il contribuente libero anche di sollevare eccezioni diverse ed ulteriori rispetto a quanto addotto in sede di contraddittorio.

Occorre, tuttavia, evidenziare le conseguenze negative per il contribuente, qualora quest’ultimo non si presenti davanti all’A.f. a seguito di specifico invito. In questo caso, infatti, sebbene il contribuente possa comunque provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, la non aderenza della propria realtà imprenditoriale ai parametri e studi di settore utilizzati dall’A.f., avviene che:

- l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dello scostamento rispetto agli standards;

- il giudice può valutare “nel quadro probatorio” (in senso negativo) la mancata risposta del contribuente allo specifico invito al contraddittorio.



Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 04-04-2012, n. 5399 - Pres. BOGNANNI Salvatore - Est. CAPPABIANCA Aurelio - P.M. VIOLA Alfredo Pompeo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Contribuente - titolare di impresa esercente fabbricazione di ricami su dipinti e confezioni tendaggi e biancheria - propose ricorso avverso avviso di accertamento di maggior imponibili irpef, iva e irap, per l’anno 2001, definiti, in base agli "studi di settore", con riferimento al codice di attività, 7420C, originariamente dichiarato.

A fondamento del ricorso, la contribuente esponeva che - come già riconosciuto dall’Agenzia in relazione alle due annualità precedenti - all’attività espletata andava applicato, con riguardo al pertinente studio di settore (SD06U), il codice 17546 e che, in base a questo, i valori dichiarati risultavano congrui.

L’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale.

I giudici di appello in particolare - assunto che, per rimediare ad errori nella dichiarazione, la contribuente avrebbe dovuto presentare dichiarazione integrativa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 7, (ovvero porre in essere procedura di rimborso ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 - affermarono che la contribuente non aveva offerto elementi idonei a superare la presunzione scaturente dal codice di attività originariamente dichiarato.

Avverso tale sentenza, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La contribuente - deducendo violazione di legge e vizio di motivazione - censura la decisione impugnata, per aver negato l’emendabilità della dichiarazione e per non aver considerato che le risultanze degli "studi di settore", quali dati meramente statistici, non configurano indizi gravi, precisi e concordanti idonei a configurare presunzione legale, in assenza di preventivo contraddittorio.

Le doglianze della ricorrente, che, per la stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminate, sono fondate nei termini di seguito riportati.

Occorre invero, in primo luogo, rilevare che, con riguardo a previgenti formulazioni normative, questa Corte, ha puntualizzato che la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto commesso dal dichiarante nella sua redazione, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò, in quanto: a) la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; b) un sistema legislativi che non consentisse la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., comma 1, e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., comma 1" (cfr. Cass. 2226/11, 1707/07, 22021/06, s.u. 17394/02 e 15063/02).

Il criterio non è sovvertito dalla previsione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis applicabile ratione temporis alla fattispecie, posto che, nell’ambito della relativa formulazione, il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa "non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo" appare doversi ritenere (anche per il dovuto ossequio ai principi di cui agli artt. 57 e 97 Cost., evocati dalla sopra richiamata giurisprudenza) necessariamente circoscritto ai fini dell’utilizzabilità "in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17", indicata nella successiva proposizione della disposizione.

Ciò posto, deve rilevarsi che, in tema di accertamento in base a "parametri" e "studi di settore" le ss.uu. di questa Corte (cfr.

Cass. 26635/09) sono pervenute all’affermazione del seguente principio: "la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati (meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività), ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; che, in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; che l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente il quale, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, tuttavia, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito".

Alla stregua delle considerazioni che precedono, ed atteso che la decisione impugnata non appare aderente agli esposti principi, s’impone l’accoglimento del ricorso.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Lombardia, che applicherà i criteri sopra evidenziati.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

La Suprema Corte conferma la natura di presunzione semplice agli studi di settore e ribadisce la centralità del contraddittorio.

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 5399 del 4/04/2012) offre un interessante spunto per riflettere su due questioni che questa nota si propone di analizzare.

1. LINEAMENTI DELLA FATTISPECIE.

Il caso affrontato dalla sentenza in commento riguarda la errata indicazione, da parte di una società, del codice attività nella compilazione dello studio di settore. Studio che, così erroneamente compilato, faceva risultare la società non congrua e, sulla base di tale risultato, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato un maggiore imponibile. Di contro, lo studio di settore, compilato con l’indicazione del corretto codice di attività, indicava come congrui i valori dichiarati.

Pronunciandosi su tale fattispecie, la Suprema Corte ha puntualizzato due questioni giuridiche molto importanti, di seguito esposte.

2. EMENDABILITA’ E RITRATTABILITA’ DELLA DICHIARAZIONE ANCHE IN SEDE CONTENZIOSA.

La sentenza in esame chiarisce la posizione della Suprema Corte in merito alla natura della dichiarazione dei redditi.

Come espresso in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità, la dichiarazione non presenta natura di atto negoziale e dispositivo, ma costituisce una mera esternazione di scienza e di giudizio.

Per tale motivo, essa può essere modificata, anche in corso di giudizio, qualora sopraggiunga la conoscenza di nuovi elementi che impongono una diversa valutazione dei dati già riportati in dichiarazione.

La Corte sottolinea, inoltre, un aspetto fondamentale: qualora si negasse la emendabilità, anche in sede contenziosa, di una dichiarazione affetta da errore di fatto o di diritto (nel caso di specie la società ricorrente aveva indicato un codice di attività errato), si determinerebbe la violazione dei principi costituzionalmente garantiti di capacità contributiva (art. 53 Cost.) e di oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97, comma 1, Cost.). Difatti, una dichiarazione contenente un errore di fatto o di diritto comporta un prelievo fiscale indebito, che l’ordinamento non può consentire. Di conseguenza, è ammessa la possibilità di modificare e ritrattare la dichiarazione anche in sede di giudizio.

Peraltro, la Corte dichiara tale criterio conforme al dettato dell’art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n. 322/98, il quale prevede espressamente un limite all’emendabilità: non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. Ebbene, tale limite, osserva la Corte, è necessariamente circoscritto all’ipotesi successivamente menzionata dallo stesso comma, ossia a quella di utilizzazione in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, dell’eventuale credito risultante.

3. CENTRALITA’ DEL CONTRADDITTORIO NELL’APPLICAZIONE DI PARAMETRI E STUDI DI SETTORE.

La Cassazione ritorna su un argomento già ampiamente chiarito dalla Sezioni Unite (n. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009), ribadendo l’importanza del contraddittorio, quale strumento di cui il contribuente può avvalersi per tutelarsi dalla cruda applicazione di parametri e studi di settore.

Difatti, la sentenza in commento, ricalcando l’orientamento espresso dalla citate Sezioni Unite, assimila parametri e studi di settore a presunzioni semplici, che restano prive di gravità, precisione e concordanza se non viene instaurato il contraddittorio con il contribuente. Anzi, è prevista la nullità dell’accertamento effettuato sulle risultanze di tali standards, qualora l’A.f. non provveda all’instaurazione del contraddittorio, notificando apposito invito.

In sede di contraddittorio, il contribuente ha l’onere di provare l’effettiva realtà economica vissuta dalla sua impresa, facendo emergere le specifiche caratteristiche dell’attività svolta con relativa contestualizzazione ambientale e temporale.

Assolto tale onere da parte del contribuente, l’A.f. non potrà emettere un avviso di accertamento rilevando esclusivamente il discostamento rispetto a parametri e studi di settore. Di contro, l’avviso di accertamento deve specificatamente contenere:

- dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto;

- ragioni per le quali l’A.f. ha disatteso le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio.

Giova, altresì, sottolineare che l’esito del contraddittorio non condiziona in alcun modo la proponibilità del ricorso, essendo il contribuente libero anche di sollevare eccezioni diverse ed ulteriori rispetto a quanto addotto in sede di contraddittorio.

Occorre, tuttavia, evidenziare le conseguenze negative per il contribuente, qualora quest’ultimo non si presenti davanti all’A.f. a seguito di specifico invito. In questo caso, infatti, sebbene il contribuente possa comunque provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, la non aderenza della propria realtà imprenditoriale ai parametri e studi di settore utilizzati dall’A.f., avviene che:

- l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dello scostamento rispetto agli standards;

- il giudice può valutare “nel quadro probatorio” (in senso negativo) la mancata risposta del contribuente allo specifico invito al contraddittorio.



Sentenza Cassazione civile, sez. Tributaria, 04-04-2012, n. 5399 - Pres. BOGNANNI Salvatore - Est. CAPPABIANCA Aurelio - P.M. VIOLA Alfredo Pompeo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Contribuente - titolare di impresa esercente fabbricazione di ricami su dipinti e confezioni tendaggi e biancheria - propose ricorso avverso avviso di accertamento di maggior imponibili irpef, iva e irap, per l’anno 2001, definiti, in base agli "studi di settore", con riferimento al codice di attività, 7420C, originariamente dichiarato.

A fondamento del ricorso, la contribuente esponeva che - come già riconosciuto dall’Agenzia in relazione alle due annualità precedenti - all’attività espletata andava applicato, con riguardo al pertinente studio di settore (SD06U), il codice 17546 e che, in base a questo, i valori dichiarati risultavano congrui.

L’adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione che, in esito all’appello dell’Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale.

I giudici di appello in particolare - assunto che, per rimediare ad errori nella dichiarazione, la contribuente avrebbe dovuto presentare dichiarazione integrativa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 7, (ovvero porre in essere procedura di rimborso ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 - affermarono che la contribuente non aveva offerto elementi idonei a superare la presunzione scaturente dal codice di attività originariamente dichiarato.

Avverso tale sentenza, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La contribuente - deducendo violazione di legge e vizio di motivazione - censura la decisione impugnata, per aver negato l’emendabilità della dichiarazione e per non aver considerato che le risultanze degli "studi di settore", quali dati meramente statistici, non configurano indizi gravi, precisi e concordanti idonei a configurare presunzione legale, in assenza di preventivo contraddittorio.

Le doglianze della ricorrente, che, per la stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminate, sono fondate nei termini di seguito riportati.

Occorre invero, in primo luogo, rilevare che, con riguardo a previgenti formulazioni normative, questa Corte, ha puntualizzato che la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto commesso dal dichiarante nella sua redazione, è emendabile e ritrattabile anche in sede contenziosa, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò, in quanto: a) la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; b) un sistema legislativi che non consentisse la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., comma 1, e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., comma 1" (cfr. Cass. 2226/11, 1707/07, 22021/06, s.u. 17394/02 e 15063/02).

Il criterio non è sovvertito dalla previsione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis applicabile ratione temporis alla fattispecie, posto che, nell’ambito della relativa formulazione, il limite temporale dell’emendabilità della dichiarazione integrativa "non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo" appare doversi ritenere (anche per il dovuto ossequio ai principi di cui agli artt. 57 e 97 Cost., evocati dalla sopra richiamata giurisprudenza) necessariamente circoscritto ai fini dell’utilizzabilità "in compensazione ai sensi del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17", indicata nella successiva proposizione della disposizione.

Ciò posto, deve rilevarsi che, in tema di accertamento in base a "parametri" e "studi di settore" le ss.uu. di questa Corte (cfr.

Cass. 26635/09) sono pervenute all’affermazione del seguente principio: "la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati (meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività), ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; che, in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente; che l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente il quale, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, tuttavia, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito".

Alla stregua delle considerazioni che precedono, ed atteso che la decisione impugnata non appare aderente agli esposti principi, s’impone l’accoglimento del ricorso.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Lombardia, che applicherà i criteri sopra evidenziati.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.