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La proprietà del bene costruito da uno dei comproprietari del suolo

Colori
Ph. Erika Pucci / Colori

Abstract

Ai fini dell’operatività del principio accessorio, ci si chiede se condizione imprescindibile sia l’altruità del fondo sul quale viene effettuata la costruzione o se, al contrario, l’accessione possa applicarsi anche all’ipotesi in cui l’agente sia uno dei comproprietari del bene.

 

La questione prospettata impone di individuare l’ambito di applicazione del principio di accessione, ossia quel particolare modo di acquisto della proprietà a titolo originario in base al quale il proprietario della cosa principale acquista la titolarità di quella accessoria a seguito dell’unione stabile tra l’una e l’altra.

La ratio dell’istituto è da ricercare nell’esigenza di evitare un eccessivo frazionamento della proprietà, consentire un più razionale sfruttamento del suolo, nonché garantire la certezza dei rapporti giuridici e favorire la circolazione del diritto.

In dottrina, a seconda della natura dei beni interessati dal collegamento si suole distinguere tra accessione verticale ed accessione orizzontale: la prima si verifica tra beni di diverso tipo, l’uno mobile e l’altro immobile; la seconda, invece, tra beni appartenenti alla medesima categoria.

Nonostante il principio sia il medesimo, nel sistema giuridico attuale il legislatore riconduce alla nozione di accessione solo quella verticale, ovvero da mobile ad immobile, mentre qualifica diversamente le altre tipologie indicate.

Ciò a differenza di quanto avveniva nel diritto romano, dove si era invece pervenuti a riconoscere maggiore estensione all’istituto dell’accessione, ricomprendendo al suo interno anche quella da immobile ad immobile e da mobile a mobile.

Come previsto dall’articolo 934 Codice Civile, in particolare, qualunque piantagione, costruzione od opera, sopra o sotto il suolo, appartiene al proprietario di questo, salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.

La norma disciplina la c.d. accessione verticale, nella quale è lo stesso legislatore a individuare nell’immobile la cosa principale, e dunque a concentrare in capo al proprietario di questo anche la titolarità del bene accessorio.

Tanto premesso, posto che la legge fa specifico riferimento al caso in cui la costruzione sia realizzata da un terzo estraneo, ci si chiede cosa accada qualora questa sia invece effettuata da uno dei comproprietari del suolo.

Secondo un orientamento minoritario, l’accessione presuppone per sua stessa natura l’altruità del fondo nel quale viene realizzato il manufatto o comunque seminata la piantagione, con la conseguenza che nell’ipotesi qui considerata non può applicarsi il relativo principio e la fattispecie rimarrebbe dunque regolata dalle norme in materia di comunione.

Per tale concezione, dunque, la costruzione può essere attribuita in proprietà ai singoli comproprietari solo nel caso in cui la stessa sia stata effettuata con le maggioranze richiesta dalla legge in tema di comunione; diversamente, essa non può che considerarsi di proprietà esclusiva di colui il quale l’ha realizzata, salva in ogni caso la possibilità per gli altri comunisti di agire in giudizio per far valere la violazione ed ottenere così la demolizione dell’opera abusiva, nonché il risarcimento dell’ulteriore ed eventuale danno.

Di contrario avviso sono invece le sezioni unite, per le quali molteplici sono le ragioni per le quali anche in questo caso debba operare il principio accessorio.

Si contesta, in primo luogo, l’assunto in base al quale l’accessione presupporrebbe necessariamente l’altruità del fondo: da un punto di vista letterale, infatti, l’articolo 934 Codice Civile non fa alcun riferimento all’alterità soggettiva tra costruttore e proprietario del suolo; d’altra parte, in un’ottica sistematica, è lo stesso articolo 935 Codice Civile a disciplinare proprio un’ipotesi nella quale l’accessione opera nonostante la coincidenza tra il costruttore e il proprietario del fondo.

Secondo la Corte, inoltre, occorre considerare la valenza delle norme in materia di comunione, le quali sono volte a disciplinare l’utilizzo in comune di una determinata cosa, mentre non possono certo operare come un modo di acquisto della proprietà derogando al principio di accessione, il quale non può che trovare applicazione anche nella suddetta ipotesi.

Ragionando diversamente, d’altronde, si finirebbe per porsi in contrasto con l’articolo 922 Codice Civile, il quale sancisce il principio di tipicità dei modi di acquisto della proprietà, nonché con l’articolo 42 della Carta fondamentale, legittimando una sorta di espropriazione indiretta in conflitto con il principio di legalità.

A sostegno di tale conclusione, infine, il Collegio richiama esigenze di equità sostanziale, le quali impongono di non avvantaggiare, a danno degli altri comproprietari del suolo, l’autore dell’abuso, riconoscendogli la proprietà esclusiva della costruzione.

Sulla base di tali considerazioni, pertanto, la Corte ritiene che la proprietà della costruzione non possa che considerarsi attribuita ipso iure a tutti i comproprietari per effetto dell’accessione, salvo eventuali deroghe convenzionali, le quali, precisa la Corte, in quanto integranti la costituzione di un diritto di superficie, devono risultare da atto scritto ex articolo 1350, comma 1, n. 2, Codice Civile.

Ciò non toglie, tuttavia, che nei rapporti interni continuino ad applicarsi le norme sulla comunione, con la conseguenza che la mancanza della maggioranze richieste dalla legge per le innovazioni ovvero la realizzazione della costruzione in modo da pregiudicare il godimento della cosa comune da parte di alcuno di essi o da comportare una spesa eccessivamente gravosa, potrà essere fatta valere dai comproprietari non costruttori, i quali possono così ottenere la riduzione in pristino dell’area, e l’eventuale risarcimento dell’ulteriore danno, attraverso l’esercizio delle azioni petitorie e possessorie.

La demolizione dell’opera abusiva (c.d. ius tollendi), in particolare, potrà avvenire ricorrendo alla tutela in forma specifica di cui all’articolo 2933 Codice Civile, che disciplina l’esecuzione coattiva delle obbligazioni di non fare, nonché essere decisa dalla maggioranza dei comproprietari ex articolo 1108 Codice Civile.

L’esercizio dello ius tollendi, tuttavia, sottolinea la Corte, deve essere coniugato con il principio di tolleranza, con quello di affidamento e con quello di buona fede.

Deve infatti considerarsi il disposto dell’articolo 936, comma 4, Codice Civile, secondo il quale il proprietario non può obbligare il terzo a togliere le piantagioni, costruzioni od opere quando queste sono state fatte a sua scienza e senza opposizione o quando sono state fatte dal terzo in buona fede.

Nonostante tale norma sia dettata con specifico riguardo al caso della costruzione effettuata su suolo altrui dal terzo estraneo, infatti, la stessa sottende importanti principi di carattere generale ed immanenti all’ordinamento giuridico, i quali non possono che essere presi in considerazione anche nella diversa fattispecie qui considerata.

Occorre pertanto mantenere distinti il caso in cui il comproprietario costruttore abbia agito contro l’esplicito divieto degli altri o all’insaputa di questi, dalla diversa ipotesi nella quale egli abbia invece agito a scienza e senza opposizione da parte degli altri comproprietari.

Nella prima delle fattispecie indicate, in particolare, deve certamente essere riconosciuto ai comproprietari non costruttori il diritto di ottenere il ripristino dello status quo ante, mentre nella seconda, essendovi stato il consenso implicito di questi alla realizzazione della costruzione alla quale non si sono opposti, deve essere escluso che costoro possano pretendere la demolizione dell’opera, dovendo essere tutelato il legittimo affidamento del costruttore in ordine al sopravvenuto consenso implicito del compartecipe alla comunione.

Il consenso alla costruzione, specifica la Corte, può essere manifestato in qualsiasi forma in quanto non rientra nella sfera dei diritti reali e non influisce sull’operatività dell’accessione, la quale, essendo un mero fatto giuridico, agisce in via automatica, ovvero senza la necessità di alcuna manifestazione di volontà in tal senso.

Nel caso in cui gli altri comproprietari non possano o non intendano esercitare il diritto alla demolizione, invece, spetterà al costruttore il rimborso delle spese sostenute per la realizzazione dell’opera divenuta comune, le quali dovranno essere ripartite in proporzione alle rispettive quote di proprietà.