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La comunicazione e l’informazione antimafia

Ruperupe, Paul Gaugin, 1899, Museo dell'Hermitage
Ruperupe, Paul Gaugin, 1899, Museo dell'Hermitage

Abstract

Allo scopo di scongiurare il rischio di infiltrazione mafiosa nell’esercizio delle attività economiche, sia nell’ambito dei rapporti pubblici che in quelli concernenti i soggetti privati, il legislatore ha improntato un articolato modello procedimentale che coinvolge l’autorità prefettizia, alla quale le singole amministrazioni devono rivolgersi per verificare la sussistenza di elementi tali da presupporre un tentativo di condizionamento dell’attività da parte della criminalità organizzata.

Nonostante la normativa specialistica distingua tra comunicazione ed informazione antimafia, le quali continuano a differenziarsi in merito al contenuto, attualmente tale classificazione ha tuttavia perso parte della sua importanza, essendo stati sostanzialmente equiparati i rispettivi ambiti di applicazione attraverso l’estensione dell’informazione antimafia anche ai rapporti giuridici tra privati.

 

La documentazione antimafia

Il sistema c.d. della “documentazione antimafia” trova il proprio fondamento nel d.lgs. n. 159/11, il quale distingue tra comunicazione ed informazione antimafia.

Mediante lo strumento della documentazione antimafia il legislatore intende prevenire eventuali fenomeni di infiltrazione mafiosa nell’esercizio delle attività economiche, sia nell’ambito dei rapporti giuridici pubblicistici, si pensi ai contratti e alle sovvenzioni pubbliche, che in quello dei rapporti giuridici privatistici, con specifico riferimento a tutte quelle attività soggette ad autorizzazione amministrativa, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi o anche alla segnalazione certificata di inizio attività e al silenzio assenso.

Tanto premesso, la comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di divieto, decadenza o sospensione di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/11, le quali consistono nell’applicazione con provvedimento definitivo di una misura di prevenzione personale ovvero nella condanna con sentenza definitiva, o comunque confermata in appello, per taluni gravi reati indicati dal comma 8.

Secondo tale norma, in particolare, i soggetti che siano stati fatti destinatari di tali provvedimenti non possono ottenere:

licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;

concessioni di acque pubbliche, di beni demaniali, di servizi pubblici, di costruzione e gestione di opere riguardanti la p.a.;

iscrizioni negli elenchi degli appaltatori o dei fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la p.a. e nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso;

attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;

altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;

licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito vendita e trasporto di materie esplodenti.

Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione o di condanna definitiva, o confermata in appello, per i reati indicati determina inoltre la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni anczidette, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate ed è disposta la decadenza delle attestazioni a cura degli organi competenti.

L’informazione antimafia, invece, oltre che nell’attestazione o meno della sussistenza di una delle cause di divieto, decadenza o sospensione menzionate nell’art. 67 citato, consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizione le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate.

L’informativa antimafia si caratterizza per avere un duplice contenuto, da un lato di  tipo vincolato, così come la comunicazione, e dall’altro di carattere discrezionale, consentendo al Prefetto la possibilità di desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa da elementi specificatamente indicati, quali i provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni reati elencati, dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di una misura di prevenzione, dalla mancata denuncia per i reati di concussione ed estorsione da parte dell’imprenditore vessato dagli abusi, dagli accertamenti disposti dal Prefetto.

Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa, in particolare, ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia non è necessario dimostrare l’avvenuto tentativo di infiltrazione mafiosa, bensì solo la sussistenza di elementi sintomatici dai quali, sulla base di una giudizio prognostico discrezionale, sia possibile dedurre il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; tali elementi, d’altra parte, vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi possa acquisire valenza nella sua connessione con gli altri.

Il criterio probatorio che legittima l’adozione dell’interdittiva antimafia, precisa la giurisprudenza, è quello civilistico del “più probabile che non” e non, invece, quello penalistico della colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio”.

Al sistema delle informazioni antimafia è infatti estranea qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria, in ragione della finalità “anticipatoria” che l’informazione è destinata a perseguire.

Come affermato dalla giurisprudenza, in particolare, l’amministrazione può dare rilevanza anche a rapporti di parentela e vicinanza a sodalizi mafiosi.

L’informativa antimafia è dunque, a differenza della comunicazione, un provvedimento connotato da ampi margini di apprezzamento e da particolare discrezionalità.

Tale carattere ha indotto gli interpreti a circoscrivere sensibilmente l’ampiezza del sindacato giurisdizionale in materia, ammettendo la sindacabilità della valutazione prefettizia solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, e quindi nella sola ipotesi in cui l’esercizio del potere discrezionale da parte dell’amministrazione sia viziato da eccesso di potere.

Al contrario, si osserva, rimane invece preclusa al giudice la possibilità di procedere ad un nuovo accertamento dei fatti posti alla base del provvedimento, la cui valutazione deve essere riservata all’autorità amministrativa.

Come specificatamente osservato dal supremo consesso amministrativo, la disciplina su base indiziaria che caratterizza l’informativa trova la sua ragion d’essere nella necessità di contemperare interessi contrapposti: da una parte, la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione e, dall’altra, l’interesse alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi.

Versandosi in ambito amministrativo, precisa il Collegio, deve ritenersi altresì rispettato il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., il quale trova esclusiva applicazione in materia penale.

Tanto premesso, la rigida ripartizione degli effetti interdittivi tra comunicazione antimafia, applicabile anche con riguardo alle attività economiche esercitate tra privati, e l’informativa antimafia, riferibile solo ai rapporti con la p.a., è stata in parte superata dal d.lgs. n. 153/14, il quale ha esteso l’efficacia interdittiva delle informazioni antimafia anche ai rapporti tra soggetti privati.

L’art. 89 bis del codice antimafia (d.lgs. n. 159/11), infatti, impone al Prefetto, cui sia stata richiesta una comunicazione antimafia, di rilasciare in suo luogo un’informazione antimafia qualora, pur verificando l’assenza della cause di divieto e decadenza di cui all’art. 67, accerti comunque un tentativo di infiltrazione mafiosa.

 

Il contraddittorio procedimentale

La natura e la particolare rilevanza degli interessi perseguiti attraverso l’emanazione della legislazione antimafia, si pensi alla tutela dell’ordine pubblico e alla prevenzione dei reati di criminalità organizzata, giustificano, secondo parte della giurisprudenza, una deroga alla normativa generale in tema di procedimento amministrativo contenuta nella l. n. 241/90.

Secondo l’orientamento maggiormente diffuso nella giurisprudenza amministrativa, in particolare, un’attenuazione del contraddittorio procedimentale in materia di legislazione antimafia non costituisce un “vulnus” al principio di buona amministrazione, in quanto il diritto al contraddittorio procedimentale non costituisce una prerogativa assoluta, potendo essere soggetto a restrizioni in presenza di obiettivi di carattere generale, purché le stesse non risultino sproporzionate rispetto a fini perseguiti.

Si osserva, d’altronde, che il codice antimafia non esclude a priori e in via generale la partecipazione procedimentale, limitandosi invece a subordinarla alla prudente valutazione dell’autorità preposta all’emissione del provvedimento interdittivo, la quale è tenuta a considerarne l’utilità rispetto al fine pubblico perseguito.

Per tale concezione, inoltre, l’esclusione o la limitazione del contraddittorio procedimentale in sede di normativa antimafia, deve ritenersi certamente giustificata in quanto la conoscenza dell’imminente e probabile adozione di un provvedimento antimafia, acquisita in sede procedimentale, potrebbe frustrare l’interesse pubblico sotteso all’adozione del medesimo provvedimento.

Anche la Corte di Giustizia, d’altronde, ha di recente ritenuto che il contrasto al fenomeno della criminalità organizzata negli appalti pubblici possa giustificare una limitazione all’applicazione dei principi generali che operano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione.

Secondo tale impostazione, dunque, deve ritenersi che il principio del “giusto procedimento” non abbia una valenza assoluta, ammettendo deroghe in presenza della necessità di tutelare interessi pubblici superiori, quali la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, a condizione, tuttavia, che le limitazioni siano proporzionate alle necessità del caso.

Di contrario avviso è invece un’interpretazione minoritaria, la quale sottolinea l’importanza che il contraddittorio assume nella fase procedimentale ai fini della tutela della posizione giuridica dell’impresa interessata, la quale potrebbe offrire all’autorità amministrativa prove ed argomentazioni convincenti per ottenere un’informativa antimafia liberatoria, pur in presenza di elementi o indizi sfavorevoli.

 

L’illegittimità dell’informativa interdittiva ed il risarcimento del danno conseguente

Detto questo, ai fini della legittimità dell’informativa antimafia interdittiva è comunque necessario accertare la sussistenza di elementi tali da poterla giustificare, ovvero capaci di evidenziare, sulla base di un criterio probabilistico, un eventuale tentativo di infiltrazione mafiosa; qualora manchino i suddetti requisiti, l’informativa deve considerarsi illegittima.

L’annullamento dell’informativa antimafia illegittima in sede giurisdizionale, ha posto all’attenzione della giurisprudenza amministrativa la problematica inerente alla domanda risarcitoria avanzata in conseguenza dei pregiudizi patiti dal privato in seguito alla revoca dell’affidamento.

Secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza, il risarcimento dei danni conseguenti ad una revoca dell’aggiudicazione avvenuta sulla base di un’informazione antimafia interdittiva, successivamente annullata in sede giurisdizionale, si manifesta in maniera particolare.

Il risarcimento del danno, infatti, non può essere una conseguenza automatica dell’annullamento del provvedimento amministrativo, in quanto la responsabilità civile della p.a. presuppone comunque la natura colposa dell’addebito; tale risarcimento, pertanto, richiede la verifica positiva della colpa in capo all’amministrazione, nonché la dimostrazione del nesso di causalità tra il provvedimento illegittimo ed il danno sofferto.

La configurabilità della colpa in capo all’amministrazione nell’adozione delle informative antimafia non può prescindere, osserva la giurisprudenza, dalla considerazione della loro specifica finalità e deve quindi essere scrutinata in coerenza con la natura, la funzione ed i contenuti delle relative misure.

Ne deriva, secondo il Consiglio di Stato, che il beneficio dell’errore scusabile, quale causa di esclusione della colpa e quindi della responsabilità dell’amministrazione, deve essere riconosciuto in tutte quelle ipotesi in cui le acquisizioni informative, trasmesse al Prefetto dagli organi di polizia, risultino astrattamente idonee a formulare un giudizio plausibile sul tentativo di infiltrazione mafiosa, in quanto oggettivamente significative di collegamenti tra l’organizzazione criminale e l’amministrazione dell’impresa, ancorché vengano in concreto giudicate insufficienti a giustificare ed a legittimare la misura interdittiva.

Al contrario, la sussistenza dell’errore scusabile va invece certamente esclusa in tutti quei casi in cui le acquisizioni istruttorie si rivelino talmente inconsistenti, per esempio per il numero esiguo o la scarsa significatività, da non consentire, nemmeno secondo le ordinarie regole del procedimento indiziario, alcun apprezzamento serio ed attendibile, neppure in astratto, circa il pericolo di condizionamento mafioso dell’impresa.

 

La “white list”

Da ultimo, occorre dare atto di quanto previsto dall’art. 1, comma 52 bis, l. n. 190/12 (disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella p.a.), secondo il quale, per le attività imprenditoriali considerate maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa, la comunicazione e l’informazione antimafia liberatoria, da ottenere indipendentemente dalle soglie stabilite dal d.lgs. n. 159/11, è obbligatoriamente acquisita attraverso la consultazione, anche per via telematica, di un apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori.

Come previsto dalla norma, inoltre, tale iscrizione tiene luogo della comunicazione e dell’informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali è stata disposta.

Per quanto riguarda le interdittive antimafia, dunque, le disposizioni relative all’iscrizione nella c.d. “white list” formano un corpus normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia.

Anche in relazione al diniego di iscrizione nella suddetta lista, poi, così come avviene in via generale con riferimento alla documentazione antimafia, è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa desunto da elementi tali da rendere seria ed attendibile, sulla base di un giudizio probabilistico, la valutazione circa l’esistenza di un condizionamento della criminalità organizzata nell’impresa.