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Interdittiva antimafia: comunicazioni e informazioni

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Indice:

1. Finalità

2. Comunicazione antimafia

3. Informazione antimafia

4. Considerazioni conclusive

 

1. Interdittiva antimafia: finalità

La legislazione antimafia (Codice), compiuta con l’emanazione del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, si prefigge di garantire la sicurezza pubblica e di contrastare il dilagante fenomeno corruttivo, in particolar modo nel settore degli appalti pubblici dove si manifestano fenomeni di mala gestio, di corruzione, di infiltrazioni mafiose nelle attività economiche non solo nei rapporti dei privati con le pubbliche amministrazioni, ma anche quello di bloccare l’esercizio dell’attività economica, nei rapporti tra i privati stessi.

È applicabile per l’esercizio di qualsivoglia attività privata, sottoposta a regime autorizzatorio, che può essere intrapresa su segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA) del privato alla pubblica amministrazione competente o sottoposta alla disciplina del silenzio-assenso, indicata nella tabella C annessa al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1992 n. 300, e successive modificazioni.

La documentazione antimafia, basata su un sistema dualistico, comunicazioni e informazioni antimafia, costituiscono le fondamentali misure di prevenzione amministrative previste dal Codice il quale, per l’individuazione del pericolo di infiltrazione mafiosa nell’economia e nelle imprese, ha fornito strumenti sempre più idonei e capaci di consentire valutazioni e accertamenti tanto variegati e adeguabili alle circostanze, quanto variabili e diversamente atteggiati sono i mezzi che le mafie usano per cercare di ottenere profitti illeciti.

L’istituto della interdittiva antimafia, strumentale alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione, implica che il Prefetto escluda che un imprenditore, anche se in possesso di sufficienti mezzi economici e di una adeguata organizzazione, ottenga la fiducia delle amministrazioni e, di conseguenza, possa essere titolare di rapporti contrattuali o di altri titoli abilitativi, previsti dalla legge, con le pubbliche Amministrazioni.

Non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti emersi in sede penale aventi carattere definitivo, ma ben può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari e con l'ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo nel caso in cui questi vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

In conclusione, “l'interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa”.

Si fonda su una valutazione di tipo prognostico e presuntivo circa la sussistenza di pericoli di infiltrazione e ciò a prescindere dall'accertamento di responsabilità penali. In tal senso, per l'applicazione dell’interdittiva occorrono idonei e specifici elementi di fatto obiettivamente indicativi e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose” e non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l'appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso ma un ”quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata" (cfr, ex multis, Cons. di Stato, Sez. III, 1 settembre 2014, n. 4450 e prima Cons. di Stato, Sez. III, 28 novembre 2013, n. 5697).

La Corte Costituzionale (Sentenza 26 marzo 2020, n. 57) ha affermato che “quello che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità dell’intervento”. In tal modo viene avvalorata, ancora una volta, la natura cautelare e preventiva dell’interdittiva e quindi la sua “prospettiva anticipatoria”.

Il provvedimento che si dovrà fondare su una precisa e idonea motivazione, è soggetto a controllo giurisdizionale “pieno ed effettivo” essendo l’interdittiva sì discrezionale e basata su elementi di fatto “sintomatici e indiziari”, ma caratterizzata da una “forte componente tecnica”.

Non si può neanche ritenere illegittima in relazione al profilo della ragionevolezza poiché i valori coinvolti impongono di contrastare anticipatamente i fenomeni mafiosi. La sentenza conclude rimarcando che la provvisorietà dell’interdittiva legittima totalmente la sua costituzionalità e la distingue nettamente dalle misure di prevenzione personale.

Ciò implica che allo scadere dei dodici mesi di validità di cui all’articolo 86, comma 2 del decreto legislativo n. 159/2011, se vengono meno le condizioni che avevano portato alla sua adozione, l’impresa potrà essere nuovamente iscritta alla Camera di Commercio e rientrare, così, nel perimetro economico.

La normativa in esame è applicabile solo quando il privato entra in rapporto con la pubblica amministrazione: di conseguenza i soggetti privati non possono chiedere alle Prefetture alcuna documentazione sui rischi di condizionamento mafioso delle imprese cui intendono affidare appalti. Per i privati, resta così inutilizzabile la documentazione, delle prefetture e del casellario gestito dall'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), sulle interdittive antimafia (Consiglio di Stato, sentenza n. 452 del 20 gennaio 2020).

Di recente, però, il Consiglio di Stato ha evidenziato l’opportunità che “essendo l’infiltrazione mafiosa una forma di iniziativa economica che contrasta e danneggia sicurezza, libertà e dignità umana (articolo 41, comma secondo, della Costituzione), debba valere anche per il privato ‘inquinato’ il quale, seppur pur non avendo rapporti con la pubblica amministrazione, li intrattiene con altri privati sul mercato”.

 

2. Comunicazione antimafia

La comunicazione antimafia (articolo 84, comma 2, del decreto legislativo n. 159/2011), emanata nei confronti di soggetti che hanno ricevuto, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione di cui al codice antimafia, con conseguente divieto di concludere contratti pubblici e decadenza da licenze, autorizzazioni, concessioni, etc., consiste in un attestato, un documento ricognitivo di tipo accertativo che viene rilasciato dalla competente Prefettura, avente lo scopo di dimostrare i fatti accertati circa la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’articolo 67 del decreto legislativo n. 159/2011, ovvero l’applicazione, con provvedimento definitivo, di una delle misure di prevenzione personali previste dal libro I, titolo I, capo II, del decreto legislativo n. 159/2011 e disposte dall’autorità giudiziaria.

Tratteggia la situazione di cedevolezza mafiosa racchiusa in un provvedimento giurisdizionale di carattere vincolato, definitivo, non impugnato o non più impugnabile e quindi, passato in giudicato, con il quale il Giudice ha applicato una misura di prevenzione personale prevista dal Codice antimafia, attestante l'esistenza, o meno, di tale situazione categorizzata nel provvedimento di prevenzione.

Per espressa previsione legislativa, le comunicazioni antimafia hanno efficacia interdittiva nei confronti di tutte le iscrizioni e dei provvedimenti autorizzatori, concessori o abilitativi per lo svolgimento di attività imprenditoriali, nonché di tutte le attività soggette a segnalazione di inizio attività (c.d. SCIA) e a silenzio assenso.

Il Prefetto rilascia la comunicazione antimafia entro trenta giorni dalla data della consultazione della banca dati nazionale unica. Tuttavia, decorso infruttuosamente detto termine, la stazione appaltante può procedere, anche in assenza, mediante acquisizione di dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista e regolata dall'articolo 46, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, resa dal partecipante attestante l’inesistenza delle cause di divieto, di decadenza di cui all’articolo 67 del Codice antimafia da allegare, come documento integrante, alla domanda di partecipazione alla gara, sotto comminatoria di esclusione.

In questa evenienza, le parti avranno cura di inserire nel contratto di appalto specifica condizione risolutiva espressa, subordinando, quindi, la risoluzione del contratto alla comunicazione interdittiva non liberatoria a carico dell’affidatario.

Nel caso in cui le cause di decadenza vengono accertate successivamente alla stipula del contratto, la stazione appaltante è vincolata/obbligata a recepirne gli effetti interdittivi recedendo dal contratto, previo pagamento delle spese sostenute per le opere già eseguite e il rimborso di oneri affrontati per l’esecuzione della parte residua entro i limiti dei vantaggi ottenuti.

In ogni caso, e quando lo richieda il perseguimento del superiore interesse pubblico o in caso di fornitura di beni e/o servizi essenziale ed indifferibile a salvaguardia dei diritti fondamentali, è fatta salva l’ipotesi di ultimazione dei lavori o alla continuità dell’erogazione di beni e/o servizi che non possono essere interrotti, senza procurare grave nocumento alla comunità.

In caso di risoluzione del contratto per sopraggiunta interdittiva antimafia a carico della ditta aggiudicataria, è facoltà della stazione appaltante interpellare il secondo concorrente utilmente collocato in graduatoria per la stipula di contratto ex novo per la parte residua dei lavori e/o fornitura di bei e servizi agli stessi patti e condizioni di cui all’originario contratto.

I giudici amministrativi (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 3/2018) hanno chiarito che l’interdittiva antimafia è un provvedimento amministrativo, adottato all’esito di un procedimento normativamente tipizzato e nei confronti del quale vi è previsione delle indispensabili garanzie di tutela giurisdizionale del soggetto di esso destinatario, al quale deve essere riconosciuta natura cautelare e preventiva, in un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’articolo 41 della Costituzione.

Il provvedimento in questione è finalizzato a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, che possano condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione: si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall’articolo 97 della Costituzione, sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato sia, infine del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

In particolare, si caratterizza in quanto parziale, ossia limitata ai rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione, con riferimento a precisi casi espressamente indicati dalla legge (ex articolo 67 del decreto legislativo n. 159/2011); tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento liberatorio del Prefetto.

Determina una particolare forma di incapacità giuridica, consistente nella inidoneità del soggetto destinatario ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive che determinino rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione, che lo renderebbe inidoneo a ricevere somme dovutegli dalla Pubblica Amministrazione a titolo risarcitorio in relazione ad una vicenda sorta dall’affidamento o dal mancato affidamento di un appalto.

La comunicazione antimafia ha una validità di sei mesi dalla data dell'acquisizione ed è obbligatoria per le seguenti attività d’impresa:

a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;

b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali;

c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici;

d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;

e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;

f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;

g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;

h) licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.

 

3. Informazione antimafia

Il Codice antimafia (articolo 84, comma 3, del decreto legislativo n. 159/2011) definisce l’informazione antimafia come “l'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché nell’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate…”, e che determina in particolare l’impossibilità di stipulare contratti con la pubblica amministrazione (cfr. sentenza del Tar Toscana n. 910 del 2018). È un provvedimento amministrativo, di natura cautelare e preventiva, emesso dal Prefetto, in un’ottica di bilanciamento preordinato alla tutela e libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’articolo 41 della Costituzione dalle infiltrazioni mafiose, dell’ordine e della sicurezza pubblica, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 3 del 06/04/2018).

Qualora colpito da una interdittiva l’imprenditore non potrà essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni, ovvero destinatario di titoli abilitativi da queste rilasciati, come individuati dalla legge, ovvero essere destinatario di “contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate” (Delibera ANAC n. 487 del 29.5.2019). Si applica sia alla fase di stipula del contratto che alla fase di scelta del privato contraente.

È il risultato di una valutazione discrezionale dell’autorità prefettizia, fondata su una serie di elementi indicatori ed esprime un circostanziato giudizio, preventivo, sul pericolo di infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa. In virtù di tale probabile rischio, viene interdetto l’inizio o la prosecuzione di attività con l’amministrazione pubblica o l’ottenimento di sussidi, benefici o sovvenzioni, determinando la revoca di quelli già erogati.

I soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, devono acquisire l'informazione prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia:

a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;

b) superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
c) superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.

L’informazione antimafia consta di un duplice contenuto: il primo, contraddistinto da attività vincolata, si estrinseca mediante attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’articolo 67, ossia l’esistenza di un provvedimento di prevenzione definitivo; il secondo, caratterizzato da incondizionata valutazione del Prefetto, racchiuso in una certificazione circa la sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate. L'informazione ha, pertanto, un contenuto più ampio della comunicazione ed è il frutto di una autonoma valutazione del Prefetto il quale è chiamato a soppesare il rischio, descrivendo in modo puntuale i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che sono alla base della decisione, in rapporto alle risultanze dell’istruttoria, esprimendo un motivato giudizio fondato su elementi significativi, in chiave prospettica, circa il pericolo di infiltrazione mafiosa all'interno dell'impresa, proibendole l'inizio di qualsivoglia rapporto contrattuale con l'amministrazione o l'ottenimento di qualsiasi sussidio, beneficio economico o sovvenzione. Inoltre, l’informazione antimafia, diversamente dalla comunicazione, è richiesta solo per operazioni che superino certe soglie di valore indicate nell’articolo 91, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo n. 159/2011.

A differenza della comunicazione, l’informazione antimafia si basa, come accennato, su una valutazione di carattere discrezionale, da parte dell’autorità prefettizia, disposta tramite una ponderazione discrezionale circa la sussistenza o meno di tentativi d’infiltrazione mafiosa, i quali devono risultare evidenti da specifici elementi fattuali che devono rappresentare indici certi e sintomatici di connessioni o collegamenti con associazioni criminali.

La suddetta valutazione è fondata su “fatti ed episodi i quali, seppure non assurgano al rango di prove o indizi di valenza processuale, nel loro insieme rappresentano un quadro indiziario univoco e concordante avente valore sintomatico del pericolo di infiltrazioni”.

Partendo dal criterio di derivazione civilistica del “più probabile che non”, i giudici amministrativi ricordano come non è necessaria la presenza di elementi certi che vadano oltre l’ogni ragionevole dubbio richiesto in sede di accertamento di responsabilità penale, bensì è sufficiente un “ragionamento induttivo, legato all’osservazione, con premesse che rendono probabile che la conclusione sia vera, di tipo probabilistico alla base del quale vi deve essere “una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti”.

Tale istituto è riconducibile al diritto della prevenzione che si basa su pericoli potenziali a condizione che non derivino “da elementi meramente immaginari o aleatori”, tant’è che in generale il concetto di pericolo consiste “nella probabilità di un evento e, cioè,  l’elevata possibilità e non mera possibilità, la semplice eventualità che esso si verifichi”. Una serie di elementi indicatori, quindi, che fa sì che l’intervento dello Stato non sia in alcun modo riconducibile al semplice sospetto o “diritto della paura”.

Il Consiglio di Stato ha precisato come sia estranea al sistema delle informative antimafia, che non hanno natura sanzionatoria ma cautelare, la logica penalistica di certezza probatoria, occorrendo valutare il rischio di inquinamento mafioso in base all’ormai consolidato criterio del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso, sulla base dei quali il giudice amministrativo possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussiste.

Alla luce dei rilievi svolti, il criterio di probabilità logica deve misurarsi con il quadro indiziario, eterogeneo e mutevole nel tempo, del fenomeno infiltrativo mafioso nel mondo imprenditoriale, dovendo porsi al passo con la rapida evoluzione dell’economia nell’ambito di un sistema ormai improntato alla globalizzazione e alla dimensione internazionale dei flussi finanziari e degli scambi economici.

L’informazione antimafia non ha carattere afflittivo, trattandosi di uno strumento di interdizione e di controllo sociale, volto a contrastare le forme più subdole di aggressione all’ordine pubblico economico, a salvaguardia della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione; è infatti interesse dell’Amministrazione poter verificare ”affidabilità” e “moralità” delle imprese con le quali stipula rapporti contrattuali.

La normativa prevede un obbligo per le Amministrazioni di verificare l’assenza del pericolo di infiltrazione mafiosa per i contratti di importo superiore a 150mila euro (articolo 83 del decreto legislativo n. 159/2011) e per alcune tipologie di lavori, considerate “come maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa”, anche sotto questa soglia, fatta salva la facoltà della stessa Amministrazione di richiedere la documentazione antimafia anche per gare di più modesto valore, come espressamente previsto da alcuni Protocolli di legalità. L’Amministrazione è obbligata ad uniformarsi alle risultanze degli accertamenti della prefettura, in quanto la legge è “volta ad evitare radicalmente l’erogazione di risorse pubbliche a soggetti esposti ad infiltrazioni di tipo mafioso, e che pertanto mal tollera che ciò possa avvenire solo entro determinati limiti quantitativi” e risulta legittimo il provvedimento di sospensione delle erogazioni assunto da un’Amministrazione, in attesa della verifica da parte della prefettura in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa. Le imprese sono tenute a fornire tutti i dati necessari all’espletamento delle verifiche antimafia (sentenza Tar Napoli n. 3767 del 2016).

Va inoltre ricordato che per le Amministrazioni sciolte per infiltrazioni mafiose è disposto comunque l’obbligo di “acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia precedentemente alla stipulazione, all’approvazione o all’autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto, ovvero precedentemente al rilascio di qualsiasi concessione o erogazione indicati nell’articolo 67 indipendentemente dal valore economico degli stessi”.

Il Consiglio di Stato, decidendo in merito ad un ricorso di una società colpita da interdittiva prefettizia antimafia, ha sottolineato che la stessa determina una particolare forma di incapacità ex lege, sia pure temporanea (in quanto un successivo provvedimento dell’autorità amministrativa competente potrebbe revocarla) che preclude la possibilità di accedere, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera g) del decreto legislativo n. 159 del 2011, a tutti i “contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”.

La giurisprudenza amministrativa e la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 4 del 2018) sottolineano la logica unitaria che ispira il codice antimafia, superando la tradizionale impermeabilità dei dati posti a fondamento della comunicazione antimafia e dell’informazione antimafia. Il legislatore, attraverso successive integrazioni della normativa originaria, ha infatti individuato una serie di strumenti in grado di garantire, attraverso approfonditi accertamenti, una tutela rafforzata alle situazioni estremamente pericolose di coinvolgimento delle organizzazioni criminali in qualsiasi attività di natura imprenditoriale, consentendo “di introdurre ipotesi in cui tale infiltrazione, alla quale corrisponde l’adozione di un’informazione antimafia, giustifichi un impedimento non alla sola attività contrattuale della pubblica amministrazione, ma anche ai diversi contatti che con essa possano realizzarsi nei casi ora indicati dall’articolo 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011”. Ne consegue che, “la comunicazione e l’informazione antimafia resterebbero soggette a una disciplina sostanzialmente equivalente, in quanto gli accertamenti tipici dell’informazione dovrebbero esperirsi in ogni caso, in contrasto con il complessivo impianto della disciplina volta a distinguere i due istituti”.

Ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo antimafia, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di infiltrazione da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo organico, e non divisibile, cosicché ciascuno di essi acquisti significato nella sua interrelazione con gli altri. Ciò che si chiede alle autorità amministrative non è di colpire pratiche e comportamenti direttamente lesivi degli interessi e dei valori prima ricordati, compito naturale dell’autorità giudiziaria, bensì di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento. Il giudice amministrativo è, a sua volta, chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame (Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 9 settembre 2020, n. 5416).

L'informazione antimafia ha una validità di dodici mesi dalla data dell'acquisizione, salvo eventuali modifiche dei legali rappresentanti degli organismi societari: ovviamente ad essa non è applicabile l’istituto della dichiarazione sostitutiva di certificazione di cui all’articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in quanto rilasciata dal Prefetto a contenuto non predeterminato.

 

I criteri di valutazione

Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 11001/119/2018 del 27 marzo 2018, ha adottato alcune Linee guida che impartiscono ulteriori istruzioni operative sul piano procedimentale e dell’adozione della documentazione antimafia di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011, in continuità con le indicazioni applicative già rese sotto forma di circolari, note di chiarimento o risposte a quesiti.

Secondo dette Linee Guida, il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dare conto “in modo organico e coerente, ancorché sintetico” di quei fatti, aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, che, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, siano obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose. Ne deriva che è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, né tanto meno necessita l’accertamento di responsabilità penali, poiché ciò vanificherebbe la funzione anticipatoria della misura, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata.

L’interdittiva antimafia si fonda su una valutazione di tipo prognostico e presuntivo circa la sussistenza di pericoli di infiltrazione. Occorre, però, verificare se gli elementi “sintomatici ed indiziari” individuati siano sufficienti a far ritenere come “probabilità cruciale” o “ragionevole” il rischio delle infiltrazioni. Peraltro, è bene precisare che al giudice amministrativo, chiamato alla valutazione di tali elementi, non è certamente richiesta un'analisi del merito, posto che lo stesso deve limitarsi a valutare la coerenza logica e la contiguità rispetto alle risultanze dell'istruttoria. D'altro canto, non è nemmeno richiesto al giudice il raggiungimento di una prova di assoluta certezza probatoria degli elementi di infiltrazione mafiosa, essendo sufficiente una valutazione sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è quello mafioso.

Quindi, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali, secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale, sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d'altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. di Stato, Sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

In sostanza, l'informativa antimafia su base indiziaria pone il suo fondamento nella ragionevole esigenza del bilanciamento tra la libertà di iniziativa economica riconosciuta dall'articolo 41 della Costituzione e l'interesse pubblico alla salvaguardia dell'ordine pubblico e alla prevenzione dei fenomeni mafiosi che, del resto, mediante l'infiltrazione nel tessuto economico e nei mercati, “compromettono anche, oltre alla sicurezza pubblica, il valore costituzionale di libertà economica, indissolubilmente legato alla trasparenza e alla corretta competizione nelle attività con cui detta libertà si manifesta in concreto nei rapporti tra soggetti dell'ordinamento” (Consiglio di Stato, Sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5784).

In sede di emanazione dell’informativa antimafia l’equilibrata ponderazione dei contrapposti valori costituzionali in gioco, secondo la logica della prevenzione, richiedono alla Prefettura un’attenta valutazione dei diversi elementi, che devono offrire un quadro chiaro, completo e convincente del pericolo di infiltrazione mafiosa, e a sua volta impongono al giudice amministrativo, nel sindacato sulla motivazione, un altrettanto approfondito esame di tali elementi, singolarmente e nella loro intima connessione, per assicurare una tutela giurisdizionale piena ed effettiva contro ogni eventuale eccesso di potere da parte del Prefetto nell’esercizio di tale ampio, ma non indeterminato, potere discrezionale (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 30 gennaio 2019, n. 758).

I giudici amministrativi hanno ricordato che l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Pericolo che deve essere valutato secondo un ragionamento suppositivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Trattandosi di una fattispecie di pericolo non vengono sanzionati fatti penalmente rilevanti, né represse condotte illecite, ma si cerca esclusivamente di scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica (l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale) e la probabilità cruciale che il siffatto evento si realizzi. Tuttavia, il pericolo dell’infiltrazione mafiosa non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (articolo 84, comma 4, del decreto legislativo n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia, ovverosia di “condotte che riflettono in sé il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso”). Altri, a condotta libera, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che può desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’articolo 91, comma 6, del decreto legislativo n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

Trattasi dei c.d. “reati spia”, ovverosia di condotte che riflettono in sé il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso...”.

L’articolo 84, comma 4, lettera d) ed e), difatti, stabilisce che tale rischio può essere desunto da accertamenti ritenuti opportuni e posti in essere dal prefetto competente, con possibilità di delega alle prefetture di altre province (in caso di indagini da effettuarsi nel territorio di relativa competenza).

L’articolo 91, comma 6, inoltre, consente al Prefetto di “desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.

In altre parole, attraverso le citate disposizioni, il pericolo di infiltrazione mafiosa può essere desunto da qualunque elemento ritenuto sintomatico secondo la valutazione discrezionale del prefetto, oltre che da provvedimenti di condanna per reati ugualmente strumentali all’attività delle organizzazioni criminali (ma non elencati tra quelli “spia”), da valutarsi unitamente ad ulteriori fattori che rendano concreto detto pericolo.

La discrezionalità amministrativa conferita dalle norme in esame ha indotto la giurisprudenza ad elaborare criteri per stabilire la legittimità delle valutazioni compiute dagli organi di governo in sede di interdittiva: così come pacificamente sostenuto dal Consiglio di Stato: difatti, la valutazione compiuta dal prefetto è “sindacabile in sede giurisdizionale in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti”, mentre al giudice amministrativo è precluso l’accertamento dei fatti posti a fondamento dell’atto.

Il sindacato giurisdizionale dell’ultimo decennio risulta così imperniato sulla regola causale del “più probabile che non”, in base alla quale il pericolo di infiltrazione mafiosa può esser desunto da elementi indizianti gravi, precisi ed attuali, dai quali è presuntivamente possibile pervenire alla ragionevole conclusione della sussistenza di tale rischio.

Tra le situazioni indiziarie che possono fondare l’emissione dell’informazione interdittiva si citano:

- di provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale;

le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa;

- la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso decreto legislativo n. 159 del 2011;

- i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”;

- i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;

le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa;

- la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”;

- l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

Detta forma di documentazione antimafia, dunque, ha un duplice contenuto, di tipo vincolato, da un lato, e analogo a quello della comunicazione antimafia, nella parte in cui attesta o meno l’esistenza di un provvedimento definitivo di prevenzione personale emesso dal Tribunale, e di tipo discrezionale, dall’altro, nella parte in cui, invece, il Prefetto ritenga la sussistenza, o meno, di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’attività di impresa, desumibili o dai provvedimenti e dagli elementi, tipizzati nell’art. 84, comma 4, del decreto legislativo n. 159/2011, o dai provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

A differenza delle comunicazioni antimafia, il cui effetto interdittivo, come visto, è esteso non solo ai contratti e alle concessioni, ma anche alle autorizzazioni, le informazioni antimafia, normalmente, esplicano i loro effetti solo in rapporto ai contratti pubblici, alle concessioni e alle sovvenzioni salvo quanto si dirà a seguito dell’introduzione dell’articolo 89-bis del Codice antimafia.

Con riguardo alla natura giuridica e degli effetti dell’interdittiva antimafia, va precisato che:

1) si tratta di un provvedimento di natura cautelare e preventiva, espressione del bilanciamento tra tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e libertà di iniziativa economica riconosciuta dall’articolo 41 Costituzione;

2) costituisce una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica amministrazione;

3) mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della pubblica amministrazione;

4) preclude all’imprenditore di essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni ovvero destinatario di titoli abilitativi o di contributi, finanziamenti, mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo;

5) determina una particolare forma di incapacità giuridica, parziale e tendenzialmente temporanea, in quanto comporta l’inidoneità del destinatario ad essere titolare di talune situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi).

 

Il contraddittorio procedimentale

Questione dibattuta è se il soggetto interessato possa partecipare al procedimento relativo al rilascio dell’informazione antimafia del Prefetto. All’articolo 93, comma 7, l’inciso “ove lo reputi vantaggioso”, indica chiaramente che siamo di fronte a una facoltà e non un obbligo del Prefetto competente al rilascio dell'informazione il quale, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile.

Della questione è stata investita la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha statuito che trattandosi di un provvedimento facoltativo, l’informazione antimafia non richiede necessariamente l’osservanza del contraddittorio procedimentale la cui assenza non configura un vulnus al principio di buon andamento della pubblica amministrazione ed al principio di legalità sostanziale, poiché il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una peculiarità assoluta, ma può essere sottoposta a limitazioni, a condizione che queste soddisfino effettive esigenze di interesse generali perseguite dalla misura di cui trattasi e non costituiscono, rispetto allo scopo, prefissato, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da danneggiare la sostanza stessa dei diritti garantiti (Corte di Giustizia UE, sentenza 9/11/2017 in C-298/16 e 26/09/2019 in C-63/18).

Sulla scia di tale indirizzo giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, i giudici di Palazzo Spada (Consiglio di Stato: sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343; sez. III, 6 marzo 2019, n. 1553; sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105) hanno bocciato la tesi della violazione delle norma della legge sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, basando la loro argomentazione sul fatto che il rilascio dell’informazione antimafia si attiva su impulso/iniziativa (facoltà e non obbligo) della pubblica amministrazione e l’audizione del soggetto interessato costituisce una mera eventualità. In conclusione, i giudici amministrativi hanno evidenziato che trattandosi di esigenze di ordine pubblico, è ammissibile una deroga alle regole generali del procedimento amministrativo.

 

Efficacia dell'aggiudicazione in assenza della documentazione antimafia

Altra questione dibattuta è quella secondo la quale in assenza di documentazione antimafia, l'aggiudicazione non può ritenersi efficace, decorsi i sessanta giorni di cui all'articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50/2016.  La giurisprudenza amministrativa (Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, 20 febbraio 2020, n. 147) reputa che non vi sia alcun meccanismo, scaduto il termine dei sessanta giorni dalla richiesta della documentazione antimafia, per la stipula del contratto, tenuto conto che questi ultimi possono essere stipulati sotto condizione risolutiva espressa, subordinando, quindi, la risoluzione del contratto alla comunicazione interdittiva non liberatoria a carico dell’affidatario.

Per i giudici lombardi, l'acquisizione della documentazione antimafia si pone accanto alla procedura di gara, nella fase dell'integrazione dell'efficacia, in quanto il suo riscontro positivo è preliminare e prodromico alla stipulazione del contratto e costituisce condizione di efficacia dell'aggiudicazione e non della sua validità.

Di conseguenza, il termine dei 60 giorni previsti dall'articolo 32, comma 8, del decreto legislativo n. 50/2016 per la sottoscrizione del contratto decorrono dalla data dell'atto conclusivo del sub-procedimento di verifica dei requisiti prescritti, di guisa che il possesso della certificazione antimafia costituisce un indubbio requisito di partecipazione, e soltanto la sua positiva verifica rende l'aggiudicazione ordinata “efficace”.

Ne consegue che, fino a quando non si concludano le verifiche cd. antimafia, l’aggiudicazione non può considerarsi efficace, con l'effetto che il termine di 60 giorni per la sottoscrizione del contratto non può dirsi maturato.

 

4. Interdittiva antimafia: considerazioni conclusive

Dall’analisi di questa breve rassegna è emerso come gli interessi economici coinvolti nel rilascio delle certificazioni antimafia nella duplice forma della comunicazione e informazione impongono una calibrazione ed un delicato bilanciamento tra due contrapposti valori costituzionali in giuoco in un settore, in particolar modo quello degli appalti pubblici, fortemente esposto a fenomeni corruttivi, senza compromettere i principi di buon andamento, di efficienza e di legalità dell’azione amministrativa.

La documentazione antimafia, sia nel senso del certificato tecnico promanante dal casellario giudiziale sia della discrezionalità di “ispezione” del Prefetto, deve condurre ad una seria ed attenta valutazione delle tecniche di estrazione dei fenomeni di presunta infiltrazione mafiosa, coniugando al contempo celerità delle procedure di gara con la tempistica del controllo antimafia, di solito molto lenta.

Oggi, in tempi di profonda crisi economica dovuti alla pandemia, è auspicabile un ripensamento dei meccanismi di funzionamento dell’istituto dell’interdittiva antimafia basati su criteri formali e di scarsa efficacia preventiva, come quelli probabilistici “più probabile che non” nei confronti di un operatore economico solo apparentemente condizionato da infiltrazioni mafiose, con pesanti ricadute su tutto il sistema produttivo, che finiscono per alimentare più che prevenire la corruzione.

L’auspicio è che si presti maggiore attenzione alla corretta valutazione della documentazione antimafia sia nella fase prodromica che successiva alla gara di appalto assicurando legalità e opportunità delle scelte, abbandonando una gestione meramente formalistica, ma orientata a tutti i livelli verso strategie che entrino nella cultura della prevenzione della corruzione.

  1. P. Canaparo - Il rilascio delle documentazione antimafia: il Ministero dell'Interno formula ulteriori indirizzi applicativi – Appalti & contratti 7/6/2018
  2. S. M. Sisto - L’interdittiva antimafia supera (ancora una volta) le censure di illegittimità costituzionale – Giurisprudenza 3/2019
  3. S. M. Sisto - L’informazione interdittiva antimafia tra principi di diritto internazionale e costituzionale – Giurisprudenza 4/2019
  4. S. M. Sisto - Interdittiva antimafia: il diritto al contraddittorio è “espressione fondamentale di civiltà giuridica europea”? - Appalti & Contratti 3_2020
  5. S. Cocchi – Interdittiva antimafia e contratti pubblici: luci e ombre – Azienditalia n. 5/2020
  6. S. Battiston – M. Bedendi - Interdittiva antimafia e modifiche soggettive di un RTI in fase di gara – Appalti  Contratti 1-2_2021