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La sentenza del Tribunale di Primo Grado nel caso Wanadoo in materia di politiche di prezzo predatorie

I giudici comunitari confermano l’irrilevanza del recupero delle perdite ai fini dell’accertamento delle strategie di prezzo predatorie

Nella sentenza Wanadoo (Tribunale Primo Grado CE, causa T-340/03, France Télécom c Commissione) il Tribunale di Primo Grado ha confermato ancora una volta la consolidata prassi seguita dalla Commissione per l’esame delle politiche di prezzi predatorie di un’impresa dominante.

La fattispecie di prezzi predatori ricorre quando un’impresa dominante diminuisce i prezzi di vendita dei suoi prodotti in modo tale da rendere i prodotti offerti dai suoi concorrenti meno appetibili per i consumatori. Tale condotta, deprimendone i profitti, costringe i concorrenti ad abbandonare il mercato ovvero impedisce l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato. In questo modo l’impresa dominante accetta una riduzione dei profitti nel breve periodo, la quale dovrebbe essere compensata nel lungo periodo dall’aumento dei prezzi reso possibile dall’eliminazione della concorrenza nel mercato rilevante.

Sul piano pratico, tuttavia, non è sempre facile distinguere tra una politica di prezzi predatoria vietata dall’art. 82 CE quando è attuata da un’impresa dominante, e la decisione di un’impresa di abbassare i prezzi per meglio contrastare i concorrenti, che invece non è vietata dal diritto sulla concorrenza.

Ai fini dell’accertamento delle pratiche di prezzo predatorie la Commissione ha elaborato un test, confermato in più di un’occasione dai giudici comunitari (Corte di Giustizia CE, sentenza del 3 luglio 1991, causa C-62/86 AKZO/Commissione in Racc. pag. I-3359; sentenza del 14 novembre 1996, causa C-333/94 P, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. I-5951), il quale si fonda su due elementi: l’analisi comparativa prezzi/costi dalla quale risulti la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio perseguito dall’impresa dominante.

Più precisamente, il test della Commissione distingue due ipotesi:

A) se il prezzo è inferiore alla media dei costi variabili l’intento predatorio si presume, posto che in questo caso l’impresa dominante non può avere altro interesse a praticare prezzi simili se non quello dell’eliminazione dei propri concorrenti;

B)  se il prezzo è superiore alla media dei costi variabili medi ma inferiore alla media dei costi totali medi per aversi violazione dell’art. 82 CE è necessario dimostrare l’intento predatorio dell’impresa dominante.

In alcuni casi, la Commissione ha applicato il criterio della media dei costi incrementali di lungo periodo. I costi incrementali comprendono i costi affrontati dall’impresa per la produzione di beni e servizi, poi ceduti a prezzi predatori. Questo criterio è stato applicato per l’esame delle pratiche predatorie poste in essere da imprese aventi il monopolio legale in un determinato settore al fine di impedire che il monopolista finanzi la riduzione dei prezzi nel mercato aperto alla concorrenza con i profitti conseguiti nel mercato a questo riservato. In altre parole, se i prezzi praticati dal monopolista nel mercato aperto non coprono tutti i costi fissi e variabili per lo svolgimento di tale attività, cioè i costi incrementali, tali prezzi si presumono predatori (Commissione, decisione del 20 marzo 2001, Caso COMP/35.141-Deutsche Post, in GUCE L 125 del 5 maggio 2001, pag. 27).

Il criterio dei costi incrementali è stato applicato anche dall’AGCM nel caso Caronte.

Un’impresa svolgeva servizi di trasporto marittimo nello Stretto di Messina con una forte posizione di dominanza sulla rotta Villa San Giovanni/Messina, non facilmente contendibile a causa di elevate barriere all’ingresso. L’impresa dominante aveva cominciato a operare anche sulla rotta Reggio Calabria/Messina a prezzi particolarmente bassi come per risposta ai nuovi collegamenti svolti da un’altra impresa di navigazione su questa rotta. L’AGCM, sulla base del criterio dei costi incrementali ha condannato l’impresa dominante per aver praticato prezzi predatori. La rotta Reggio Calabria/Messina era operata in perdita al fine di togliere quota di mercato al nuovo concorrente e le perdite erano sussidiate con i proventi generati dalla rotta Villa San Giovanni/Messina dove l’impresa era dominante (AGCM, provvedimento n. 10650 del 17 aprile 2002, Diano/Tourist Ferry Boat-Caronte Shipping, in Bollettino n. 16/2002).

Dopo aver brevemente illustrato l’orientamento delle istituzioni comunitarie in materia di prezzi predatori, possiamo ora esaminare la sentenza Wanadoo. La Commissione aveva condannato Wanadoo per violazione dell’art. 82 CE, avendo questa praticato tariffe predatorie nel mercato per la forniture di servizi di accesso ad internet ad alta velocità per la clientela residenziale. La Commissione aveva rilevato che la strategia predatoria aveva consentito a Wanadoo di appropriarsi di una quota consistente di un mercato in grande sviluppo quale quello per l’accesso ad Internet ad alta velocità. Wanadoo aveva poi impugnato la decisione della Commissione davanti al Tribunale di Primo Grado.

Tra le censure mosse da Wanadoo alcune riguardano il test sulla strategia predatoria usato dalla Commissione. La ricorrente sostiene che i prezzi predatori rilevati dalla Commissione sarebbero stati irrazionali nel mercato rilevante. Secondo Wanadoo, il tentativo di restringere la concorrenza facendo ricorso a pratiche predatorie non avrebbe avuto verosimilmente buon fine. Infatti le basse barriere d’ingresso nel mercato rilevante non avrebbero certo impedito l’arrivo di nuovi concorrenti in sostituzione di quelli costretti ad uscire dal mercato dalle pratiche predatorie.

Il Tribunale però ribatte che ai fini dell’applicazione dell’art. 82 CE la prova dell’effetto restrittivo o dell’oggetto restrittivo di una condotta abusiva sono intercambiabili. In altre parole, ai fini dell’accertamento di una condotta abusiva sotto forma di imposizione di prezzi predatori non è necessario dimostrare l’effettiva esclusione del concorrente dal mercato. È invece necessario, secondo la giurisprudenza AKZO/Commissione, dimostrare che i prezzi non coprono i costi. Così, se i prezzi non coprono i costi variabili l’elemento dell’intento predatorio è presunto. Se, invece, i prezzi non coprono i costi medi è necessario fornire la prova dell’esistenza di un disegno volto all’eliminazione della concorrenza. Questo elemento deve essere provato con indizi gravi e concordanti.

Nel caso di specie la condotta abusiva posta in essere da Wanadoo può essere divisa in due periodi: dal periodo che va sino all’agosto del 2001 per il quale la Commissione ha dimostrato la mancata copertura dei costi variabili; il periodo che decorre dalla data di cui sopra sino all’ottobre 2002 per il quale la Commissione ha provato la mancata copertura dei costi totali. In relazione a questo periodo di tempo la Commissione ha correttamente dimostrato l’esistenza di un intento predatorio sulla base di prove documentali. Si trattava di documenti riportanti affermazioni le quali esplicitavano l’intenzione dell’impresa dominante di appropriarsi del mercato dominante.

Queste affermazioni erano riferibili ai componenti del personale direttivo dell’impresa pronunciate nell’ambito di presentazioni officiali per organi decisionali ovvero contenute in una lettera quadro. Per questa ragioni appariva difficile sostenere la natura spontanea e impulsiva di tali dichiarazioni.

La ricorrente ha anche contestato il test sulla strategia predatoria della Commissione nella parte dove il test non prevede la possibilità per l’impresa dominante del recupero delle perdite. Secondo Wanadoo sarebbe irrazionale per un’impresa dominante porre in atto una politica di prezzi predatori se poi non può ragionevolmente sperare di ridurre la concorrenza e alzare i prezzi nel lungo periodo. Le condizioni per realizzare con successo una politica di prezzi predatori non esistevano nel mercato rilevante, in particolar modo per l’assenza di elevate barriere all’ingresso. L’eliminazione dei concorrenti e il conseguente aumento dei prezzi avrebbe verosimilmente attirato nuovi operatori, la pressione concorrenziale dei quali avrebbe impedito a Wanadoo di sostenere in modo profittevole l’aumento dei prezzi.

In effetti in alcuni ordinamenti, come, ad esempio, nel diritto antitrust nord-americano, l’elemento del recupero delle perdite è necessario al fine della sussistenza della pratica predatoria. La Suprema Corte degli Stati Uniti nel caso Brooke Group ha stabilito che la possibilità dell’impresa di recuperare la perdita è un elemento essenziale, insieme alla mancata copertura dei costi, della politica di prezzi predatori. È quindi necessario dimostrare che, sulla base delle condizioni e della struttura del mercato rilevante, l’impresa, una volta eliminati i concorrenti, può aumentare con profitto i prezzi oltre il livello di equilibrio (Brook Group Ltd. v Brown & Williamson Tobacco Corp., in Supreme Court , 99, p. 551).

Il Tribunale, tuttavia, non ha accolto le censure avanzate dalla ricorrente e non si è discostato dall’orientamento consolidato, secondo il quale, come sopra esposto, al fine di dimostrare una pratica predatoria rilevano solo due elementi: la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio. Una volta provata l’esistenza di questi due elementi è superfluo accertare se l’impresa dominante ha la possibilità di recuperare le perdite.

Infine, può essere utile soffermarsi sulla posizione espressa dalla Commissione relativamente all’applicazione dell’art. 82 CE alle pratiche di prezzi predatori (DG Competition discussion paper on the application of art. 82 of the treaty to exclusionary abuses).

In primo luogo la Commissione propone di sostituire uno dei fattori dell’analisi prezzi/costi del test. La media dei costi varabili dovrebbe essere sostituita con la media dei costi evitabili (average avoidable costs). I costi evitabili si riferiscono ai costi sostenuti dall’impresa per l’aumento della produzione e che l’impresa avrebbe evitato se non avesse deciso di aumentare la produzione. Rispetto ai costi variabili, i costi evitabili sono rilevanti quando l’impresa dominante per poter porre in essere la strategia predatoria deve aumentare la capacità produttiva. Perciò, gli investimenti fissi per l’aumento della produzione costituisco elementi di costo rilevanti ai fini del test predatorio, e i prezzi inferiori a tali costi sono fortemente sospettati di essere predatori.

Invece, la Commissione conferma l’irrilevanza della prova della possibilità dell’impresa dominante di recuperare le perdite. La Commissione ragiona che la posizione dominante delll’impresa che attua la strategia predatoria è imputabile ad una serie di fattori, tra i quali la presenza di elevate barriere all’ingresso nel mercato. Da questo elemento è possibile presumere la possibilità dell’impresa dominante di recuperare i costi, posto che l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato appare improbabile a causa delle elevate barriere all’ingressso. In altre parole, la dimostrazione della possibilità di recupero delle perdite appare superflua, posto che tale possibilità già è insita nel potere di mercato dell’impresa dominante.

Nella sentenza Wanadoo (Tribunale Primo Grado CE, causa T-340/03, France Télécom c Commissione) il Tribunale di Primo Grado ha confermato ancora una volta la consolidata prassi seguita dalla Commissione per l’esame delle politiche di prezzi predatorie di un’impresa dominante.

La fattispecie di prezzi predatori ricorre quando un’impresa dominante diminuisce i prezzi di vendita dei suoi prodotti in modo tale da rendere i prodotti offerti dai suoi concorrenti meno appetibili per i consumatori. Tale condotta, deprimendone i profitti, costringe i concorrenti ad abbandonare il mercato ovvero impedisce l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato. In questo modo l’impresa dominante accetta una riduzione dei profitti nel breve periodo, la quale dovrebbe essere compensata nel lungo periodo dall’aumento dei prezzi reso possibile dall’eliminazione della concorrenza nel mercato rilevante.

Sul piano pratico, tuttavia, non è sempre facile distinguere tra una politica di prezzi predatoria vietata dall’art. 82 CE quando è attuata da un’impresa dominante, e la decisione di un’impresa di abbassare i prezzi per meglio contrastare i concorrenti, che invece non è vietata dal diritto sulla concorrenza.

Ai fini dell’accertamento delle pratiche di prezzo predatorie la Commissione ha elaborato un test, confermato in più di un’occasione dai giudici comunitari (Corte di Giustizia CE, sentenza del 3 luglio 1991, causa C-62/86 AKZO/Commissione in Racc. pag. I-3359; sentenza del 14 novembre 1996, causa C-333/94 P, Tetra Pak/Commissione, Racc. pag. I-5951), il quale si fonda su due elementi: l’analisi comparativa prezzi/costi dalla quale risulti la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio perseguito dall’impresa dominante.

Più precisamente, il test della Commissione distingue due ipotesi:

A) se il prezzo è inferiore alla media dei costi variabili l’intento predatorio si presume, posto che in questo caso l’impresa dominante non può avere altro interesse a praticare prezzi simili se non quello dell’eliminazione dei propri concorrenti;

B)  se il prezzo è superiore alla media dei costi variabili medi ma inferiore alla media dei costi totali medi per aversi violazione dell’art. 82 CE è necessario dimostrare l’intento predatorio dell’impresa dominante.

In alcuni casi, la Commissione ha applicato il criterio della media dei costi incrementali di lungo periodo. I costi incrementali comprendono i costi affrontati dall’impresa per la produzione di beni e servizi, poi ceduti a prezzi predatori. Questo criterio è stato applicato per l’esame delle pratiche predatorie poste in essere da imprese aventi il monopolio legale in un determinato settore al fine di impedire che il monopolista finanzi la riduzione dei prezzi nel mercato aperto alla concorrenza con i profitti conseguiti nel mercato a questo riservato. In altre parole, se i prezzi praticati dal monopolista nel mercato aperto non coprono tutti i costi fissi e variabili per lo svolgimento di tale attività, cioè i costi incrementali, tali prezzi si presumono predatori (Commissione, decisione del 20 marzo 2001, Caso COMP/35.141-Deutsche Post, in GUCE L 125 del 5 maggio 2001, pag. 27).

Il criterio dei costi incrementali è stato applicato anche dall’AGCM nel caso Caronte.

Un’impresa svolgeva servizi di trasporto marittimo nello Stretto di Messina con una forte posizione di dominanza sulla rotta Villa San Giovanni/Messina, non facilmente contendibile a causa di elevate barriere all’ingresso. L’impresa dominante aveva cominciato a operare anche sulla rotta Reggio Calabria/Messina a prezzi particolarmente bassi come per risposta ai nuovi collegamenti svolti da un’altra impresa di navigazione su questa rotta. L’AGCM, sulla base del criterio dei costi incrementali ha condannato l’impresa dominante per aver praticato prezzi predatori. La rotta Reggio Calabria/Messina era operata in perdita al fine di togliere quota di mercato al nuovo concorrente e le perdite erano sussidiate con i proventi generati dalla rotta Villa San Giovanni/Messina dove l’impresa era dominante (AGCM, provvedimento n. 10650 del 17 aprile 2002, Diano/Tourist Ferry Boat-Caronte Shipping, in Bollettino n. 16/2002).

Dopo aver brevemente illustrato l’orientamento delle istituzioni comunitarie in materia di prezzi predatori, possiamo ora esaminare la sentenza Wanadoo. La Commissione aveva condannato Wanadoo per violazione dell’art. 82 CE, avendo questa praticato tariffe predatorie nel mercato per la forniture di servizi di accesso ad internet ad alta velocità per la clientela residenziale. La Commissione aveva rilevato che la strategia predatoria aveva consentito a Wanadoo di appropriarsi di una quota consistente di un mercato in grande sviluppo quale quello per l’accesso ad Internet ad alta velocità. Wanadoo aveva poi impugnato la decisione della Commissione davanti al Tribunale di Primo Grado.

Tra le censure mosse da Wanadoo alcune riguardano il test sulla strategia predatoria usato dalla Commissione. La ricorrente sostiene che i prezzi predatori rilevati dalla Commissione sarebbero stati irrazionali nel mercato rilevante. Secondo Wanadoo, il tentativo di restringere la concorrenza facendo ricorso a pratiche predatorie non avrebbe avuto verosimilmente buon fine. Infatti le basse barriere d’ingresso nel mercato rilevante non avrebbero certo impedito l’arrivo di nuovi concorrenti in sostituzione di quelli costretti ad uscire dal mercato dalle pratiche predatorie.

Il Tribunale però ribatte che ai fini dell’applicazione dell’art. 82 CE la prova dell’effetto restrittivo o dell’oggetto restrittivo di una condotta abusiva sono intercambiabili. In altre parole, ai fini dell’accertamento di una condotta abusiva sotto forma di imposizione di prezzi predatori non è necessario dimostrare l’effettiva esclusione del concorrente dal mercato. È invece necessario, secondo la giurisprudenza AKZO/Commissione, dimostrare che i prezzi non coprono i costi. Così, se i prezzi non coprono i costi variabili l’elemento dell’intento predatorio è presunto. Se, invece, i prezzi non coprono i costi medi è necessario fornire la prova dell’esistenza di un disegno volto all’eliminazione della concorrenza. Questo elemento deve essere provato con indizi gravi e concordanti.

Nel caso di specie la condotta abusiva posta in essere da Wanadoo può essere divisa in due periodi: dal periodo che va sino all’agosto del 2001 per il quale la Commissione ha dimostrato la mancata copertura dei costi variabili; il periodo che decorre dalla data di cui sopra sino all’ottobre 2002 per il quale la Commissione ha provato la mancata copertura dei costi totali. In relazione a questo periodo di tempo la Commissione ha correttamente dimostrato l’esistenza di un intento predatorio sulla base di prove documentali. Si trattava di documenti riportanti affermazioni le quali esplicitavano l’intenzione dell’impresa dominante di appropriarsi del mercato dominante.

Queste affermazioni erano riferibili ai componenti del personale direttivo dell’impresa pronunciate nell’ambito di presentazioni officiali per organi decisionali ovvero contenute in una lettera quadro. Per questa ragioni appariva difficile sostenere la natura spontanea e impulsiva di tali dichiarazioni.

La ricorrente ha anche contestato il test sulla strategia predatoria della Commissione nella parte dove il test non prevede la possibilità per l’impresa dominante del recupero delle perdite. Secondo Wanadoo sarebbe irrazionale per un’impresa dominante porre in atto una politica di prezzi predatori se poi non può ragionevolmente sperare di ridurre la concorrenza e alzare i prezzi nel lungo periodo. Le condizioni per realizzare con successo una politica di prezzi predatori non esistevano nel mercato rilevante, in particolar modo per l’assenza di elevate barriere all’ingresso. L’eliminazione dei concorrenti e il conseguente aumento dei prezzi avrebbe verosimilmente attirato nuovi operatori, la pressione concorrenziale dei quali avrebbe impedito a Wanadoo di sostenere in modo profittevole l’aumento dei prezzi.

In effetti in alcuni ordinamenti, come, ad esempio, nel diritto antitrust nord-americano, l’elemento del recupero delle perdite è necessario al fine della sussistenza della pratica predatoria. La Suprema Corte degli Stati Uniti nel caso Brooke Group ha stabilito che la possibilità dell’impresa di recuperare la perdita è un elemento essenziale, insieme alla mancata copertura dei costi, della politica di prezzi predatori. È quindi necessario dimostrare che, sulla base delle condizioni e della struttura del mercato rilevante, l’impresa, una volta eliminati i concorrenti, può aumentare con profitto i prezzi oltre il livello di equilibrio (Brook Group Ltd. v Brown & Williamson Tobacco Corp., in Supreme Court , 99, p. 551).

Il Tribunale, tuttavia, non ha accolto le censure avanzate dalla ricorrente e non si è discostato dall’orientamento consolidato, secondo il quale, come sopra esposto, al fine di dimostrare una pratica predatoria rilevano solo due elementi: la mancata copertura dei costi e l’intento predatorio. Una volta provata l’esistenza di questi due elementi è superfluo accertare se l’impresa dominante ha la possibilità di recuperare le perdite.

Infine, può essere utile soffermarsi sulla posizione espressa dalla Commissione relativamente all’applicazione dell’art. 82 CE alle pratiche di prezzi predatori (DG Competition discussion paper on the application of art. 82 of the treaty to exclusionary abuses).

In primo luogo la Commissione propone di sostituire uno dei fattori dell’analisi prezzi/costi del test. La media dei costi varabili dovrebbe essere sostituita con la media dei costi evitabili (average avoidable costs). I costi evitabili si riferiscono ai costi sostenuti dall’impresa per l’aumento della produzione e che l’impresa avrebbe evitato se non avesse deciso di aumentare la produzione. Rispetto ai costi variabili, i costi evitabili sono rilevanti quando l’impresa dominante per poter porre in essere la strategia predatoria deve aumentare la capacità produttiva. Perciò, gli investimenti fissi per l’aumento della produzione costituisco elementi di costo rilevanti ai fini del test predatorio, e i prezzi inferiori a tali costi sono fortemente sospettati di essere predatori.

Invece, la Commissione conferma l’irrilevanza della prova della possibilità dell’impresa dominante di recuperare le perdite. La Commissione ragiona che la posizione dominante delll’impresa che attua la strategia predatoria è imputabile ad una serie di fattori, tra i quali la presenza di elevate barriere all’ingresso nel mercato. Da questo elemento è possibile presumere la possibilità dell’impresa dominante di recuperare i costi, posto che l’ingresso di nuovi concorrenti nel mercato appare improbabile a causa delle elevate barriere all’ingressso. In altre parole, la dimostrazione della possibilità di recupero delle perdite appare superflua, posto che tale possibilità già è insita nel potere di mercato dell’impresa dominante.